giovedì 1 settembre 2016

Primo bugiardino di settembre

Un certo Lucas, Julio Cortázar, SUR

Bozzetti di vita disegnati dalla dissacrante penna di Cortazar, a rendere splendidamente letteraria la poco riverente quotidianità della vita di tutti i giorni. 
E’ la bacchetta del Mago ad attribuire unicità ed irripetibilità a gesti comuni, addirittura insulsi; solo lui poteva permettere l’irruzione dell’ovvio nell’invenzione artistica e trasformare semplici vignette di vita in bellissimi microracconti.  
Canzoni, ricordi, articoli di giornale; impressioni di un ristorante, di ospedali, storie d’amore, amici, gatti, metrò,  tutto diventa un gioco, talvolta divertente e ridanciano, talvolta esercizio di stile criptico e intellettualistico, ma sempre  spiazzante. 
Il suo scrivere è una dilatazione della realtà in pochissime righe che il lettore (ed è un compito faticoso) deve prima intravedere poi scoprire: il suo spagnolo è insofferente, cinico, disincantato, anche volgare e parla per immagini che si scoprono potenti metafore dei nostri limiti, delle nostre paure, delle nostre dipendenze. Ci costringe a metterci in discussione, lo si legge e rilegge con la fronte aggrottata, fino a che un sorriso spiana le rughe quando tutto torna al suo posto in uno sforzo di comprensione che è il fascino stesso della sua sperimentazione.  Chi lo affronta non è mai prigioniero delle sue parole, sembra quasi che lui ci possa guardare con un sorriso ironico piantato in mezzo al viso e l’eterna sigaretta in bocca, come a dire “vediamo come ne esci”. 
E ne esci rinfrancato, perché alla letteratura non occorre la solennità o la prosopopea; 
e ne esci deliziato dall’immensa bellezza che poche frasi possono svelare dal nulla. 

Si intravede, al di là delle sperimentazioni o del semplice gioco narrativo, anche un intento poetico, di quella poesia che solo la vita di tutti i giorni può restituire. 
Se si impara a coglierla, come fanno i “cacciatori di crepuscoli”.

Comunque, se fossi un cineasta, credo che mi arrangerei in modo da andare a caccia di crepuscoli, in realtà di un unico crepuscolo, solo che per arrivare al crepuscolo definitivo dovrei filmarne quaranta o cinquanta, perché se fossi un cineasta avrei le stesse esigenze che ho con le parole, le donne o la geopolitica. Non sono un cineasta e mi consolo immaginando il crepuscolo già catturato, che dorme nella sua lunghissima spirale in scatola. Il mio piano: non soltanto la caccia, ma la restituzione del crepuscolo ai miei simili che lo conoscono poco, voglio dire alla gente di città che vede tramontare il sole, se lo vede, dietro il palazzo delle poste, dietro gli appartamenti di fronte o in un suborizzonte di antenne televisive e lampioni.




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