mercoledì 31 agosto 2016

La lettrice scomparsa, Fabio Stassi - Bugiardino estivo


Bugiardino estivo, per chi è ancora in vacanza e per chi è già rientrato e ha già pensieri autunnali.
-Tutti i libri che ha su quella parete, signor Corso: sono solo una collezione di voci. Scrivere è soltanto il primo modo che l'uomo ha inventato per registrarla, non crede?"
Fabio Stassi è stato a suo tempo il curatore dell'edizione italiana di Curarsi con i libri e si sente. Il curatore locale, in ognuna delle edizioni del libro ha partecipato mettendoci del suo per adattare i suggerimenti terapeutici al contesto letterario nazionale, sia attraverso le citazioni di testi in italiano, sia attraverso la citazione di testi di fama internazionale, ma ormai parte del patrimonio letterario nazionale.
Più di una volta ho avuto l'impressione che Stassi riprendesse suggerimenti già dati in curarsi con i libri per inserirli nella storia dandogli la nuova veste di parte di un racconto (per quanto sempre presentati come suggerimento letterario).
Vince arriva a fare il biblioterapeuta con un bagaglio di vita e letture che si scopre poco a poco, con la convinzione (peraltro negata più volte) di dover aiutare le persone con i suoi libri e l'inevitabile senso di fallimento che ogni terapeuta dell'anima sperimenta se prima non si fa una ragione del fatto che nessuno puó essere aiutato se non si aiuta da solo.
Nel complesso l'ho trovato a tratti presuntuoso, dall'alto delle sue citazioni e conoscenze letterarie e non so se è un problema del personaggio o dell'autore che non riesco più di tanto a separare dal libro al punto che, in certi momenti, tutte i personaggi mi son sembrati parlare con la stessa voce, quella di Stassi appunto (bellissima a tal proposito Lidia, attrice in tarda età dalla voce di ragazza con la paura di perdere con la vista anche le voci dei libri).
L'intrigo giallo passa assolutamente in secondo piano rispetto alle riflessioni sulla lettura ed alla curiosità di riconoscere le innumerevoli citazioni, il finale è meno scontato di quel che mi aspettavo ma mi ha lasciato la sensazione che, tra tutti i personaggi descritti, Stassi ne abbia saltato uno... ed in un libro dove è tanto presente il tema dell'assenza ho il sospetto che non sia un caso. A voi scoprire quale personaggio è mancato a me... magari a voi ne mancheranno altri...



venerdì 19 agosto 2016

Dell'importanza di giocare a Risiko



Poetico. Un universo di bambino che confina con una realtà dolorosa e amara; l'immaginazione che salva, l'inventarsi nomi e ruoli per dare un senso. 
Denso, pieno, colto: un libro scritto con un'ironia raffinata e che racconta come tutta la vita sia un Risiko in cui ció che conta è la capacità di adattamento, la tattica e la strategia: occupare Kamchatka, l'ultimo luogo della terra che rappresenta la strenua resistenza. 
Il gioco da tavolo e un libro che racconta la vita di Houdini (del quale assume l'identità) sono le bussole che permettono al piccolo protagonista di fuggire dalla trappola di una realtà mutata tragicamente all'improvviso e che gli toglie ogni quotidiano punto di riferimento. Studia per diventare "escapologo": si inventa un'avventura da vivere ma in realtà è una delle tante tragedie quotidiane delle famiglie desaparecidos nell'Argentina del 1976. Tutti i protagonisti sono escapologi loro malgrado: fuggono per salvarsi, e imparare a cambiare se stessi per scappare è la somma strategia. Un racconto pieno di musica e umorismo nonostante l'orrore, la storia di un bambino che insegna che passato, presente e futuro si legano insieme per permettere di superare le situazioni sospese, che ogni vita si innesta e si intreccia con tutte le vite di tutti gli individui del mondo e solo per questo, per quanto si soffra, merita d'essere vissuta e raccontata, perché le storie, al contrario degli uomini, non finiscono mai. 
Si sopravvive in loro. 
L'unico eroismo possibile sta nella capacità di trasformarsi: 

"Quando uno non puó fare altro, cambia". 

L'argentino Figueras, giornalista e reporter di guerra, ha scritto un libro con uno stile divertente e ironico senza mai essere incolore: anzi, le sue parole da bambino, le descrizioni stupite degli adulti e del loro mondo, sanno essere spesso emozionanti, a tratti toccanti. 

martedì 16 agosto 2016

Bibliopillola n. 12: Per la vita in due (che da soli non può esser vissuta)

Sembrava una felicità, Jenny Offill, NNEditore

Delicato e fragile: i primi due aggettivi che vengono in mente per questo libro. Un filo di seta teso tra una vita e l'altra, parole come pezzi di vetro. Per una strana forma di pudore è difficile scriverne come si vorrebbe, accade quando certi libri sono più specchi rotti che carta e inchiostro. Paragrafi interi sottolineati; appunti a margine. Ogni rigo rivela la forza e la gracilità dell'amore, sia esso di coppia, coniugale, filiale. O per se stessi. Puó anche commuovere questa storia: che è una storia comune e banale di una qualsiasi donna (di un qualsiasi essere umano) che cerca di essere felice tra le vicende di una vita qualunque che inesorabilmente mortifica qualsiasi ambizione. Eppure il flusso di coscienza di questa prosa spezzata, pensieri sparsi, ricordi senza un ordine, zeppa di citazioni, curiosità, proverbi è la più difficile da scrivere delle trame: la vita di ognuno di noi. 
Che certe volte non sai se ce la fai; 
che però c'è anche il profumo dei capelli di una bambina; 
che non capisci e non ti capisci; 
che puoi essere stufo di ciò che possiedi ma immagina a perderlo; 
che non puoi sempre dare istruzioni alla testa e al cuore; 
che pensare prima di agire spesso è pensare INVECE di agire, ed è un difetto, non una virtù; 
che gridi di dolore se ti abbandonano, ma anche se abbandoni. 
Che scriviamo per chiudere gli occhi. 

Una scrittrice americana che insegna Scrittura e si occupa anche di saggistica; una mirabile traduzione della NNEditore. Una penna da seguire. 

Una volta un visitatore chiese al maestro zen Ikkyu di scrivere un distillato della massima saggezza. Lui scrisse una sola parola: Attenzione.
Il visitatore rimase deluso: "Solo questo?".
E così Ikkyu lo accontentó. Due parole.
Attenzione. Attenzione. 


lunedì 15 agosto 2016

Bugiardino di Ferragosto


La metà del Diavolo, Joseph Incardona

L'infatuazione per NNEditore continua: attratta dalla copertina, ho scoperto anche questo titolo e ancora una volta non delude. Si potrebbe dire un noir: ma non lo si può ingabbiare in una definizione di genere. Tutto il libro è uno spietato occhio di bue sul nocciolo duro della realtà, il luogo in cui si pensa solo a sopravvivere, dove solo la sofferenza legittima un'esistenza disincantata; i personaggi sono intrappolati in catastrofi collegate tra loro da un Male comune; hanno smesso da tempo di cercare un senso e di chiedersi perché, pensano solo al come districarsi in una vita nuda e cruda, sordida, brutale, spietata sia per le vittime che per i carnefici. La trama è avvincente, serrata, tessuta da una prosa che alterna periodi corti e cortissimi, incalzanti, a dialoghi stringati, pensieri veloci che si affastellano; 270 pagine che si leggono avidamente se non per fermarsi con l'affanno su pause marcate dense di riflessione. Si percorre come un'autostrada: che è l'ambientazione del romanzo, un tratto limitato da casello a casello, autogrill, aree di sosta, la sporca boscaglia al di là delle recinzioni metalliche, un'umanità frenetica e distratta che non si accorge del marcio che si porta dentro. 
Impossibile raccontare di più: le vite dei vari personaggi si intersecano intorno alla sparizione di una bambina. 
Joseph Incardona, l'autore per metà svizzero e per metà siciliano, è nato nel mondo del polar e ha inanellato una serie di premi letterari d'oltralpe: mi ha ricordato spesso Thomas Harris. 
Bella scoperta. Ottima lettura. 


sabato 13 agosto 2016

Sono Dio

Un altro  bugiardino estivo per un libro che ci ha davvero colpito. 



Sono Dio, G. Sartori, NNEditore 


Dio in persona: proprio Lui, che decide di mettersi a scrivere. Un protagonista che certo non avrebbe bisogno di raccontare e raccontarsi perché racchiude in Sè il Tutto: invece  inciampa in una banalissima (ma non troppo) vicenda su un banalissimo pianetino di una galassia periferica su cui gli è caduto casualmente l'occhio divino (se così si può dire, Dio è ovunque e non ha certo occhi); e dunque decide di testimoniare questa stranissima e assurda curiosità prendendo a prestito lo stretto e asfittico linguaggio di questa specie davvero mal riuscita. Malauguratamente, e chi scrive lo sa bene, ció lo rende dannatamente vicino e simile agli umani: si mette a nudo, le parole lo vincono e sconvolgono, la meschinità della ristrettezza sintattica lo costringe a dire cose che non sapeva di poter pensare. Lo spaccato di vita terrestre dal quale Dio è avviluppato è incredibilmente colorito e caricaturale, e proprio per questo esageratamente umano: è attratto da una biologa ricercatrice biker/punk/ninfomane e intransigentemente non solo atea ma anticlericale; intorno a lei una vegan/ecologista/animalista, ex figli dei fiori ultra sessantenni, buffi cicisbei universitari e vescovi pedofili. È davvero difficile rendere simpatico un Dio ma questo è proprio irresistibile: è curioso, presuntuoso, ogni tanto commuove perché ancora si stupisce di Se stesso e del suo creato (memorabili le descrizioni dell'universo "in cui vive", le passeggiate tra nebulose e buchi neri, le descrizioni degli incanti di un cosmo che non conosciamo);  se la ride dell'ateismo perchè può in qualsiasi momento (ma non ne abusa) divertirsi scatenando disastri e apocalissi e destra e a manca ("tragiche casualità..."); odia profondamente la Chiesa e le religioni ritenute espressioni di quel  Male che sembra essere la caratteristica migliore di questa creazione che gli è proprio riuscita pessima e che si è votata ("Io in fondo non ho fatto più niente dopo averli creati") all'estinzione. 
Il Logos alla fine prevarrà sull'infatuazione troppo umana (altrimenti che Dio sarebbe?) lasciando a noi un libro davvero originale e scritto molto bene: in maniera brillante, forbita senza essere stucchevole, divertente e colta. 

lunedì 8 agosto 2016

L'uomo che cadde sulla Terra, Walter Tevis


Solitudini di tutti i pianeti: bugiardino cosmico.

"Non è necessario"
"Che cosa non è necessario?"
"Venire da Marte. Immagino c'è anche lei si sia sentito solo abbastanza spesso, dottor Bryce. E che si sia sentito alienato. E viene da Marte, lei?"
"Non credo"
"Da Philadelphia?"
Bryce sorrise. "Da Portsmouth, Ohio. Rispetto a qui, è più lontano di Marte"


I libri per caso. Quelli che cadono dalle mensole e ti chini per raccoglierli, quelli che ti regalano, quelli che sfili casualmente da uno scaffale in libreria. Quest'ultimo appartiene a questa classe. Un libro del 1963 sfegatatamente  caldeggiato dalla libraia amica fan di David Bowie (nella trasposizione cinematografica di questo romanzo è lui a interpretare il diafano personaggio principale). Mi ci sono avvicinata sospettosa per il timore fosse un racconto di fantascienza un pó datato, quindi scontato: invece si è rivelato una bella sorpresa, che azzarderei a definire un classico fuori da etichette di genere, forse uno di quei libri necessari, a prescindere. Dopo poche pagine ci si sente vicini al malinconico Newton, alla sua misteriosa storia, al suo esilio e al suo oscuro progetto. Una figura davvero unica, di sconcertante spessore, metafora  della condizione esistenziale dell'uomo moderno. La scrittura, potentemente descrittiva, disegna luoghi e paesaggi, evoca con precisione i tratti dei volti e dei gesti, racconta di un'America (quella immaginata è abbastanza fedele ai nostri reali  anni Ottanta) alle soglie di una indefinita catastrofe politica e civile, la vigilia di un conflitto inevitabile per l'ipotizzata estensione della guerra fredda (periodo in cui Tevis scriveva).  Spietata la critica all'ipocrita middle class americana, tanto fiera e sfacciata quanto in realtà sperduta e a disagio in un mondo del quale contribuisce  a creare la facciata ignorandone con cura i meccanismi più profondi. Originale anche il leit motiv che lega i tre personaggi principali, l'extraterrestre, la donna che casualmente (ma forse no) diventa la sua governante e l'ingegnere chimico che scopre la sua reale identità e la natura dell'immenso progetto al quale ambisce: la passione per l'alcool. La bottiglia di gin che solleva i loro animi tormentati dall'immensa tristezza che li accompagna e li accomuna diventa un salvagente, l'oblio che si concedono per sentirsi al sicuro quando il bisogno di sincerità, di essere se stessi emerge prepotente. Nonostante sin dalle prime pagine sia chiara l'aliena  provenienza del protagonista, lo sviluppo della trama riserva invece un finale niente affatto scontato e sicuramente toccante. 
Terminata l'ultima pagina si resta un pó attoniti, storditi dalla bruciante consapevolezza di una inesorabile alienazione, da noi stessi, dagli altri, dal mondo che viviamo. 
Siamo tutti marziani. 

"E tutt'a un tratto, guardando di nuovo la stanza con le grigie pareti anonime e l'arredamento banale, si sentì disgustato e stanco di quel posto dozzinale ed estraneo, dunque la cultura sfacciata, chiassosa, sensuale e priva di radici, di quell'aggregato di scimmie intelligenti, pruriginose ed egoiste, volgari e spensierate, mentre la loro effimera civiltà, come il ponte di Londra della canzoncina dei bambini, stava crollando, stava crollando insieme a tutti gli altri ponti".



sabato 6 agosto 2016

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giovedì 4 agosto 2016

Non Piangere, Lidye Salvayre

Il primo bugiardino che postiamo.


Ci sono libri che ti ritrovi per le mani e sono sorprese che non ti aspetti: atmosfere che ti portano indietro ad autori che furono, a titoli perduti, a una letteratura lontana.
Forse invecchiando si diventa più esigenti, si guarda criticamente alla scrittura, con diffidenza alla trama, con esasperata attenzione ai personaggi. Si legge con studio, esaminando.
Questo invece è uno di quei romanzi che dopo qualche pagina ti solleva e ti porta con sé, semplicemente, ci entri dentro ed è un’esperienza.
L’autrice nasce in Francia da rifugiati spagnoli e racconta attraverso le parole della ormai anziana madre l’estate del 1936 agli albori della guerra civile; degno di riflessione il fatto che la traduzione italiana del romanzo, a cui è stato attribuito nel 2014 il Premio Goncourt,  sia stata curata da una “piccola” casa editrice indipendente.
La scrittura è davvero trascinante (per quel poco che ne sappiamo, ottimo il lavoro di traduzione che rende benissimo il pasticciato idioma mezzo spagnolo mezzo francese della voce narrante; la quale passa spesso in terza persona lasciando il filo della narrazione alla figlia che ascolta il racconto, senza che questo disturbi minimamente la lettura); lodevole la documentazione storica che ricostruisce  luoghi ed eventi senza mai essere didascalica, costruendo uno scenario pieno della vita di personaggi uno più bello dell’altro che rappresentano le varie e controverse anime della confusa situazione politica del tempo.
Ci sono due livelli di lettura: uno più “cronachistico” che racconta il vortice di violenza che travolse franchisti, libertari, rivoluzionari, gente comune senza assolvere o giustificare nessuno.  Un quadro di generale sconvolgimento la cui interpretazione è la storia di un cambiamento mal vissuto e mal gestito, la vigilia del conflitto mondiale e il tragico monito che tutto ciò che avvampa lascia ceneri dolorose che covano per anni; che dalla parte del giusto non c’è mai nessuno se si dimentica il rispetto della vita e l’abominio della morte; che i valori non sono mai assoluti e che bisogna sempre essere disposti a cambiarli, ad azzardare lo scontro, la derisione, la condanna.
L’altro livello, invece, è pura passione. Ovunque. 
In ogni rigo, frase, negli occhi e nelle parole dei due fratelli protagonisti, dei genitori inconsapevoli e di tutte le figure che letteralmente divampano di vita, brutale, feroce, vera, che per la prima volta si fanno travolgere da una piena di emozioni appena o mai vissute, che scoprono quel disordine che al tempo stesso si ama e deprime. 
Corpi che protestano contro le censure imposte alle anime; bisogno di realtà che non può essere la vocazione alla rinuncia (ciò che tristemente insegnano le madri perché hanno paura che troppa vita la accorci troppo). 
Un innamoramento totale, di idee, visi, canzoni, che stravolge tutto, che è (questo sì) vera rivoluzione, anche se poi tutto cinicamente degenera in una guerra orribile e disperata; il ricordo radioso di un’estate, di una gioventù in cui ci si è sentiti migliori, con il cuore eternamente in tumulto, un impetuoso soffio che continua ad animarci per altri settant’anni, dissipando tutto ciò che poi di amaro la stessa vita riserva con i voltafaccia che solo lei è capace di fare.

Un libro che ha messo al sicuro tutto questo, perché c’è bisogno di soffiare ogni tanto sulle braci e rinnovare quell’infinito desiderio di poesia che è l’unico, vero motivo per cui si continua a vivere.

http://www.lasinodoroedizioni.it/novita/libro/182/non-piangere

Di libri, bibliopillole e bugiardini ...



Il maestrale a Sud porta il fresco e raffredda un’estate rovente (come ogni, come sempre).

Complici le ferie, riapriamo la serranda: fa sempre un po’ male vedere tanta polvere in giro e pensare a quanto tempo ci vorrebbe per tenere questo posto sempre aperto e pieno di bella gente. Facciamo quel che possiamo, stringiamo i denti e strappiamo ad una inesorabile routine momenti da regalare al nostro piccolo spazio.

L’unica cosa che non ci facciamo mancare, ovviamente, sono i nostri libri, panacea per le mille frette inconsapevoli che ci consumano la vita. E quindi pensavamo di ripartire da loro: dalle nostre amate #bibliopillole e, dai, NOVITÀ, #bugiardini.

L’idea è di “giocare” come al solito sull’idea della biblioterapia, pensando ai foglietti illustrativi dei medicinali: l’Accademia della Crusca ancora si interroga sul motivo per il quale vennero chiamati così, forse in riferimento al fatto che si omettevano effetti collaterali importanti nelle indicazioni prescrittive del farmaco. “Bugiarde” si chiamavano anche le locandine che si affiggevano fuori dalle edicole e, insomma, quei brevi testi nei quali, a causa del poco spazio non si poteva scrivere tutto: giusto alcune indicazioni. Anche a rischio della scarsa veridicità.

Bene, qualche sera fa discutevamo dell’abitudine che abbiamo di scrivere sempre qualcosa appena finito di leggere un libro: chiamarle recensioni ci sembra un po’ presuntuoso, diciamo impressioni, sensazioni, motivi per il quale ci è piaciuto o no. Una valutazione personale, ma che vale solo per chi scrive e quindi … bugiarda. Perché le esperienze di lettura sono, per fortuna, sempre estremamente diverse; perché giudicare un testo presuppone competenze che per quanto si possa leggere non sempre si hanno. Eppure, ne vogliamo e ne dobbiamo scrivere: e da oggi quindi postiamo i nostri #bugiardini, lasciandoli lì alla mercé di occhialini da lettura e di nasi storti o sorrisi compiaciuti.

Purché si continui.

A parlarne e a scriverne.

A leggerne. Di libri.





E&V

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