lunedì 14 dicembre 2015

Emozioni in Farmacia: La Rabbia

Facili all’ira sopra la terra
siamo noi di stirpe umana.
(Omero)

La rabbia è l’emozione più temuta e meno controllabile. Un accesso di collera fa affluire il sangue lungo gli arti per predisporre il corpo a scattare, la frequenza cardiaca aumenta per consentire azioni vigorose: tutto il resto passa in secondo piano, l’intero organismo è sotto lo scacco di un’ alterazione che si manifesta sotto forma di avversione verso l’esterno, gli altri o anche se stessi.

E’ l’emozione della territorialità, istintivo bisogno di relazione esclusiva e controllo con una porzione di ambiente, per soddisfare i propri bisogni, procacciarsi cibo e anche per esprimere primariamente un potere sociale. L’aggressività ha dunque la doppia funzionalità di protezione del territorio vissuto come proprio e di conquista di nuovi. Quando siamo in posizione di difesa l’aggressività è vissuta più propriamente come rabbia; se invece ci si trova in condizione di attacco-conquista con effetto positivo la si avverte come trionfo, con effetto negativo (siamo costretti a ritirarci in seguito al fallimento della nostra azione di occupazione) come ira. Un’emozione paradossale derivata da una delle polarità più complesse da gestire, poiché con gli stessi comportamenti legati alla violenza abbiamo la possibilità di proteggerci o aggredire e non è un caso che da sempre filosofia, psicologia e letteratura si interroghino alla ricerca dell’equilibrio esistenziale tra attacco-difesa.

Forse proprio per questo, la rabbia è l’emozione che più si tende a controllare durante la crescita di un individuo. Recentemente, durante un laboratorio di lettura e creatività sulle emozioni, alcune mamme hanno chiesto per quale motivo molti dei bambini avevano scelto di mettere in scena e dipingere proprio la rabbia. E se fosse perché è l’emozione che più si richiede di soffocare? L’esperienza di esprimerla liberamente recitandola deve essere stato esaltante e liberatorio per loro a fronte dei continui messaggi provenienti dagli adulti che chiedono di “non essere arrabbiati”, come se la rabbia fosse in sé sbagliata.

Filosoficamente, si è insistito sul fatto che la collera sia molto legata all'umiliazione del proprio Sé. Si reagisce di fronte ad un’offesa, un’ingiustizia, una mancanza di comprensione. Ma cercando di reagire, lo stesso Io si presenta agli altri come selvaggio, minaccioso, incapace di controllarsi, il che in talune dinamiche sociali peggiora la propria condizione di autostima. La rabbia è un’emozione evidente, che non si può nascondere, è “pubblica” e quindi soggetta a giudizio, indica quanto siamo vulnerabili nel nostro desiderio di imporci o difenderci.

Ciò che andrebbe sottolineato è che la rabbia di per sé, al pari delle altre emozioni, non è giusta o sbagliata, buona o cattiva, è il comportamento che scegliamo, quello che decidiamo di fare con essa che può essere giudicato come opportuno o meno. Espressa soltanto violentemente, con l’intenzione di nuocere all'altro, come forma di attacco, è spesso negativo, ma la funzione di difesa di sé, di protezione di diritti violati è indubitabilmente positiva. È il risultato di una frustrazione che VA espressa, poiché la repressione causa stati ben peggiori, anche a livello somatico.

Ascoltare la rabbia insegna a conoscere i nostri reali bisogni, i nostri valori, ci aiuta ad essere più autentici con noi stessi e a intrattenere relazioni più leali con le persone che ci circondano. Possiamo dunque imparare non a soffocarla ma a scegliere cosa farne, quando attaccare, quando scappare, quando difenderci o aggredire, andare verso per conquistare. E non giudichiamo, non giudichiamoci per la nostra rabbia, ma educhiamo noi stessi e i nostri bimbi ad imparare a gestirla. Responsabilmente, cioè con la consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni.

E facciamolo anche, perché no?, sperimentandoci nel contattare la rabbia attraverso i libri.

La letteratura è zeppa di eroi rabbiosi (pensiamo ad Achille) e frustrati, che rispondono irosi all'assurdità della vita, che è uno dei più potenti motivi di rabbia, non dimentichiamolo. 
Proporre testi che siano legati a questa emozione è davvero arduo, poiché un libro può parlare della rabbia di fronte all'ingiustizia, all'ottusità, alla propria inadeguatezza, può esso stesso suscitare rabbia (è capitato infinite volte!) per cui quella che segue è un’operazione squisitamente personale.



C. Palahniuk, Rabbia

Il primo libro che ci è venuto in mente è (non solo per l’assonanza) Rabbia di Palahniuk, autore difficile, di quelli che può perfino far arrabbiare per il modo stesso in cui scrive, spesso violento e fuori dalle righe. Trama strana, un personaggio che fa della ribellione rabbiosa la sua icona e che tramit la stessa rabbia dei suoi conoscenti viene tratteggiato per ciò che davvero è. Disvelante, insomma.  




S. Vassalli, La Chimera


Poi si è pensato a La chimera del nostro Sebastiano Vassalli, e a tutta la rabbia inghiottita tra le lacrime di fronte alla ottusa intolleranza medioevale (e non solo): la rabbia nei confronti della violenza di radice culturale, quella strumentale al potere.





M. Franzoso, Il bambino indaco

Di altro tono Il bambino indaco, di Marco Franzoso. Una storia purtroppo più comune di quel che si pensa, come testimoniano ogni anno le notizie di madri o padri che agiscono con violenza nei confronti di bimbi e neonati. Ma fa riflettere il flusso di emozioni che scatena la figura materna: madre inadeguata che si tende a giudiacre, cercare e trovare un colpevole è talmente insito in noi, che anche in questo caso la si condanna. Eppure proprio la rabbia riporta alla realtà e come uno schiaffo ricorda che non esistono solo belle e felici famiglie e belle e serene gravidanze, ma anche tante storie tristi, storie di rabbia, di rancori e che solo parlandone e affrontandole è possibile trovare uno spiraglio, se non una strada, per risalire la china.

S. Kinsella, I love shopping


Per chiudere in “leggerezza”, questo libro ci ha fatto proprio tanta rabbia: al di là del messaggio sessista donna = essere frivolo preda di manie compulsive, che già sarebbe argomento di discussione, il romanzo racconta situazioni paradossali che vogliono divertire con "leggerezza"; tutto sommato non è nemmeno scritto male, ma l’idea che si possa giocare con tanta inconsistenza su una protagonista che è una giornalista ma risulta essere terribilmente stupida, alla fine, non ci è piaciuta. Gli stereotipi si cavalcano anche grazie alla superficialità, purtroppo.





Anche questa volta attendiamo con ansia di sapere quali libri hanno suscitato in voi rabbia, l’hanno placata, l’hanno trasformata.

A presto,
Emma e Valeria

Per chi volesse approfondire, chi scrive ha letto, studiato, amato in tempi remoti e non:

Goleman D., Intelligenza Emotiva. Che cos'è e perché può renderci felici, Bur Rizzoli, 2011
Bodei, R., Ira. La passione furente, Bologna, il Mulino, 2011

































domenica 8 novembre 2015

Emozioni in Farmacia: La Paura




La paura non può essere senza speranza né la speranza senza paura.

(Baruch Spinoza)


Buuuuhhh!!!!
L’emozione più frequente, temuta, controversa, tra quelle che si provano quotidianamente. In genere la si rifugge, si cerca in tutti i modi di evitarla eppure … talvolta la si cerca, la si provoca.
Cosa avrà mai, di così potente, la PAURA??


Legata alla difesa e alla conservazione e fondamentale per il processo evolutivo, la paura è prodotta da una straordinaria architettura che partendo dalla sensorialità coinvolge tronco encefalico, corteccia cerebrale, ippocampo e amigdala. Un movimento colto con la coda dell’occhio mentre si cammina in una strada buia e deserta viene trasmesso e confrontato con quanto si ha in memoria per provare ad interpretarlo. Nel frattempo l’attenzione viene fissata  sul punto dove ci è sembrato di vedere qualcosa e un sistema d’allarme “neurotrasmette” (producendo noradrenalina e dopamina) segnali che ci fanno tendere i muscoli, aumentano la reattività complessiva, accelerano il battito cardiaco, rallentano la respirazione, mettono in tensione stomaco ed intestino. Lo scopo è preparare l’organismo alla fuga (o cercare un luogo dove nascondersi, si pensi alla temporanea “paralisi” che spesso la paura provoca)  mentre ci si concentra sulla valutazione della minaccia.

Ma non si tratta solo di uno stato fisiologico. Il sistema emotivo è legato alla ragione umana, si interseca con le nostre capacità logiche: pensiero ed emozione (l’antico dualismo mente e cuore) sono strettamente interconnessi.
Il pensiero filosofico, ad esempio, è figlio della paura. Nasce per scongiurare il più antico degli sgomenti, l’origine di tutte le fobie: la mancanza di conoscenza. Non sapere cosa ci possiamo aspettare, non comprendere uno sconosciuto che ci si avvicina, non riconoscere ciò che ci circonda, queste sono le radici di ogni disagio esistenziale. E’ dunque sempre originata da ALTRO da sé? Ha sempre un oggetto?
Si può anche avere paura di qualcosa di indeterminato, di non specifico: della mancanza di senso, ad esempio, della infinita serie di possibilità che si aprono davanti al nostro agire e di fronte alle quali non sappiamo che fare. La paura al cospetto di se stessi è chiamata angoscia. Camminando lungo un sentiero molto stretto, sul ciglio di un burrone, si ha paura di scivolare o di essere colpiti da un masso e quindi di perdere l’equilibrio o di uno smottamento del terreno. Ma si prova angoscia di fronte alla possibilità, per quanto remota, di decidere consapevolmente di lanciarsi giù nello strapiombo: è pur sempre una fra le infinite eventualità contemplate dalla nostra libertà di azione. Dunque l’angoscia si prova davanti alla propria incapacità di fare le scelte giuste: è una condizione umana inevitabile, tuttavia, perché ci fa prendere consapevolezza della nostra precarietà, dei nostri limiti e (paradossalmente) anche delle nostre potenzialità. Si prova angoscia di fronte alla propria libertà, essa sì, infinita, al contrario della nostra esistenza.

Rimediare alla paura e all’angoscia è un compito filosofico: l’attribuzione di senso (argomentazioni, spiegazioni, dimostrazioni, costruzioni di valori) esorcizza il malessere, l’ansia, i timori. La stessa riflessione sulla paura squarcia le ombre, illumina l’immagine di se stessi di fronte allo specchio, inducendo alla accortezza e ricordandoci la nostra vulnerabilità. Non riconoscere questa emozione come un tentativo di scongiurare l’incapacità di trovare una risposta a tutto è rischioso, può generare superstizioni, falsi ideologici: storicamente la paura è uno strumento di potere. Va invece trasformata in uno mezzo per porsi alla ricerca di se stessi:  non è detto che ci si trovi, ma il cammino vale comunque la pena.

Questo potrebbe essere il motivo per cui spesso cerchiamo la paura. Guardiamo film horror, leggiamo thriller e noir, saliamo su impervie montagne russe. Cosa ci spinge a provare un’emozione che di solito rifiutiamo, a farci paralizzare dallo sgomento, a provare i brividi dell’adrenalina? Proprio la necessità di continuare a sentirci vivi. Nonostante tutto.

Proporvi delle bibliopillole emozionali è un compito arduo: scegliere libri che fanno semplicemente paura o che la fugano? Abbiamo pensato a dei titoli che esplorano diverse sfaccettature di questa emozione perché possano diventare strumenti per una consapevole prudenza. Su noi stessi, sugli altri, sul mondo.

Ora però attendiamo le vostre: vogliamo farci emozionare da voi, conoscere gli autori che vi hanno fatto accapponare la pelle o che vi hanno insegnato a gestire o a conoscere la paura... Il senso ultimo di questo lavoro sulle emozioni è proprio la condivisione.
Grazie e buona lettura.


Guy de Maupassant, L’Horlà 

La paura dell’irrazionale, lo spavento procurato da ciò che non rientra nel naturale, nell’umano. Archetipi senza tempo: fantasmi, presenze invisibili, il doppio di se stesso. Un horror elegante, racconti che fanno della letteratura qualcosa che genera spavento. Meglio di un giro nel Castello degli Orrori.
“Oh, il ricordo! Il ricordo, immagine dolorosa, immagine bruciante, immagine vivente, orribile immagine che fa soffrire mille torture!”



Harper Lee, Il buio oltre la siepe 

La più ancestrale delle paure: la diversità. Un libro meraviglioso che racconta il razzismo e il pregiudizio nell’Alabama degli anni Trenta: insieme il male e la cura negli occhi e nelle parole dei bambini che narrano.  
“Prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l'unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza.”





Thomas Harris, Il silenzio degli innocenti 

Un pericoloso psicopatico ed una psichiatra: l’inquietante paura di guardarsi dentro, di lasciare che qualcuno acceda alle porte di ciò che abbiamo sepolto nell’inconscio.
"Me lo dirai quando quegli agnelli smetteranno di gridare, vero?", le grida da lontano.






Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella 

Romanzo distopico ambientato in un futuro prossimo, una società totalitaristica in cui le donne sono sottomesse. La paura della libertà, delle scelte; e la facilità con cui questa paura diventa strumento di controllo e di gestione del potere.
“Esiste più di un genere di libertà, diceva zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo”





Per chi volesse approfondire, chi scrive ha letto, studiato, amato in tempi remoti e non:

Goleman D., Intelligenza Emotiva. Che cos'è e perché può renderci felici, Bur Rizzoli, 2011
Heidegger M.,  Essere e Tempo, Mondadori, 2011
Sartre J.P., L’Essere e il Nulla, Il Saggiatore, 2008
Kierkegaard S., Il Concetto dell’Angoscia, SE, 2007

sabato 7 novembre 2015

Biblioemozioni, si parte!

Iniziamo con i post-incontri su libri ed emozioni. 

Tratteremo in ordine sparso della Paura, della Rabbia, del Disgusto, della Sorpresa, della Gioia e della Tristezza, della magica relazione tra le parole scritte e i brividi addosso, giocando con molta serietà fra generi e sentimenti, tenendo insieme poeti, letterati, filosofi psicologi. 

I colori della vita non sono solo accesi e brillanti ma tutti insieme creano quell'arcobaleno che sono le singole esistenze. A tenere i fili dei nostri stati d'animo sono anche le parole: che l'omino dei palloncini ci accompagni in un viaggio che durerà diverse settimane e che, speriamo, vi coinvolga.


lunedì 26 ottobre 2015

Bibliopillole emozionali

C’è poco da dire: l’uscita nelle sale del film Disney Pixar Inside Out ha avuto l’effetto di un ciclone per il tema delle emozioni che, come non capitava da tempo, è diventato uno degli argomenti più citati sul web da specialisti, genitori, figli, giornalisti e chiunque abbia visto il film o semplicemente abbia una certa familiarità con le emozioni (quindi tanti, direi!). A chi, come me, con le emozioni ci lavora da tanti anni (oltre a conviverci praticamente dalla nascita), non può che fare piacere e veramente mi ha incuriosito tanto leggere critiche a favore o a sfavore del film, approfondimenti sulle varie emozioni, domande, dubbi, risposte.
Tra le tante mi ha colpito, recentemente, la recensione di Goffredo Fofi su Internazionale che ho trovato apocalittica e veramente molto poco centrata sia rispetto al tema delle emozioni che rispetto a quello della metafora (che bisognerebbe avere sempre abbastanza presente quando si va a guardare un cartone animato). È vero, Fofi ammette fin da subito il suo pregiudizio per “pupazzetti dagli occhi di manga e per i peluche giganti” ma trovo comunque esagerato che la sua conclusione sia che nel mondo descritto da Inside Out
Svanisce il libero arbitrio e resta l’idea di una “macchinosa” manipolazione delle nostre azioni.
È insomma – forse esagero, ma forse no – come se, partendo non a caso dai bambini, un potere nuovo voglia abituarci all’idea di una nostra dipendenza da entità astratte ma ben presenti nella realtà, e voglia abituarci ad agire di conseguenza, assistiti e guidati da chi pensa per noi e ci spinge dove vuole lui. [Goffredo Fofi, qui]
Insomma, quel che è arrivato a Fofi è che il nostro comportamento è totalmente guidato dalle emozioni che funzionano come entità astratte che qualcuno ha infilato nel nostro corpo al solo scopo di guidare il nostro comportamento. Fofi non ha capito due cose: la prima che il meccanismo dei pupazzetti-emozione vuole solo rappresentare qualcosa di molto più complesso (vedi la metafora di cui sopra), la seconda che le emozioni non sono estranee al nostro funzionamento, ma ne fanno parte, e rappresentano solo un tassello del processo che porta a mettere in atto una serie di comportamenti la cui definizione non è decisa a prescindere ma è il risultato di componenti sociali, personali, culturali e molto altro ancora.
Semplificando, le emozioni, di fatto, nel complesso processo di relazione tra l'individuo ed il mondo, si posizionano a metà strada tra il mondo e ciò che noi facciamo nel mondo, dato che possiamo definirle come reazioni fisiologiche, psicologiche, cognitive e comportamentali a ciò che avviene intorno a noi. Risposte che nascono in automatico nel nostro organismo e che hanno lo scopo di salvaguardare gli istinti innati di sopravvivenza, difesa, riproduzione ecc., ma che si trasformano in comportamento in maniera allo stesso tempo universale ma diversa da soggetto a soggetto. La paura ad esempio è l’emozione tradizionalmente deputata al mantenimento delle sicurezza, legata alla percezione di un pericolo ed alla potenziale minaccia; il comportamento di elezione in questo caso è la fuga, ma sappiamo bene che tale fuga può essere messa in atto in decine di modalità diverse dal fingersi morti, allo scappare vero e proprio, fino all'attacco, comportamento controfobico che spesso mettiamo in atto di fronte a pericoli che riteniamo di poter fronteggiare o che non riconosciamo come tali.
Su quali e quante siano le emozioni gli studiosi si interrogano da anni e, pur oscillando tra approcci categoriali e dimensionali, è in gran parte accettata la distinzione tra emozioni primarie ed emozioni secondarie, dove le primarie
possono essere generalmente definite come emozioni non consapevoli (dettate dall’istinto e non dalla ragione), innate (possedute almeno in potenza fin dalla nascita) e universali (comuni a tutti gli esseri umani al di là della loro origine geografica e culturale). Le emozioni primarie sono biologicamente primitive, di breve durata e hanno un forte valore adattivo essendo capaci di assicurare la sopravvivenza individuale e della specie attraverso la preparazione all’azione... (Secchiano, 2014)
Tra i vari modelli uno di quelli che riscuote maggiori consensi è il modello categoriale di Ekman che distingue sei emozioni primarie: Paura, Tristezza, Rabbia, Gioia, Sorpresa e Disgusto/Disprezzo. Plutchik elabora, invece, un modello ad 8 emozioni (aggiungendo Accettazione e Attesa) e ben delinea il processo attraverso cui si passa dallo stimolo, alla percezione, alla risposta emozionale, al comportamento.

(Secchiano, 2014)

Trova le differenze

Le emozioni nel modello di Ekman
(Secchiano, 2014)

Le emozioni in Inside Out



Trovate le differenze? Non è una sorpresa; nel modello scelto dagli autori di Inside Out manca l’emozione Sorpresa, omessa per non meglio identificati motivi di scenografia, e riammessa in una infografica, diffusa dalla produzione, come prodotto dell’incrocio tra Paura e Gioia.



Ma che c’entra tutto questo con i libri, direte voi? C’entra, c’entra! Leggere un libro e guardare un film hanno molte cose in comune, non a caso spesso i film non sono altro che trasposizioni di libri (e, talvolta, viceversa). La lettura è fortemente legata alle emozioni, perché leggiamo di emozioni e sperimentiamo emozioni nel leggere. Ci emozioniamo nel momento della scelta, mentre leggiamo, quando chiudiamo il libro per l’ultima volta arrabbiati, disgustati o tristi e di questo vorremmo parlare con voi.
Partiremo a breve con un ciclo di post-incontri su libri ed emozioni. Proporremo alcune bibliopillole, ma soprattutto vorremmo raccogliere le vostre bibliopillole emozionali. Quali libri vi hanno dato quali emozioni, quali consigliereste per sperimentare o esorcizzare.
Teniamo molto a questa iniziativa.
Sarà emozionante!
Non pensate?

Per approfondire
Ekman P. (2008) Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Amrita.
Plutchik R. (1995) Psicologia e biologia delle emozioni, Bollati Boringhier.
Secchiano L. (2014) EMOZIONI - storia, biologia, psicologia e loro influenza sul processo decisionale, Narcissus.me.

sabato 24 ottobre 2015

Della Paura (per ricominciare a parlare di libri ed emozioni)



Una camminata in paese mi ha ricordato che siamo vicini ad Halloween, festa amatissima dai bambini e ripudiata da molti adulti. Samhein era una festa celtica che le comunità contadine pagane celebravano in pieno autunno e coincideva con la fine dell'anno: il sole che tramontava sempre prima simboleggiava la morte definitiva dell'estate, aprendo le porte all'inverno con i suoi fantasmi e i suoi spiriti. ll papa Gregorio IV istituì ufficialmente (il giorno dopo) la festa cristiana di Ognissanti, il 1º novembre 840. L'importanza della continuità con il passato era evidente anche a quel lontano pontefice: la festa della rinascita dopo la morte, radici cristiane innestate su tradizioni pagane. Anche per questo ritengo che scherzare con mostri e diavoli non sia dannoso per nessuno, tanto meno per i bambini. Le paure in qualche modo vanno esorcizzate e uno di questi modi è imparare a conviverci.
Come possiamo esimerci dunque da un confronto con la letteratura horror? Genere spesso bistrattato, ritenuto minore, adolescenziale, di intrattenimento.
Beh, no. I libri horror raccontano le incursioni dell'irrazionale nella realtà, cancellano i confini, annullano le distanze fra il soprannaturale e il quotidiano. La repulsione e lo spavento derivano dalla drammaticità della destabilizzazione: le sicurezze acquisite vacillano quando riemergono paure ancestrali. 
Poiché finalmente stiamo per riaprire il blog con il tanto atteso ciclo sulle emozioni, che tratteremo percorrendo i binari paralleli della psicologia e della letteratura, mi sembrava il caso di risollevare questo genere che inaspettatamente può persino proporsi sotto forma di bibliopillole. Del resto l'horror attrae proprio perché catartico: quando si sperimenta la paura, che derivi da ossessioni e fobie comuni o dal sovvertimento della routine o dalla natura ambigua degli stessi rapporti umani, tornare alle proprie esistenze non può che offrire consolazione. 
Abbiamo scelto alcuni classici che andrebbero comunque letti, a prescindere dal fatto che piaccia o no il genere.

Amleto, William Shakespeare. La trama la conosciamo tutti; il mio vecchio professore universitario la definiva "la tragedia della volontà umana", annichilita dal fantasma della propria codardia più che da quello del genitore morto. L'incapacità di vendicarsi assumendosi le proprie responsabilità. In fin dei conti è ciò che rappresenta un qualsiasi fantasma: l'irrompere e il manifestarsi dell'incognito, e non c'è nulla che ci spaventi di più, poichè costringe  a prendere provvedimenti, ad agire, e non sempre siamo pronti. Esiste una paura più ancestrale? L'incanto dei versi del Grande Bardo ci mette di fronte a noi stessi, padri e figli perennemente in cerca di risposte. O forse no.








Dracula, Bram Stoker. Il padre di tutti i vampiri della letteratura (ahinoi, anche di quelli meno leggibili degli ultimi tempi), un archetipo potente che risale addirittura all'epoca mesopotamica e nel folklore europeo, dal Medioevo in poi, non si contano le testimonianze, le opere, i documenti che citano vampiri e vampirismi. In questa figura si sommano il terrore più venale della morte (il non riconoscere una persona amata poichè tramutata in una entità sconosciuta) e l'equazione ignoto=pericoloso che è la radice di qualsiasi paura. Scritto sotto forma di diario, il romanzo di Stoker è ispirato a Vlad III principe di Valacchia ed è una delle prove più belle della letteratura ottocentesca inglese: storia, mitologia e profonda conoscenza dell'animo umano in un'atmosfera cupa egregiamente tratteggiata.








Frankenstein, Mary Shelley. Il più potente esorcismo contro la morte è dare la vita. Creare, fingersi dei, forgiare esseri viventi. La tecnica al servizio di una scienza che sfida i nostri condizionamenti (il sottotitolo originale dell'opera è Il Prometeo moderno), ma la tracotanza finisce con l'essere punita. Creatore e creatura si scambiano spesso i ruoli, all'interno del romanzo, mischiando umanità e brutalità, desiderio di perfezione e deformità. Anche qui ci ritroviamo faccia a faccia con una delle più profonde paure umane: a cosa può portare sfidare i propri limiti?











Racconti del mistero, dell'incubo e del terrore, Edgar Allan Poe. Raccolta di storie fantastiche, misteriose, uno tra i primi gialli psicologici e l'antesignano dei romanzi polizieschi (anche Conan Doyle si ispirò a Poe per Sherlock Holmes). Solo per citare: La mascherata della Morte Rossa, I delitti della rue Morgue. Piccoli capolavori in cui il brivido è davvero avvertito fisicamente: del resto la paura è particolarmente legata alle percezioni sensoriali e la particolarità di quest'autore sta nella incredibile capacità di far letteralmente provare, addosso, le sensazioni dei personaggi. 
Il pozzo e il pendolo docet. 








Buona paura a tutti. Anch'essa serve. Come vedremo tra poco.

lunedì 4 maggio 2015

Bibliopillola n. 16 - Integratore contro le convenzioni

Ho sempre osservato con estrema meraviglia il fenomeno per cui i libri che leggo sembrano sempre essere collegati l’uno all’altro da un sottile filo conduttore. A volte è una parola, a volte una città, a volte un tema più ampio, ma mi sono sempre chiesta se, ed in che modo, sono i libri a mettersi in fila per voler loro o se sono, invece, i tortuosi percorsi dei miei pensieri a creare questi fili e questa volontà libresca. Non credo, in realtà, di voler risolvere il mistero, comprendere o crearmi una spiegazione plausibile. La verità è che mi diverto molto di più semplicemente ad osservare l’ondeggiare di questi fili provando ad immaginare dove mi porteranno.
Ultimamente si sono infilati tra i miei pensieri, come tre piccole perle, Il miniaturista, di Jessie Burton, Come in una ballata di Tom Petty, dell’amico di letture Marco Patrone Recensireilmondo e Le ore di Michael Cunningham (Premio Pulitzer nel 1999).
Tre romanzi molto diversi per ambientazione, fama e argomenti, eppure in ognuno di loro ho trovato il filo, il riferimento che ha acceso la lampadina che mi ha fatto pensare per giorni e provare emozioni discordanti e, spesso, dolorose, che ancora faticano a lasciarmi.
È iniziato tutto con Il miniaturista, dove il confronto tra due donne che si pongono, nel XVII secolo, in maniera molto diversa di fronte all’istituzione Matrimonio, ha acceso la scintilla. Le due faranno scelte opposte e per motivi simili, ed il tema delle regole e delle convenzioni è molto forte.

“Sembra che Marin consideri il matrimonio una rinuncia a qualcosa, quando moltissime donne – compresa mia madre, pensa Nella – lo vedono come l’unica possibilità di esercitare una certa influenza. Il matrimonio dovrebbe imbrigliare l’amore, aumentare il potere della donna. Ma è veramente così? Marin ha ritenuto di avere più potere senza. L’amore non è stato imbrigliato, e sono successe cose incredibili”.
(Il Miniaturista - Jessie Burton)

Credevo di partire per un viaggio verso altri tempi ed altri temi quando, pochi giorni dopo, convenzioni ed aspettative mi hanno nuovamente toccato ascoltando le parole, questa volta, di un uomo:

“Avevo letto di un importante manager di una multinazionale che si era suicidato, apparentemente sopraffatto dalla competitività. Pensai che avrei potuto scriverlo io, quell’articolo: la difficoltà di frenare e trovare spazio per sé, e l’uomo che rispetto al proprio corrispettivo femminile sente come obbligatorio non mostrare debolezza e tenersi tutto dentro e ancora dover comandare senza mostrare esitazione alcuna..”
(Come in una ballata di Tom Petty – Marco Patrone).

A quel punto pensieri ed emozioni già vorticavano intorno a qualcosa che non riuscivo a definire, ma era lì, e confrontandomi con l’Autore ricordo che parlammo di come l’adeguarsi alle convenzioni ed alle aspettative non sia solo degli uomini, ma fortissimamente anche delle donne, così come la difficoltà a stare dentro le scelte fatte ed il desiderio, quasi costante, di fuga.

E, infine, sono arrivata a leggere Le ore, di Michael Cunningham e non posso non pensare che questo libro DOVEVA arrivare tra le mie mani per chiudere il cerchio che mi ha portato in viaggio attraverso le pagine di questi tre romanzi e che si è manifestato chiaramente fin dalle prime pagine.

“Sembra improvvisamente semplice preparare una torta, allevare un bambino. Ama suo figlio così semplicemente, come fanno le madri – non ce l’ha con lui, non vuole andar via. Ama suo marito, ed è contenta di essere sposata. È possibile (non è impossibile) che abbia varcato una linea invisibile: la linea che l’ha sempre separata da quello che avrebbe preferito sentire, da chi avrebbe preferito essere. Non è impossibile che sia stata soggetta a una sottile ma profonda trasformazione, qui, in cucina, in questo momento così ordinario. Ha catturato se stessa. Ha lavorato molto a lungo, molto duramente, con grande fiducia, e adesso ha afferrato il trucco per vivere felice, per vivere come un bambino impara in un determinato momento a procedere in equilibrio su una bicicletta a due ruote. Sembra che starà bene. Non si scoraggerà. Non rimpiangerà le possibilità che ha perduto, i suoi talenti inesplorati (e se non ne avesse nessuno, dopo tutto?). Rimarrà fedele a suo figlio, a suo marito, alla sua casa e ai suoi doveri, a tutte le sue cose. Vorrà avere questo secondo bambino.” ù(Le ore – Michael Cunningham)
 
Le regole, le convenzioni, le scelte, la fatica di vivere, il malessere psicologico hanno iniziato girare vorticosamente tra i miei pensieri, portandosi dietro pezzi di storia, pezzi di vita: il lavoro, il dolore, l’essere madre, la vita.
Ho faticato parecchio a scrivere di questo libro, sembravano troppi i rimandi alla mia vita ed alla Vita in generale, quella con la V maiuscola. Ho dovuto lasciar passare qualche giorno e questo è quel che rimane...

Il primo giorno ho dovuto smettere di piangere, ritrovare il respiro, il mio qui e ora. Il secondo giorno ho avuto bisogno di lasciar sedimentare pensieri ed emozioni. Il terzo giorno ho iniziato ad aver paura di perdere qualcosa di tutti quei pensieri ed emozioni. Il quarto giorno ho capito che i personaggi di questo libro, Virginia, Laura, Clarissa, Richard, saranno sempre con me e, in qualche modo, lo sono sempre stati.
In conclusione due sensazioni resteranno con me: la prima riguarda il disagio delle piccole cose. Sento continuamente, anche tra le quattro mura del mio studio, raccontare di persone che si permettono di giudicare il disagio psichico con frasi tipo “con tutto quello che ha, non ha proprio niente di cui lamentarsi, non gli manca nulla” e cose simili. In tutti i personaggi del libro ho sentito dolorosissimamente come, in certi momenti, possano essere faticose e fonte di malessere le più piccole cose. Fare una torta, scegliere rose o parole, alzarsi dal letto, mettere i piedi uno avanti all'altro e "semplicemente camminare". Il mal di vivere non è di grandi o piccoli, di ricchi o poveri, di uomini o donne. Il male di vivere può essere di ognuno di noi, in qualsiasi momento e il più delle volte riguarda norme, convenzioni e aspettative e la responsabilità di farle nostre o rifiutarle (e il lavoro con la depressione post partum è solo uno dei tanti rimandi).
La seconda cosa riguarda l'identificazione con l'una o l'altra delle tre voci (quattro in realtà) e quel che è rimasto dopo che il pulviscolo si è posato è che in me c'è un po' di ognuno dei quattro. Sarò forse un po' schizofrenica ma io sono o sono stata, o sarò prima o poi, Virginia, Laura, Clarissa o Richard. O tutti loro insieme.
Essere quel che si è, vivendo giorno dopo giorno, è in fin dei conti la fatica di vivere.

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