lunedì 26 ottobre 2015

Bibliopillole emozionali

C’è poco da dire: l’uscita nelle sale del film Disney Pixar Inside Out ha avuto l’effetto di un ciclone per il tema delle emozioni che, come non capitava da tempo, è diventato uno degli argomenti più citati sul web da specialisti, genitori, figli, giornalisti e chiunque abbia visto il film o semplicemente abbia una certa familiarità con le emozioni (quindi tanti, direi!). A chi, come me, con le emozioni ci lavora da tanti anni (oltre a conviverci praticamente dalla nascita), non può che fare piacere e veramente mi ha incuriosito tanto leggere critiche a favore o a sfavore del film, approfondimenti sulle varie emozioni, domande, dubbi, risposte.
Tra le tante mi ha colpito, recentemente, la recensione di Goffredo Fofi su Internazionale che ho trovato apocalittica e veramente molto poco centrata sia rispetto al tema delle emozioni che rispetto a quello della metafora (che bisognerebbe avere sempre abbastanza presente quando si va a guardare un cartone animato). È vero, Fofi ammette fin da subito il suo pregiudizio per “pupazzetti dagli occhi di manga e per i peluche giganti” ma trovo comunque esagerato che la sua conclusione sia che nel mondo descritto da Inside Out
Svanisce il libero arbitrio e resta l’idea di una “macchinosa” manipolazione delle nostre azioni.
È insomma – forse esagero, ma forse no – come se, partendo non a caso dai bambini, un potere nuovo voglia abituarci all’idea di una nostra dipendenza da entità astratte ma ben presenti nella realtà, e voglia abituarci ad agire di conseguenza, assistiti e guidati da chi pensa per noi e ci spinge dove vuole lui. [Goffredo Fofi, qui]
Insomma, quel che è arrivato a Fofi è che il nostro comportamento è totalmente guidato dalle emozioni che funzionano come entità astratte che qualcuno ha infilato nel nostro corpo al solo scopo di guidare il nostro comportamento. Fofi non ha capito due cose: la prima che il meccanismo dei pupazzetti-emozione vuole solo rappresentare qualcosa di molto più complesso (vedi la metafora di cui sopra), la seconda che le emozioni non sono estranee al nostro funzionamento, ma ne fanno parte, e rappresentano solo un tassello del processo che porta a mettere in atto una serie di comportamenti la cui definizione non è decisa a prescindere ma è il risultato di componenti sociali, personali, culturali e molto altro ancora.
Semplificando, le emozioni, di fatto, nel complesso processo di relazione tra l'individuo ed il mondo, si posizionano a metà strada tra il mondo e ciò che noi facciamo nel mondo, dato che possiamo definirle come reazioni fisiologiche, psicologiche, cognitive e comportamentali a ciò che avviene intorno a noi. Risposte che nascono in automatico nel nostro organismo e che hanno lo scopo di salvaguardare gli istinti innati di sopravvivenza, difesa, riproduzione ecc., ma che si trasformano in comportamento in maniera allo stesso tempo universale ma diversa da soggetto a soggetto. La paura ad esempio è l’emozione tradizionalmente deputata al mantenimento delle sicurezza, legata alla percezione di un pericolo ed alla potenziale minaccia; il comportamento di elezione in questo caso è la fuga, ma sappiamo bene che tale fuga può essere messa in atto in decine di modalità diverse dal fingersi morti, allo scappare vero e proprio, fino all'attacco, comportamento controfobico che spesso mettiamo in atto di fronte a pericoli che riteniamo di poter fronteggiare o che non riconosciamo come tali.
Su quali e quante siano le emozioni gli studiosi si interrogano da anni e, pur oscillando tra approcci categoriali e dimensionali, è in gran parte accettata la distinzione tra emozioni primarie ed emozioni secondarie, dove le primarie
possono essere generalmente definite come emozioni non consapevoli (dettate dall’istinto e non dalla ragione), innate (possedute almeno in potenza fin dalla nascita) e universali (comuni a tutti gli esseri umani al di là della loro origine geografica e culturale). Le emozioni primarie sono biologicamente primitive, di breve durata e hanno un forte valore adattivo essendo capaci di assicurare la sopravvivenza individuale e della specie attraverso la preparazione all’azione... (Secchiano, 2014)
Tra i vari modelli uno di quelli che riscuote maggiori consensi è il modello categoriale di Ekman che distingue sei emozioni primarie: Paura, Tristezza, Rabbia, Gioia, Sorpresa e Disgusto/Disprezzo. Plutchik elabora, invece, un modello ad 8 emozioni (aggiungendo Accettazione e Attesa) e ben delinea il processo attraverso cui si passa dallo stimolo, alla percezione, alla risposta emozionale, al comportamento.

(Secchiano, 2014)

Trova le differenze

Le emozioni nel modello di Ekman
(Secchiano, 2014)

Le emozioni in Inside Out



Trovate le differenze? Non è una sorpresa; nel modello scelto dagli autori di Inside Out manca l’emozione Sorpresa, omessa per non meglio identificati motivi di scenografia, e riammessa in una infografica, diffusa dalla produzione, come prodotto dell’incrocio tra Paura e Gioia.



Ma che c’entra tutto questo con i libri, direte voi? C’entra, c’entra! Leggere un libro e guardare un film hanno molte cose in comune, non a caso spesso i film non sono altro che trasposizioni di libri (e, talvolta, viceversa). La lettura è fortemente legata alle emozioni, perché leggiamo di emozioni e sperimentiamo emozioni nel leggere. Ci emozioniamo nel momento della scelta, mentre leggiamo, quando chiudiamo il libro per l’ultima volta arrabbiati, disgustati o tristi e di questo vorremmo parlare con voi.
Partiremo a breve con un ciclo di post-incontri su libri ed emozioni. Proporremo alcune bibliopillole, ma soprattutto vorremmo raccogliere le vostre bibliopillole emozionali. Quali libri vi hanno dato quali emozioni, quali consigliereste per sperimentare o esorcizzare.
Teniamo molto a questa iniziativa.
Sarà emozionante!
Non pensate?

Per approfondire
Ekman P. (2008) Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Amrita.
Plutchik R. (1995) Psicologia e biologia delle emozioni, Bollati Boringhier.
Secchiano L. (2014) EMOZIONI - storia, biologia, psicologia e loro influenza sul processo decisionale, Narcissus.me.

sabato 24 ottobre 2015

Della Paura (per ricominciare a parlare di libri ed emozioni)



Una camminata in paese mi ha ricordato che siamo vicini ad Halloween, festa amatissima dai bambini e ripudiata da molti adulti. Samhein era una festa celtica che le comunità contadine pagane celebravano in pieno autunno e coincideva con la fine dell'anno: il sole che tramontava sempre prima simboleggiava la morte definitiva dell'estate, aprendo le porte all'inverno con i suoi fantasmi e i suoi spiriti. ll papa Gregorio IV istituì ufficialmente (il giorno dopo) la festa cristiana di Ognissanti, il 1º novembre 840. L'importanza della continuità con il passato era evidente anche a quel lontano pontefice: la festa della rinascita dopo la morte, radici cristiane innestate su tradizioni pagane. Anche per questo ritengo che scherzare con mostri e diavoli non sia dannoso per nessuno, tanto meno per i bambini. Le paure in qualche modo vanno esorcizzate e uno di questi modi è imparare a conviverci.
Come possiamo esimerci dunque da un confronto con la letteratura horror? Genere spesso bistrattato, ritenuto minore, adolescenziale, di intrattenimento.
Beh, no. I libri horror raccontano le incursioni dell'irrazionale nella realtà, cancellano i confini, annullano le distanze fra il soprannaturale e il quotidiano. La repulsione e lo spavento derivano dalla drammaticità della destabilizzazione: le sicurezze acquisite vacillano quando riemergono paure ancestrali. 
Poiché finalmente stiamo per riaprire il blog con il tanto atteso ciclo sulle emozioni, che tratteremo percorrendo i binari paralleli della psicologia e della letteratura, mi sembrava il caso di risollevare questo genere che inaspettatamente può persino proporsi sotto forma di bibliopillole. Del resto l'horror attrae proprio perché catartico: quando si sperimenta la paura, che derivi da ossessioni e fobie comuni o dal sovvertimento della routine o dalla natura ambigua degli stessi rapporti umani, tornare alle proprie esistenze non può che offrire consolazione. 
Abbiamo scelto alcuni classici che andrebbero comunque letti, a prescindere dal fatto che piaccia o no il genere.

Amleto, William Shakespeare. La trama la conosciamo tutti; il mio vecchio professore universitario la definiva "la tragedia della volontà umana", annichilita dal fantasma della propria codardia più che da quello del genitore morto. L'incapacità di vendicarsi assumendosi le proprie responsabilità. In fin dei conti è ciò che rappresenta un qualsiasi fantasma: l'irrompere e il manifestarsi dell'incognito, e non c'è nulla che ci spaventi di più, poichè costringe  a prendere provvedimenti, ad agire, e non sempre siamo pronti. Esiste una paura più ancestrale? L'incanto dei versi del Grande Bardo ci mette di fronte a noi stessi, padri e figli perennemente in cerca di risposte. O forse no.








Dracula, Bram Stoker. Il padre di tutti i vampiri della letteratura (ahinoi, anche di quelli meno leggibili degli ultimi tempi), un archetipo potente che risale addirittura all'epoca mesopotamica e nel folklore europeo, dal Medioevo in poi, non si contano le testimonianze, le opere, i documenti che citano vampiri e vampirismi. In questa figura si sommano il terrore più venale della morte (il non riconoscere una persona amata poichè tramutata in una entità sconosciuta) e l'equazione ignoto=pericoloso che è la radice di qualsiasi paura. Scritto sotto forma di diario, il romanzo di Stoker è ispirato a Vlad III principe di Valacchia ed è una delle prove più belle della letteratura ottocentesca inglese: storia, mitologia e profonda conoscenza dell'animo umano in un'atmosfera cupa egregiamente tratteggiata.








Frankenstein, Mary Shelley. Il più potente esorcismo contro la morte è dare la vita. Creare, fingersi dei, forgiare esseri viventi. La tecnica al servizio di una scienza che sfida i nostri condizionamenti (il sottotitolo originale dell'opera è Il Prometeo moderno), ma la tracotanza finisce con l'essere punita. Creatore e creatura si scambiano spesso i ruoli, all'interno del romanzo, mischiando umanità e brutalità, desiderio di perfezione e deformità. Anche qui ci ritroviamo faccia a faccia con una delle più profonde paure umane: a cosa può portare sfidare i propri limiti?











Racconti del mistero, dell'incubo e del terrore, Edgar Allan Poe. Raccolta di storie fantastiche, misteriose, uno tra i primi gialli psicologici e l'antesignano dei romanzi polizieschi (anche Conan Doyle si ispirò a Poe per Sherlock Holmes). Solo per citare: La mascherata della Morte Rossa, I delitti della rue Morgue. Piccoli capolavori in cui il brivido è davvero avvertito fisicamente: del resto la paura è particolarmente legata alle percezioni sensoriali e la particolarità di quest'autore sta nella incredibile capacità di far letteralmente provare, addosso, le sensazioni dei personaggi. 
Il pozzo e il pendolo docet. 








Buona paura a tutti. Anch'essa serve. Come vedremo tra poco.

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