martedì 12 luglio 2016

Bibliopillola n. 17 - Integratore per la paura della vecchiaia

Fa caldo, la debolezza incombe, la stanchezza fa danni, l'umidità arrugginisce... e poi ti capitano questi libri: di questo devo scrivere, anche se siamo ferme da tanto, anche se apparentemente siamo un po' arrugginite, appunto.
Il Ferro fa la Ruggine.
E’ forte, non si spezza mai, può piegarsi e curvarsi, lasciarsi corrodere da una crosta arancione, ma non perde l’anima fiera e robusta, la cui tenacia sta nella consapevolezza di un istinto proprio, felino e selvaggio, che non smarrisce lo slancio, che non accetta mai di riempire la propria vita con quella degli altri. Ruggine è la vecchia protagonista di questo romanzo di Anna Pignatelli, un’esistenza solo all’apparenza piatta (ma nessuna mai lo è, ogni vita può essere sfaccettata e imprevedibile anche se si snoda nello stesso posto) che l’ha logorata, inarcandola e temprandola, regalandole un’indulgenza indolente di fronte alla quale si china il capo.
Piegata ma non vinta.
Vive in un borgo di vecchi, fatto di tutte le cattive rughe dell’umanità, che lei imbelletta ostinata sopportando ogni oltraggio con la sua lentezza; lo attraversa con il passo lieve godendosi la grazia incantevole del mondo intorno che l’incapacità di vivere ci ha sottratto. Ama la vita nonostante tutto, e di Male ne ha provato e continuerà a provarne, ama gli uomini non perdendo mai l’interesse per loro, quasi fosse senza tempo ed eterna, immortale, continuando a tenere accesa la curiosità, aiutandosi con il vino e con l’oblio della mente, con l’inossidabile (quello sì..) amore per la naturale bellezza della natura intorno e del suo perpetrarsi attraverso le stagioni. Si lega a personaggi diversi come lei, estranei e stranieri alla meschinità e alla superstizione, anche a costo di essere tradita per l’ennesima volta, anche a costo di non ricevere l’aiuto che si aspetta da chi vive solo le strade. La sua forza è invidiata, odiata, come accade a chi resta per sempre risentito nei confronti dell’esistenza trasformandola in una ostilità che inchioda i Cristi alle croci non solo una volta l’anno.
Ferro è il suo gatto. Le loro vite sono legate indissolubilmente, è l’animale a tenerle sempre davanti agli occhi la forza del piacere e della vittoria, dell’irriverente andarsene per notti impossibili a ferirsi in zuffe per accoppiarsi, del placido riposo degli istinti appagati; è un memento costante la sua compagnia, quando accetta di trattenersi su un cuscino e rimangono a guardarsi nelle pupille, perché quel silenzioso parlarsi significa proprio che la vita s’impone con il sangue e con la lotta e ogni giorno è un’esperienza indicibile, anche se si resta fermi a fissare le fiamme del caminetto.
Le altre figure che popolano il romanzo, per lo più grette e sordide, sfilano intorno; il figlio anzitutto, ma non se ne può parlare, fa parte del male della vita; il marito defunto, un fantasma più vivo da morto di ciò che è stato invece in vita; il padrone di casa, la professoressa dirimpettaia, il bottegaio, una ragazza che non saprà decidere se accettare la sfida che silenziosamente l’anziana donna le ha lanciato; degni di nota il parroco e lo zingaro, messi al bando come lei dalla comunità raggomitolata su se stessa.
La scrittura della Pignatelli è magnifica, le parole scelte ad una ad una, d’una bellezza cesellata che non oscura gli animi che descrivono, anzi, li fa brillare di luce propria, non distrae, consente di guardare ai personaggi come se li avessimo di fronte, a scrutare nelle pieghe del viso e nei colori dei paesaggi circostanti. Una penna perfettamente dosata, limpida e densa ma senza esagerazioni.
Quando ho chiuso il libro l’ho dedicato mentalmente a mia nonna: zingara costretta ad adattarsi, a comprimere una bellezza offensiva, senza perdere però mai l’attaccamento ad una vita che l’aveva offesa (e terribilmente) molteplici volte; vita che ha amato talmente tanto che l’ultima volta che l’ho vista, e non volevo trovarla lì, con i lunghissimi capelli sciolti sul letto e una mano sul seno, le ha regalato un sorriso lieve e sornione sul volto.
Piegata ma non vinta, si è potuta permettere di morire da sola.

Non amo i superlativi, ma questo romanzo è bellissimo.

Bibliopillola per combattere la paura di invecchiare e per chi, nonostante tutto e tutti nel mondo e nella vita vuole crederci fino in fondo.

Allora Gina chiese: "E che sarebbero i Balcani?".
"Sono montagne nere. C'è solo una cosa più impressionante di loro: la strada. Quella infinita che unisce i paesi, che va dal mare ai monti, dalle pianure alle foreste. Io la conosco, la strada. Nella strada ci si imbatte nella verità". Poi aggiunse: "La parola detta per via è più vera, meno ingannevole".  
(Ruggine, Anna Pignatelli. Fazi Editore)


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