venerdì 1 settembre 2017

September Mood

Il primo settembre è una data che inevitabilmente si carica di aspettative, fauste o nefaste: a livello di immaginario collettivo e a dispetto di calendari astronomici e condizioni metereologiche, segna la fine dell’estate.
Chi vi scrive lo fa con una temperatura esterna di ancora 34 gradi  alle ore 20 (giornata tutto sommato vivibile, se si considerano i picchi roventi che qui al sud questi ultimi mesi ci hanno regalato): abbastanza lontana da un autunno agognato, insomma, per cui la caccia alle nuove uscite editoriali è una sorta di scongiuro con la scaramantica intenzione di accelerare l’avvento delle serate frizzanti, delle foglie che cadono e dei primi plaid sul divano di lettura.
Me la vedo nera, tuttavia.
Mi consolo scegliendo, fra i titoli che escono oggi o nei prossimi due mesi, quelli più accattivanti, che si attendevano da tempo o semplicemente per la curiosità suscitata da autori ancora sconosciuti.

Come al solito la lista che segue è frutto di una scelta assolutamente arbitraria, poco razionale e molto di pelle.
Come al solito, avrò, coscientemente o meno, saltato un sacco di copertine che invece garberebbero a tanti.
Come al solito, avrò inserito nomi o tematiche che a qualcuno causeranno orticarie o pruriti.
Ho provato ad inserire per ogni libro una (laconica, e non poteva essere diversamente) risposta al “perché proprio questo?”
Ma chi leggerà potrà sempre integrare, commentare, cassare: magari anche aggiungendo qualche libro che risale a qualche mese fa ma ritenuto comunque imperdibile, il ricordo migliore, ad esempio, delle letture estive.


Vi lascio curiosare.
Attendendo un’aria più fresca: buona lettura.


Kate Tempest, Let them eat chaos, e/o 

Una giovane artista inglese che sta suscitando molto scalpore perché divenuta paladina della Londra degli emarginati: poetessa e musicista, “canta” in questo romanzo le gesta di una generazione sperduta e  confusa ma sempre pronta ad entusiasmarsi, alla frenetica ricerca di legami ed esperienze che saldino le lacerazioni e colmino il caos interiore.
Uno stile fresco e arrabbiato, lontano da populismi o facili demagogie, magistralmente tradotto.

Perché è scritto in maniera genuinamente schietta e per la incrollabile fiducia, sempre e comunque, nei giovani


Laurent Gaudè, Ascoltate le nostre sconfitte, e/o
L’accattivante trama intreccia una vicenda nel Libano contemporaneo (una spia francese ed un’archeologa irachena coinvolti nei loschi traffici dei tesori dei musei arabi) con le gesta storiche di eroi del passato (il generale Grant, Annibale, l’imperatore d’Etiopia durante il colonialismo fascista).
Personaggi molto diversi e distanti nei tempi e nei luoghi che servono a costruire un’unica testimonianza sull’inutilità della guerra e del concetto stesso di vittoria. 
Vincitore del premio Goncourt (che per chi scrive è sempre una garanzia), l’autore sarà ospite del Festival delle Letterature di Mantova nel settembre 2017.

Perché è contro qualsiasi idea di guerra


Yosuke Sakumoto, Il giovane robot, e/o

Uno scienziato crea un robot il cui compito è rendere felici gli uomini; mandato in incognita fra gli “umani”, entrerà presto in crisi nonostante la sua intelligenza artificiale, i suoi circuiti e le sue capacità logiche.
O forse proprio per questo.
Una giovane donna ignara della sua natura proverà ad aiutarlo.
Una storia originale e delicata, soprattutto se si pensa che l’autore l’ha scritta partendo dalla propria dolorosa esperienza con la schizofrenia.

Perché non bisogna mai smettere di riflettere sulla nostra umanità, su uomini e macchine, su uomini/macchina.

Aleksandr Puskin, Evgenij Onegin, Quodlibet
Un patrimonio della letteratura ristampato nella più bella traduzione fatta finora in italiano. Una storia d’amore tutta ottocentesca scritta dal più grande poeta russo  e tradotta da uno dei maggiori studiosi e dei migliori traduttori di questa lingua. Il suo primo Evgenij Onegin è del 1925, in verso libero; una traduzione che ha continuato a rivedere, limare, perfezionare per tutta la vita per arrivare a questa, insuperata.
Perché non si deve smettere di frequentare l’incantato confine tra letteratura e poesia. 

Roberto Barbolini, Vampiri conosciuti di persona, La nave di Teseo
Una surreale caccia al vampiro dall’appennino modenese al confine ungherese,
 dalla seconda guerra mondiale alla Transilvania.
Nazisti, calciatori, violinisti, in un caleidoscopico romanzo ironico e visionario.
Una trama inaspettata e insolita, una prova che può essere un azzardo ma sicuramente intriga.
Perché i vampiri in letteratura acchiappano sempre, anche se estrosi.


William Kent Krueger, La natura della grazia, Neri Pozza

Romanzo di formazione ambientato nel Minnesota: un momento di speranza per la nazione americana (è stato appena eletto il giovane presidente JFK) coincide con l’improvvisa e dolorosa crescita di un tredicenne che si ritrova coinvolto suo malgrado in un mondo precocemente adulto, fatto di tradimenti, falsità, tragiche scoperte.
Perché lo hanno definito una “elegia dell’innocenza”

Joseph Andras, I nostri fratelli feriti, Fazi
Un esordiente molto acclamato ma che declina eventi mondani ed onorificenze, dichiarando che preferisce la scrittura alla notorietà: la trama è ambientata in una città divisa tra due mondi e narra la tragica storia di un giovane idealista.
In realtà Andras romanza la vera storia dell’operaio francoalgerino che combattè per l’indipendenza del paese ma fu scambiato per un terrorista.
Algeri nel 1956 è lo scenario di una vicenda che mette in risalto le contraddizioni e la ferocia della guerra “controsovversiva” francese.

Perché narra di uno dei periodi storici più cruenti e poco conosciuti del secondo dopoguerra.


João Ricardo Pedro, Una cartolina da Detroit, Nutrimenti
In uno spaventoso incidente ferroviario perdono la vita molti studenti: a partire dal ritrovamento di uno zaino, un ragazzo  cerca di ricostruire gli ultimi giorni di vita della sorella il cui corpo non viene identificato tra le vittime straziate dalle lamiere. 
Sarà altrettanto difficile individuare dai quaderni ritrovati una persona che si credeva conosciuta e senza misteri e che si rivela invece molto lontana dall’immagine familiare. Pedro viene ritenuto il più interessante scrittore contemporaneo portoghese.

Perché sono rimasta incantata dal suo romanzo d’esordio, Il tuo volto sarà l’ultimo (Nutrimenti, 2015), e perché non bisognerebbe  mai fidarsi delle apparenze

Emiliano Monge, Terra Bruciata, La Nuova Frontiera

Autore messicano acclamato come una voce importante della nuova narrativa latinoamericana, in questo romanzo narra dell’orrore e della solitudine dei migranti di tutti i luoghi e di tutti i tempi, un mondo in cui gli esseri umani sono merci, in cui la violenza dei sequestratori resta sconosciuta al di fuori delle indagini giornalistiche. 
Un titolo che rilancia anche la casa editrice, che cambia la veste grafica con un nuovo logo e nuove copertine, soprattutto per la collana “Liberamente” che ospita anche questo testo insieme ad altre voci iberoamericane come Valeria Luiselli e Paco Ignacio Taibo II.

Perché talvolta i romanzi fanno più luce delle inchieste sulle drammatiche realtà contemporanee


George Saunders, Lincoln nel Bardo, Feltrinelli
Bardo in tibetano vuol dire transizione: un momento di passaggio, una sospensione, un limbo.
Per Saunders è un coro di spiriti che dall’America della guerra civile fino ai giorni nostri movimenta una notte surreale, offrendo lo spunto per riflettere sulla vita e la morte, sul dolore e il distacco, sull’assurdità delle esistenze umane. 
La trama si innesta sulla morte del figlioletto di Abraham Lincoln, consentendo a Saunders di mettere alla berlina le grandi imprese umane di fronte al mai accettato evento supremo di qualsiasi vita, di ogni individuo, mescolando la tragedia all'ironia, scegliendo come protagonista del suo primo romanzo (fino ad ora ha pubblicato racconti) un presidente americano.

Perché i racconti di Saunders li ho trovati tutti geniali, irriverenti e cinici, dissacranti e crudi nel mettere a nudo le pieghe dell'umanità.



Filippo de Matteis, Cuori di seppia, elliot

Alcuni versi scritti da una prigionia e rinvenuti casualmente mettono il giovane protagonista sulle tracce di una donna misteriosa morta vent’anni prima. 
Indagando su questi eventi remoti, si ritroverà a dover fare i conti con una verità sconosciuta e con la propria reale personalità, mascherata da un passato ignoto e da legami di sangue persi nella memoria.

Perché ci piacciono i noir psicologici e incuriosisce il giovane esordiente pugliese


Smith Henderson, Redenzione, Einaudi

Un esordio che la critica americana ha osannato, mettendo il nome di Henderson accanto a quello di Raymond Chandler e Denis Johnson: un padre e un figlio coinvolti in una disperata caccia all’uomo nelle valli del Montana, presi di mira dai federali quando un assistente sociale segnala che l’uomo, affetto da manie religiose, vive nei boschi con il malnutrito bambino. 
Una storia di fanatismo e violenza, di due individui braccati e di una rabbiosa ricerca che trasformerà tutti i protagonisti.

Perché evoca quelle fughe da se stessi che ognuno dovrebbe provare, una volta nella vita


Vladimir Nabokov, la gloria, Adelphi (copertina non disponibile)
La storia di un giovane gentile e idealista che insegue i propri sogni e vagheggia imprese valorose percorrendo in lungo e in largo l’Europa della rivoluzione bolscevica, dalla Crimea, alla Svizzera, alla Germania, rimanendo sempre preda dei propri impulsi magici e di creature femminili che lo stregheranno con una sapienza molto concreta che a lui sempre sfuggirà.  
Martin il protagonista si perde ogni volta nel vago, nel proibito, celando una profonda insicurezza che regala al romanzo una struggente malinconia.

Perché Nabokov va letto a prescindere



Luis Sepulveda, Storie ribelli, Guanda 
Racconti che ripercorrono quarant’anni, dal 1 settembre 1973 alla morte di Pinochet.
Ricordi, testimonianza, vicende che vedono protagonisti nomi come Saramago e Neruda, brevi storie dense a ricostruire un’epoca terribile e ancora oscura, un Cile celebrato nella sua bellezza naturale contaminata dal sangue di decenni di odio, la grande scrittura di Sepulveda a narrare come solo lui sa fare una vita avventurosa.

Perché non si è mai stanchi di leggere Sepulveda


Colson Whitehead, La ferrovia sotterranea, SUR

Nell’Ottocento schiavista americano esisteva una organizzazione segreta che aiutava le persone di colore a fuggire verso gli stati abolizionisti.
Questa rete veniva chiamata “the underground railroad” e Whitehead prende spunto dal nome per  un’invenzione letteraria originale e appassionante, una vera ferrovia sui cui treni la protagonista inizia il suo viaggio verso la libertà.
Il romanzo è stato pubblicato in America l’anno scorso vincendo sia il National Book Award che il Premio Pulitzer ed è diventato il simbolo dell’antirazzismo.

Perché continuiamo a vivere tempi bui, nonostante il tredicesimo emendamento


Megan Mayhew Bergman, Paradisi Minori, NNEditore

Una raccolta di racconti: vite comuni, i problemi quotidiani, l’umano confrontarsi con la giornaliera costruzione del sé, con la ricerca di affetti solidi, con l’inseguire mete e ambizioni.
Ogni storia unisce il protagonista ad un animale, che siano quelli domestici con i quali si condivide la casa o esemplari rari da studiare, a fondere in un’unica compassione tutte le creature perché accomunate dagli  stessi dolori, dalla stessa estenuante lotta per l’esistenza.
Perché i racconti del quotidiano, quando riescono, sono tra le più belle prove letterarie in generale

Simon Reynolds, Polvere di stelle, Minimum Fax
Lo scrittore americano è stato un accanito fan di David Bowie: in occasione della sua scomparsa ha ripercorso, utilizzando la musica come strumento critico, il periodo storico che va dagli inizi degli anni Settanta fino ai giorni nostri. 
Oltre ad una vasta panoramica sui fenomeni del glam-rock più fmaosi, inglesi e statunitensi, Reynolds scopre un universo artistico che nasce anche da suggestioni letterarie e filosofiche.
Una bella profondità analitica, oltre che l’accorato saluto di un fedelissimo del  Duca.  

Perché we can be heroes, just for one day, we can be us, just for one day


Arto Paasilinna, Emilia l’elefante, Iperborea  
L’irresistibile umorista finlandese ambienta questo suo ultimo romanzo in un circo, la cui mascotte, una elefantina, si ritrova ad attraversare l’Europa e la Russia per “tornare” alla natia Africa.
Paradossale e canzonatorio, tra situazioni grottesche e personaggi improbabili (umani e non), il finale regala anche, spenti i riflettori e le risate della sua nota penna, un amaro spunto di riflessione.

 Perché sono pazzi questi finlandesi …



Adalet Agaoglu, Una nebbiosa mattina di Ankara, L’asino d’oro edizioni
L’autrice è una attivista politica turca che ricostruisce, attraverso la voce della protagonista (una aspirante suicida) le contraddizioni e la bellezza umiliata della Turchia di Erdogan.
Un romanzo che svela, sotto la veste letteraria, una situazione storica spesso occultata dalle fonti di informazione.



Perché certe voci raccontano parole che altri non possono più dire


Rose Macaulay, La famiglia Potter, elliot

Due fratelli si ribellano alla famiglia conformista nella quale crescono, tra l’ipocrisia perbenista inglese, gli studi oxoniensi e la ricchezza ostentata. L’autrice inglese, scrittrice già dai primi anni del 1900, sotto l’influenza di Virginia Woolf e Anatole France, fu una figura parecchio chiacchierata per l’età edoardiana: riuscì a scattare la fotografia di un’epoca che già preludeva alla guerra, lasciandoci un ritratto di un periodo controverso che se da un lato vagheggiava ancora i fasti della regina Vittoria dall’altra si spendeva già nelle lotte per l’emancipazione femminile e per la tutela dei diritti.

Perché fa sempre bene ravvivare il ricordo di chi ha lottato per l’emancipazione


Mercedes Lauenstein, Di Notte, Voland
Venticinque storie scritte da un’ autrice tedesca al suo esordio: venticinque persone che fronteggiano gli abissi della notte pagando, nell’oscurità, il conto delle paure diurne. 
Attratte dal silenzio e della solitudine, si ritrovano faccia  a faccia con una donna che, in una Monaco silenziosa, sceglie una finestra rimasta illuminata, si siede con loro, beve, fuma, e li ascolta, in silenzio. 
Lascia che le loro ombre più scure si proiettino sui muri, perché la luce del sole è troppo abbagliante perché esse possano danzare allungandosi. La loro vera vita comincia al tramonto perché c’è chi non può o non vuole dormire.

Perché prima o poi dobbiamo spegnere la luce ...

mercoledì 9 agosto 2017

Bibliopillola n.22: ricostituenti indispensabili, i "Classici"

Joseph Conrad, All’estremo limite, Quodlibet Compagnia Extra, 2017 


 Mi ero detta qualche giorno fa "ho voglia di leggere un classico"; e quando ho chiuso, con grande, grandissima soddisfazione, l'ultima pagina di questo libro, ho saputo con certezza di averne sfogliato uno. 
 La questione adesso è provare a capire cos'è un classico. 
 Spolverando reminiscenze scolastiche e universitarie ho ricordato quanto sia rischioso azzardare una definizione, perché si è di fronte ad un concetto che presuppone qualcosa di oggettivo in maniera indiscutibile, che richiama una tradizione consolidata di canoni, criteri e valori, estetici e culturali. Il che significa, come ha sottolineato una recente critica letteraria americana, che ciò che viene stigmatizzato come classico è solo il prodotto della cultura dominante di un luogo specifico in un periodo preciso (tant'è che prima di Poe, Steinbeck e Roth i ragazzi yankee studiano Omero, Virgilio e Shakespeare, tributo ad una classicità letteraria occidentale abbastanza imposta e poco amata).
E vabbè, anche nella vecchia Europa un paio di secoli prima qualcuno aveva definito la cultura “sovrastruttura”, quindi ci si infila in una querelle di difficile risoluzione. 
 Pare che si debba scegliere cosa definire classico, insomma. 
 Ma come si può determinare che un libro sia indiscutibilmente e in assoluto bello? 
Conrad mi ha offerto una sensazione che non provavo dai tempi del liceo, grazie anche alla bella edizione Quodlibet e alla magistrale traduzione (pubblicata per la prima volta) di Gianni Celati: quella di accomodarmi in un testo che richiede una lettura piena, pacata e profonda, una scrittura che sospende tutto intorno a sé e al libro, che abbisogna di tempi lunghi per seguire l'ampio respiro delle frasi costruite parola per parola. 

 Mi è venuto in soccorso Italo Calvino:

 È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
 È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona. 

 Questo libro crea una realtà parallela grazie all'incomparabile perizia stilistica di rendere minuziosamente paesaggi, colori, odori, suoni; e a quell'inarrivabile capacità di scandagliare l'animo umano senza creare scompiglio in superficie. L'apparentemente placida navigazione fluviale del piroscafo Sofala, dalla Malesia alla Birmania, tra fango e mangrovie, lascia presagire le atmosfere de La linea d'ombra (scritto quindici anni dopo): l'anziano capitano Whalley, uomo integro, massiccio, una solidità di fisico e di principi, rappresenta la fine dell'epopea coloniale nell'immobile trasformazione di un oriente anacronistico. Signorile e cortese, crede socraticamente che chi compia il male lo faccia solo per ignoranza del bene: è assolutamente incapace di concepire la cattiveria deliberata, di scorgere doppi fini o magheggi alle proprie spalle. Convinto di una sorta di immortalità che la sua probità dovrebbe garantirgli, si ritrova invece e all'improvviso travolto da un dramma che non saprà affrontare. 
Spiazza (oggi) leggere di tanta fiducia nell'umanità, così come sorprende un'interpretazione colonialista fuori da logiche esclusivamente commerciali, diretta ad una civilizzazione (non si comprende quanto realmente ingenua) volta a liberare "individui stupidi" dalla possibilità di diventare malvagi. E invece intorno al capitano ci sono arrivisti, gente che vuole fare strada o arricchirsi ad ogni costo, sleali e corrotti, premonizioni del secolo appena iniziato. E quando si consuma la tragedia che abbatte ogni sua certezza essa assume l'amaro sapore di una nemesi divina, un mondo intero che scompare nel buio di tempi che furono. 
Contemplare la rovina e la solitudine di un uomo induce a riflettere sulla propria esistenza: a distanza di più di un secolo, scenari e luoghi diversi e ormai lontani diventano specchi più nitidi della stessa contemporaneità. 
Proprio perché salta agli occhi la lontananza di certe dinamiche sociali. 
Come se l'uomo fosse sempre e ancora uomo, nonostante o tuttavia si guardi al passato come un'epoca superata in funzione del progresso, dell'evoluzione e del miglioramento. 
 Il finale è commovente, come in un film d'altri tempi, di quella pietà che, avendo perso, si ritrova solo in un classico. 

 Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui. 

 A proposito, grazie, Italo. 

 Le citazioni sono tratte da I. Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Milano, 1995

mercoledì 2 agosto 2017

Bibliopillola n. 21: Per tenere insieme i pezzi


Andrés Neuman, Frammenti della notte, Ponte alle Grazie

Neuman mi aveva già colpita con “Le cose che non facciamo”, racconti che rivelano l’impressionante capacità di scomposizione della sua scrittura, una specie di occhio di bue che mette in luce dettagli e aspetti minimi dell’esistenza rischiarandola spietatamente; questo libro (il suo primo romanzo, redatto quindici anni fa) è strepitoso.
Roberto Bolano ha scritto che ne è stato “soggiogato” e “ipnotizzato”: mica uno qualsiasi.
E l’effetto è precisamente quello: un’esperienza ammaliante, emozionante ma senza eccessi, di una coinvolgimento quasi pudico. Neuman ha la rara capacità di rendere lirica una scrittura asciutta e senza orpelli; una trama disincantata, a tratti rassegnata, assume una potenza narrativa incredibilmente empatica.
Demetrio Rota è il protagonista: un protagonista in bianco e nero, un netturbino anonimo e senza storia che vive una condizione quotidiana perennemente intontita dalla mancanza di sonno (i turni di lavoro iniziano molto prima dell’alba e finiscono nella tarda mattinata). Una vita piatta condivisa con un inconsapevole (e per questo molto più felice di lui) collega/amico, in cui l’unica occasione di svago è il puzzle serale che l’uomo si concede prima di mettersi a dormire nello squallido appartamentino da single.
Ogni sera, tutte le sere, unisce i frammenti: tessere di paesaggi che gli ricordano la citta natia (Bariloche, che è anche il titolo originale del romanzo), una località perduta in mezzo ai boschi dove ha vissuto forse l’unica felicità che un’esistenza parecchio grama gli ha concesso, un amore giovanile ancora rimpianto. E ricompone cieli e alberi così come raduna ricordi e pezzi della propria vita già esausta, così come al lavoro nelle asfittiche aurore di Buenos Aires raccoglie i rifiuti scartati da altri esseri che palpitano e pulsano intorno a lui. Quasi scansandolo. Non c’è riconoscimento tra lui e la città, non gli appartiene, abita ancora un’adolescenza  che gli ha accordato un fugace amore, quel tanto che basta per sapere che esiste. Eppure arriva sempre un momento in cui le monotonie che salvano, perché regalano un finto ordine al quale aggrapparsi,  si rompono: il momento in cui le tessere non combaciano. In cui scompaiono i pochi punti di riferimento, in cui un tradimento inaspettato fa crollare il cielo cartonato che aveva costruito per ripararsi dalla pioggia: e comprende che non ha fatto altro che restare ingabbiato in un passato, che la sua vita si è rotta definitivamente molto tempo prima. 
Non voglio dire altro sulla storia; aggiungo che mi ha fatto tanto pensare sulla necessità di ognuno di noi di tenere insieme i propri pezzi. 
Abbiamo alle spalle trascorsi che innegabilmente sono parte di ciò che siamo, con i quali siamo costretti a fare sempre e comunque i conti. Spesso tuttavia non riusciamo a volgere il capo in avanti, a riprendere la forza e la volontà per progettarci, rilanciarci, rimetterci in discussione. Siamo stanchi, o impantanati nel troppo già vissuto, incapaci di credere che ci si possa stupire ancora: e limitiamo gli sforzi ad evitare ulteriori danni, e impariamo a convivere con gli spettri diafani dei tempi che son stati. 
Provando la sensazione di essere stati ormai scacciati dalla propria esistenza, come reietti: “se non posso vivere come voglio, allora preferisco non pensare che c’è un’altra vita”.

Eppure, forse non è così necessario che il puzzle si ricomponga sempre alla perfezione. Non è indispensabile che tutti i frammenti si incastrino esattamente tra loro: anche una visione d’insieme incompleta può rappresentare qualcosa,  una promessa non è per forza qualcosa di intatto.

A quei tempi non lasciavo mai i puzzle fatti dopo averli completati, mi sembrava non avesse senso, ora invece sento il bisogno di avere qualcosa che non sia rotto

Anche se ci scomponiamo, in ognuno dei pezzi c’è parte di noi, anche in quelli in cui gli angoli si sono scollati e non possono più unirsi ad altri. L’esattezza della vita a un certo punto si sporca: ma siamo fatti anche del più piccolo dei nostri sbagli.
Un libro davvero umano, che mi ha profondamente toccato.



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