domenica 31 dicembre 2023

Best of 2023


Senza supponenza né sicumera, ma solo per il priscio* di dire la mia, chissà possa servire a qualcuno, elenco le letture TOP 5 dell'anno che sta per concludersi.

1) Cormac McCarthy, dilogia Il passeggero e Stella Maris, per i motivi di cui sopra.
Ci mancherà, Cormac ...

Il punto è che centomila anni fa qualcuno è saltato su nel letto in veste da camera e ha detto Porca Merda. Si fa per dire. Ancora non possedeva un linguaggio. Ma quello che aveva appena capito era che una cosa può esserne un'altra. Non somigliarle o agirla. Esserla. Incarnarla. I ciottoli possono essere capre. I suoni possono essere cose. Il nome dell'acqua è acqua. Quello che a noi sembra irrilevante in virtù dell'abitudine in realtà è il concetto fondativo della civiltà. Il linguaggio, l'arte, la matematica, tutto. In ultima analisi il mondo stesso e tutto ciò che contiene. E mi pare di capire che la cosa più importante sia la matematica.
Beh, sono una matematica.
Quindi Dio è un matematico? 
Dio non sa fare due più due, zero e uno sono tutto ciò con cui gli è ha dato lavorare. 
Il resto siamo noi.

 

2) Italo Calvino, Gli amori difficili: quindici avventure che risalgono agli anni Sessanta del secolo
s
corso, eppure queste novelle di una bellezza rarefatta, simile a quella che si potrebbe ammirare nelle foto impossibili fatte ai sogni, raccontano ancora, forse anche meglio, gli amori, o perlomeno quelle parole e quei silenzi che definiscono, insieme, da sempre, le relazioni tra le persone. 
Perché si può amare anche non incontrandosi mai, rimanendo assenti se non sulla pelle e nella mente dell'altro, e si può definire amore anche quel voyeurismo dell' avventura che nasce tra gli sguardi. 
La poetica visiva di Calvino regala al lettore immagini di un soldato e una donna all'interno di un vagone ferroviario, di un bandito e e della sua compagna, evoca la solitudine della nudità, ci sorprende con l'inattesa audacia di un comune impiegato, con ciò che realmente vede dietro l'obiettivo un fotografo;  dipinge quasi la comune miopia di ogni amante e insieme quell'esaltazione che, sola e benedetta, sentiamo davvero di definire vita, mentre gli anni scorrono. 
Il valore incantevolmente simbolico di questi quadretti sta nel tentativo di un "poeta" contemporaneo di descrivere ciò che si può provare senza argomentare sui sentimenti  ma solo usando poche parole nude, poiché 
non a tutti è dato fissare con gli occhi aperti e il sole è solo lì, davanti a noi, e non può essere tradotto in nient'altro, forse nemmeno in un ricordo.

3) Amos Oz, Giuda: il
 tradimento più famoso della storia.

Yehuda, colui che lodava Dio, consegna il Cristo a Ponzio Pilato per trenta denari.

Ma esiste un Vangelo apocrifo che racconta una storia diversa e presenta l’Iscariota come 

colui che conosceva la Verità come nessun altro e per questo ha realizzato il mistero del tradimento, in seguito al quale tutto, in terra e in cielo, rimase sconvolto: la consegna alle autorità romane fu in realtà concordata segretamente e il gesto di Giuda non fu altro che un atto di obbedienza per permettere la vera e unica redenzione possibile.

In questo romanzo ambientato a Gerusalemme negli anni Sessanta, un giovane studioso si ritrova ad ascoltare una storia misteriosa e diversa che non è solo il punto di vista ebraico della figura di Giuda nel Cristianesimo ma anche una profonda disamina di se stesso, poiché tradimento è anche assenza e tutto il dolore di un amore perduto, forse quello di una intera civiltà. Shemuel lascia l'università e inizia a lavorare come persona disposta a tenere compagnia ad un colto settantenne che vive con una misteriosa e affascinante donna. 

Un memorabile terzetto che tra le mura di una casa fuori dal tempo consumano dialoghi bellissimi, sulla vita, sulla storia di Israele e sulle religioni, sull'amore e sulla letteratura, sempre con un tono mai meno che colto e ironico, senza tuttavia pesantezze o barocchismi accademici. 


In fondo, l'amore somiglia moltissimo all'odio e gli è più prossimo di quanto non si pensi normalmente.Thomas Mann ha scritto da qualche parte che l'odio non è altro che amore con il segno meno. Il padre di Atalia sognava che ebrei ed arabi si sarebbero amati gli uni con gli altri, bastava risolvere le incomprensioni. Ma si sbagliava di grosso. Tra ebrei e arabi non c'è e non c'è mai stata nessuna incomprensione. Al contrario. Ormai da qualche decennio c'è piuttosto un'intesa perfetta e assoluta: gli arabi di qui sono legati a questa terra perché è l'unica che hanno, non ne hanno nessun' altra, e noi siamo legati a questa terra per la medesima ragione. Loro sanno che noi non ci rinunceremo mai e noi sappiamo che loro non ci rinunceranno mai. Pertanto, ci siamo capiti benissimo. Non ce n'è mai stata incomprensione. Ti dico anche che malgrado tutto quello che ho detto prima, beati i sognatori e sventurati coloro che hanno gli occhi aperti. I primi non ci salveranno di certo, né noi né i loro discepoli, ma senza sogni e senza sognatori la maledizione sarebbe mille volte di più. È per merito dei sognatori se anche noi, disincantati, siamo un po' meno di pietra e disperati di quanto saremmo senza di loro. E adesso per favore portami un bicchiere d'acqua che riprendo a leggere Gogol. Lui sapeva quasi tutto quel che c'è da sapere su come siamo fatti. Sapeva e si spanciava dal ridere. Ma tu è meglio se non lo leggi. No. Tu, leggi Tolstoj, piuttosto. È molto più adatto a te. Portami per favore il cuscino che sta sul divano, grazie. Tolstoj è quanto di meglio esista per i sognatori.
Non credevo ai presagi quando l'ho letto, ben prima del 7 ottobre di quest'anno ...

4) Stephen King, OssessioneRage (titolo originale) vide la luce nel 1977 ma non ebbe grandi riscontri di vendita.

Scritto almeno dieci anni prima, quando l’autore era all’ultimo anno di liceo, King ripubblicó questo libro nel 1985 utilizzando per la prima volta lo pseudonimo Richard Bachman.

Era all’interno di una collana chiamata The Bachman Books nella quale c’erano anche La lunga Marcia, Uscita per l’Inferno e L’uomo in fuga.


Nel 1998 King chiese di interromperne la pubblicazione e Rage non fu più stampato.

Questo perché in California, a Washington e nel Kentucky accaddero dei terribili episodi di cronaca nera che videro protagonisti studenti (molti hanno visto l’epilogo di questa catena nel massacro della Colombine High School del 1999): per pianificazione degli eventi, queste stragi ricordano molto la trama di questo libro (la cui lettura, peraltro, accomunava gli autori degli episodi e questo fece esplodere una violenta polemica contro King).


Lo stesso King ha più volte sostenuto che sia un bene che il testo sia ormai fuori catalogo, ma ha anche sottolineato, in una delle molteplici interviste che ha rilasciato sulla tormentata storia di questo "libro maledetto", ("non lasci una tanica di benzina dove un ragazzino con inclinazioni alla piromania può mettere le mani", in Guns, che ho letto subito dopo) che non fu certo la lettura del suo romanzo a renderli assassini, erano già distrutti per le loro tristi vicende familiari e adolescenziali.


Il libro è bellissimo, lo dico subito: contiene delle verità che da adulti tendiamo a dimenticare, cioè tutte le sofferenze dell'adolescenza, insieme ad una lucidità spietata su quanto gli adulti stessi facciano danni terribili ai ragazzi. La storia narra di un diciassettenne (è scritto in prima persona) che un giorno irrompe nell'aula di Algebra, fa fuori la professoressa e sequestra i suoi compagni di classe. Da quel momento, "la svolta": tutti sono costretti a fare i conti con i propri inferni personali, mentre gli adulti impazziti intorno, dal preside, ai poliziotti, ai negoziatori che assediano la scuola fingono di essersi dimenticati che sono cresciuti ricordando ogni parola di disprezzo ed ogni schiaffo.

E' uno dei libri migliori di King: personalmente, lo farei leggere a qualsiasi persona abbia a che fare con adolescenti, si tratti di genitore o educatore. 

Gli astronomi chiamano terminatore quella linea di demarcazione tra la luce e le tenebre. L'altro lato dice che l'universo ha tutta la logica di un bambino mascherato da cowboy per Halloween con le viscere e il suo sacchetto di caramelle spiaccicate per più di un miglio di interstatale 95. Questa è la logica del napalm, della paranoia da valigie bomba portata in giro da allegri arabi, di un carcinoma sviluppatosi a casaccio. È una logica che divora se stessa. Dice che la vita è un gioco ai quattro cantoni, dice che la vita rotola con la stessa estetica casualità della monetina che si lancia per vedere chi deve offrire da bere. Nessuno va a guardare quell'altro lato se proprio non c'è costretto e lo posso ben capire. E non mettiamoci a dire che è una follia, perché è tutto perfettamente normale e sano e tutto quello che è sulla dalla norma non accade solo fuori. È anche dentro di voi, in questo preciso istante, a crescere al buio come funghi magici. Chiamiamolo la cosa in cantina.

5) Marcello Fois, Del dirsi addio gialli, in generale, insegnano a cambiare punto di vista; a sovvertire le logiche; a non sentirsi sempre degli dei, come Zeus che 


aveva un curriculum di tutto rispetto, in quanto a essere uno che non sopportava l’idea di non poter fare qualcosa, caratteristica che poi ha trasmesso a miliardi di umani.

Dovrebbe essere un noir, questo romanzo incentrato sulla sparizione di un bambino, ma quel che davvero accade è il caleidoscopico fiorire di sentimenti e interiorità, il deflagrare di silenzi e cose taciute, il rimettere in gioco il passato per ridiscutersi al presente: un’implosione che coinvolge tutti i personaggi, il commissario che indaga, i genitori del piccolo, le loro storie, i loro amori e rancori, ciò che avrebbero dovuto essere in una terra primigenia da cui comunque emersero, millenni prima. Una grande storia, ben congegnata e perfettamente cesellata, pagine intense, piene e profonde, sia che si parli dell'indagine sia che si passi attraverso le intricate e connesse relazioni che legano protagonisti e comprimari. 


Il tutto con la magica penna di Fois. Che mi piacesse la sua scrittura lo so dai tempi di "Stirpe" (epico), "Quasi grazia" e dal "Manuale di lettura creativa". 

Tu insegui un sogno disperato, questo è il tuo tormento. Tu vuoi essere, non sembrare di essere. Essere in ogni istante cosciente di te, e vigile. E nello stesso tempo ti rendi conto dell' abisso che separa ciò che sei per gli altri da ciò che sei per te stessa, e provoca quasi un senso di vertigine, un timore di essere scoperta, di vederti messa a nudo, smascherata, riportata ai tuoi giusti limiti. Perché ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia.


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*priscio: termine barese che indica gaudente contentezza,  gioia contagiosa che vale solo se condivisa, ottativo entusiastico per qualcosa che verrà. 

In una parola, tutto ciò che vi auguro per il 2024.

Buon Anno

giovedì 28 dicembre 2023

Le Liste dei Buoni Propositi


Non amo i buoni propositi, le date fatidiche e i bilanci.


Non mi piacciono nemmeno le liste da spuntare, gli elenchi e i memorandum: ma mi servono, perché se non traccio percorsi, segnando su mappe mentali rifugi e recinti, scappo alla prima occasione per rientrare nel Caos primordiale da dove provengo.


Che non è un male a prescindere: ma è un po’ come quando ci si alza la mattina, che occorre lavarsi e vestirsi prima di iniziare la giornata, mica tuffarsi nudi nella vita senza sapere bene cosa andarci a fare, se non esclusivamente vivere.


Ecco. 

Esclusivamente vivere.


Direi di ripartire invece proprio da qui. 


Da quanto mi è mancato in tutto questo lunghissimo anno (sto per fare un bilancio, ahimè) avere tempo da spendere in ciò che non fosse un mettere in ordine, sistemare, aggiustare. 

Avrei voluto invece non sapere bene cosa fare in molte e di molte giornate, senza quella mano alla gola della della spunta da mettere ai TO DO inesorabili e imprescindibili e necessari e obbligatori. 

Insomma, vorrei recuperare un Caos buono (e questo è un proposito per il 2024) nel quale gigioneggiare per ore, grazie al quale stupirmi di cose che accadono senza che le preveda e organizzi; il Caos creativo regno dell’inedito, delle cose fatte di getto, quello delle risate spontanee e del prendere a destra invece che a sinistra al solito incrocio. 


Per cui l’accetto pure l’idea di buttarla giù, questa lista, stamattina: ma non voglio che sia un elenco ordinato. 

Voglio scrivere in mezzo e non sui righi (fuori sarebbe anche meglio) cose da fare senza scadenze, progetti senza deadline, attività inutili ma gioiose, viaggi (anche fuori di testa senza programmare voli e alberghi) e soprattutto letture&libri.


Che mi sono mancati assai assai: per cui scriverò pure dei più belli tra i pochi che ho letto, di quelli che usciranno il nuovo anno e vorrei leggere, insomma inizio la lista dei buoni propositi 2024 da qui.


Da Apoteche, dalla Farmacia Letteraria dove oltre che terapie per malanni vorrei mettere sugli scaffali pillole rosse per tane di Bianconigli  e pozioni magiche e tante meraviglie. 

Che ho bisogno di tornare a stupirmi. 


ERGO: 


To Read (o prima TBR dell’anno nuovo, come dicono i “cciovani”): nella foto regali natalizi e non per aprire i recinti.

  • Ben due Cărtărescu, autore amatissimo della farfalla di Bucarest (si veda la trilogia Abbacinante, della quale mi mancano ancora un'ala e il corpo): Melancolia per La nave di Teseo, fresco di stampa, e Travesti per Voland che risale al 2000. Che dall'Est arriva la nuova letteratura, sempre, che poi non è altro che la vecchia raccontato finalmente bene e in lingua nuova. 

  • Veronica Raimo, La vita è breve eccetera, undici irriverenti racconti per Einaudi, 2023, che i racconti bisogna SEMPRE leggerli.

  • Un Baricco ci sta sempre bene. Soprattutto l'ultimo: Abel, Feltrinelli.

  • Con Bret Easton Ellis devo fare pace, con i suoi anni Ottanta e i serial killer, soprattutto: quindi le ultime sue 750 pagine di opportunità in Le schegge, Einaudi.

  • L'ora di greco, della coreana Han Kang: ancora una lingua "nuova" per ricordare quanto siamo linguaggio e quanto Platone abbia insegnato non solo all'Occidente. Anche questo ultima pubblicazione della scrittrice de La vegetariana per Adelphi. 

  • Domicilio sconosciuto è un omaggio all'eterno gioco reale/immaginario che è tutta la letteratura latinoamericana, un istituto di specchi e labirinti disegnato dal bravissimo Funetta in cui si incontrano i grandi scrittori dell'altro Sud del mondo. Utet, 2023

  • Un altro coreano: Cheon Myeong-Kwan è arrivato finalista all’International Booker Prize 2023 e questo è uno dei romanzi più amati in Corea del Sud, picaresco romanzo che racconta in chiave grottesca la trasformazione di questo paese, gran bel colpo editoriale di edizioni e/o: Whale.

  • Infine, un gotico vintage di Alexandre Dumas, gioiellino per la mente e per gli occhi grazie alla straordinaria cura editoriale di Abedizioni. Uno tra i suoi primi romanzi, scritto nel 1883: ambientato in una abbazia e con protagonista una giovane donna spettrale, Pauline, ad animare una indagine inquietante e avvincente intorno ad una vicenda oscura e segreta.  

domenica 29 ottobre 2023

Caos e Cosmos, McCarthy e i fratelli Western

Come si può scrivere degli ultimi due libri di McCarthy, considerando che la rete pullula di  post, articoli, interviste che negli ultimi mesi hanno prodotto un'esegesi esperta ed appassionata dell'opera dello scrittore?
Con la determinata convinzione che sia utile, scriverne, anche se con modestia letteraria e critica: senza l'ardire di lasciare un contributo illuminante ma con la sensazione di aver imparato da Alicia che vorremmo sempre parlare a qualcuno di qualcuno, fosse pure di noi stessi. O di assenze colmate da invenzioni narrative, o di teorie che lascino un riferimento ad altri che, come noi, non sempre possono tutto tramite il linguaggio. 
Il paradosso più bello della letteratura.    
    
Ps: SPOILER ALERT


Il passeggero, Cormac McCarthy
 "Cosa siamo noi? 10% biologia e 90%  mormorio notturno"


Novembre 1980: Bobby Western è specializzato nei recuperi subacquei, lavora per piattaforme e agenzie private. Una notte si immerge nei fondali del golfo del Messico e si imbatte nel relitto di un aereo pieno di cadaveri. Sono gli unici passeggeri che incontriamo nel libro: tutti già morti. 
Si avvia così il racconto frammentato di un uomo che è terrorizzato dalla profondità, sfinito dal fantasma di sua sorella (è la scoperta del suo cadavere ad aprire il libro), inseguito dall'FBI, cresciuto nel secondo dopoguerra da uno dei più grandi fisici del team di Oppenheimer, dotato di una intelligenza superiore alla media come la sua amata sorella Alicia, tormentata dal delirio schizofrenico ma mente matematica prodigiosa. 
È anche esperto di ingegneria automobilistica e navale, ama correre sui bolidi e ha alle spalle un incidente che l'ha quasi lasciato morto con una placca di acciaio in testa. Sembra spesso lo zombie di se stesso, perché ancor prima di essere sul punto di morte è stato ucciso molte volte dal dolore, per otto anni. 
È circondato da magnifici comprimari, dolenti, lucidi, consapevoli come lui, veri come tutti coloro a cui la vita ha tolto la pelle prima del tempo: il cinico Sheddon che spiattella agli altri le verità altrui per non affrontare le proprie, Oiler che dai fondali non sempre riemerge, una bellissima soubrette che un tempo si chiamava William, la nonna paterna che lascia importanti eredità per scontare una vita di rimorsi, amici e baristi e cameriere, un agente federale che parla come un oracolo.

E poi c'è il Kid, ma lui è il degnissimo coprotagonista dei due fratelli Western - e no, non se ne può dire altro  - e infatti ci suggerisce che
"la prima cosa da fare sarebbe individuare una linea narrativa".

Che semplicemente non c'è. 
Del resto anche lui è il passeggero di "un autobus" che solo un certo tipo di passeggeri riesce a vedere. 

Tutta la bellezza di questo romanzo, lirico e feroce, umano e spietato, è qui: non c'è nulla da spiegare. 
Nonostante sia farcito di capitoli interi di dimostrazioni quantistiche, spiegazioni meccaniche, dibattiti di fisica e matematica teorica, che li leggi e rileggi chiedendoti perché questo sfoggio di erudizione, manco compiaciuto, non si scova alcuna chiave per interpretare il dissidio interiore di Bobby, il motivo per cui all'improvviso si ritrova ad essere ricercato, né si riesce a ricostruire la vicenda raccontata a margine da flashback sotto forma di incomprensibili dialoghi.
Si può soltanto intuire qualcosa all'ultima pagina, e non di questo, ma dell'altro libro, Stella Maris. 
Stella Maris è un istituto che ha il nome di un incantevole invertebrato a cinque braccia ma che è pur sempre una creatura che vive nei fondali, giù, sotto la coscienza e la razionalità. È dunque una casa di cura per pazienti psichiatrici, luogo che emerge dai ricordi di Bobby grazie ai quali apprendiamo che Alicia vi è stata ricoverata tre volte, durante la prima degenza ha bruciacchiato il Kid con l'elettrochoc e dall'ultima, nel 1972, non è uscita viva.

E tuttavia, mentre scorrono le pagine, si ha la netta sensazione che niente sia a caso, nulla raccontato inutilmente, tantomeno in modo ridondante. Ogni frase è il dito puntato contro la terribile paura che abbiamo sempre avuto nei confronti della livida linearità delle nostre esistenze finite, incomprensibili e precarie:  Alicia e Bobby vivono insieme nella vita e nella morte come nessun occidentale riuscirebbe mai a fare, preoccupato solo di esorcizzare entrambe. Sono i figli di una coppia che si è conosciuta nel 1943 mentre lavorava all'impianto di Oak Ridge per l'estrazione dell'uranio, nascono a Los Alamos tra coloro che hanno descritto minuziosamente la realtà non rendendosi conto che la sostituivano con le loro indagini, perdendosi ciò che descrivevano, ovvero la consapevolezza di un mondo che non era il loro e progettandone, di fatto, la fine, cioè ordigni atomici. 

Loro due sono i figli di quel secolo
"che ha prodotto i due eventi gemelli, Auschwitz e Hiroshima, che hanno per sempre suggellato il destino dell'Occidente".
Ci rivelano che è impossibile sapere il mondo, lo si può tutt'al più dire, che lo si faccia disegnando un toro sulla parete di una grotta o formulando un'equazione differenziale. 
"Non avere paura, diceva lei. Le più spaventose tra tutte le parole".
Perché abbiamo solo paura, continuamente, perduti in quella solitudine esistenziale che dal progetto Manhattan in poi ci ha fagocitato, lasciandoci a brancolare nel tentativo ormai inutile di capire qual è il nostro posto. 

Così come lasciamo Bobby a spegnere la fiamma nella sua torre solitaria sul mare sperando nelle tenebre di riuscire ancora una  volta a rievocare il volto di lei.  
"Forse abbiamo un'idea molto diversa circa la natura della notte che incombe. Ma mentre calano le tenebre, fa qualche differenza?"

Stella Maris, Cormac McCarthy
Stella Maris racconta le ultime sedute tra Alicia e lo psichiatra dottor Cohen. 
"Penso che la nostra esperienza del mondo sia sostanzialmente un proteggersi dallo sgradevole dato di fatto che il mondo non sa che siamo qui": 
il libro è tutto in queste parole della ragazza, e nei riferimenti che, tornata di nuovo nella casa di cura convinta che Bobby sia cerebralmente morto, fa sul linguaggio, la più grande scoperta dell'umanità dopo il fuoco e prima del progetto Manhattan.
Tra teorie matematiche e citazioni di Wittgenstein, Alicia alla base ritrova la primordiale esigenza di fissare il mondo intorno a noi dicendolo e scrivendolo, per costruirci degli indicatori, dei cartelli stradali, per fermarci e orientarci. Ma questo ha un prezzo altissimo: abbiamo sostituito il mondo con quello che se ne può dire. Forse anche la sanità di mente con la follia, ribatte lo psichiatra, spiazzato dalla bellissima e sorprendente ventenne che capovolge le parti dialettiche durante le sedute terapeutiche, schiacciandolo al muro con le sue argomentazioni nitide e impietose.   
Il linguaggio fa sì che una cosa possa essere un'altra: e al suo altissimo livello di consapevolezza questo produce rabbia, legata al fatto che non sapremo mai dove sarebbe andata la realtà, libera di andarci, non "costretta" tra i nostri modelli culturali di riferimento. Una rabbia che secondo la protagonista prova qualsiasi bambino quando scopre l'ingiustizia, e che poi diventa dolore cronico adulto quando si comprende che essa è irrimediabile. 
"Siamo tutti passeggeri, alla fine, ma nessuno guarda mai il biglietto": 
e se lo dice il Kid, dobbiamo per forza credergli, una volta che  Alicia ha rivelato essere l'eidolon di una sentinella contro il troppo interrogarsi, il simulacro di un "amico" che cerca di ricordarti, sempre, che se rifiuti di accettare l'incomprensibilità del mondo finisci col vivere solo una dolorosa illusione. 

McCarthy ha scritto i suoi ultimi due libri, Il Passeggero e Stella Maris nel 2022, a quasi  novant'anni: due romanzi dei quali uno è insieme prequel e continuazione del primo, ma anche la sua testimonianza di un mondo tramontato il secolo scorso, che ci ha lasciati a roteare nel caos della perdita di tutta la Ragione (filosoficamente con la R maiuscola) occidentale. 
I due fratelli sono assenti l'uno all'altra, nei due testi, eppure nella loro genialità inaffidabile, nelle strade che percorrono per fuggire, per nascondersi, per trovarsi, scoprono entrambi, l'uno nella vita e l'altra nella morte, che l'ultima e forse l'unica verità non è possibile esprimerla con nessun linguaggio razionale, ed è per questo che il Kid mi ha commossa dal primo momento che l'ho incontrato. 

Alla fine, l'unica cosa che conta è tenerci la mano. 

 

lunedì 9 ottobre 2023

Di Riaperture e Dintorni

Non è che per cinque anni non abbia scritto.


Anzi.


È che si sono lasciate parole altrove, sui social, su Instagram, sul vecchio e caro Facebook, primo carrozzone virtuale di noi Generazione X.

Però. 

Qualche giorno fa ho pensato che mi mancava un posto dedicato solo e soltanto alle parole sui libri; dove non compaiono inserzioni di (altre) cose, fiori, città e animali. 

Dove non sei costretto a giocare a rayuela tra reels, storie e dirette.

Per carità, tutto bello e soprattutto utile: solo che mi ritrovo spesso ad immaginare la cara, vecchia chiacchiera del dopocena in un salotto in penombra che odora di cuoio, insieme agli amici di sempre e ai nuovi arrivati, senza che arrivi dalla strada il rumore del traffico o si controllino continuamente gli smartphone. È per questo che ho pensato (confesso, con una stretta al cuore) a questo posto qua, che è sempre caruccio, anche dopo essere stato chiuso per tutto questo tempo, e dove soprattutto posso poggiare qualcosa di più esteso di un commento ad una foto su Instagram. 

O forse, in realtà, mi manca la vita di un lustro fa, solo che a dirsele queste cose, così, in faccia, non si sa mai se si fa bene. Probabilmente cerco una scusa per raccontare questo tempo perduto (senza ambizioni proustiane) attraverso i libri.

Quindi, qualunque sia il motivo, riapro persiane e porte, sbatto i tappeti, cambio qualche lampadina e vediamo che accade. Non prevedo feste di inaugurazione, che andando avanti con gli anni ci si stanca più facilmente e si esce dal tunnel del divertimento. Almeno quello caciarone. 

Ricomincerò scrivendo degli ultimi libri letti, provando a trasformarne qualcuno che mi è piaciuto più del solito in una di quelle bibliopillole che tanto ci piacevano, come idea. Lascerò anche lo stesso nome, il gioco neologistico che ci portò a fondere la "ἀποϑήκη" greca e le teche di una libreria. Se mi andrà, metterò in mezzo qualche film o della musica. Non so bene ancora.

Ma comunque è come se riaprissi un'ala di un edificio, anche dovesse servirmi solo
per appoggiare roba val bene la sensazione di tornare a casa.


Bentornati, se vi andrà.


Emma

sabato 13 ottobre 2018

Bibliopillola n. 28: Dell'inesistenza del caso nella scelta dei libri da leggere


(e quindi lasciarsi scegliere dagli stessi: può essere terapeutico)


"Se non vuoi essere delusa, basta che abbassi le aspettative. Questa in particolare mi pareva condensare un approccio terrificante alla vita, tanto in una madre quarantacinquenne quanto in una figlia ventenne"

Julian Barnes, L'unica storia, Einaudi

A volte capita di vedere una coppia e ti sembra che tutti due si annoino a morte, e non riesci a immaginare che abbiano ancora qualcosa in comune, non capisci perché stiano ancora insieme. Ma non è solo questione di abitudine, di sopportazione, di rispetto delle convenienze o altre cose del genere. E' che in passato hanno avuto la loro storia d'amore. Come tutti. L'unica e sola storia.

Trasformiamo ogni cosa che ci accade in storia, ci raccontiamo per vivere, per sperare, per ricordare. 

E forse alla fine ce n’è una, una sola, che conta più delle altre.


Un libro potente, affilato, lucidamente vero; perché solo a posteriori, da quella finestra sul mondo non più opaca ma consapevolmente nitida che è la vecchiaia, si possono comprendere gli anni passati, le scelte, gli amori. Senza colpevolizzazioni né assoluzioni, semplicemente prendendo coscienza di ciò che si è stati, di come si è vissuto. 

Non si parla solo di una storia d'amore, ma DELLE storie d'amore. 

Tutte le relazioni contengono sin dall'inizio un potenziale alienante distruttivo, che si cerca di negare fino all'ultimo. Il nodo cruciale della trama è quello: per ognuno, comunque e sempre, l'amore è uno. Quello che può anche trasformarsi in un orribile grumo di rabbia e pena. 

Passa forse anche in secondo piano il fatto che il giovane Paul sia il cicisbeo di una donna sposata di mezza età, a parte lo scandalo per la società inglese benpensante e alto borghese; che l'avvio del romanzo faccia pensare ad una iniziazione sessuale di uno sprovveduto diciannovenne o del riscatto tardivo di una quarantottenne accasata. Per la prima metà risulta essere una storia come tante. E le pagine sono liriche, idilliache, sfrontate, coraggiose. Non c'è nemmeno per un attimo da parte di chi legge la sensazione di collocarsi in una posizione giudicante, rispetto al troppo giovane seduttore, alla avventata e rispettabile signora inglese, ad una cerchia sociale intorno che finge, critica, tace. 

Ma dalla metà esatta il registro cambia. E le parole diventano terribili, raccontando dell'abisso in cui la discussa coppia precipita, soffocata proprio da ciò che aveva sfidato fin dall'inizio: le convenzioni, i moralismi, un'idea immarcescibile di famiglia. 

Dopo mezzo secolo il non più giovane protagonista, interiorizzato tutto il dolore, indossata la coriacea scorza della senilità, solo allora, alla domanda se valga sempre la pena amare, risponde in un modo che non lascia scampo. 


Barnes continua a lasciare che la sua penna sia dettata dal Tempo, come nei precedenti romanzi; l'accumulatore di materia viva da raccontare, un magma che ribolle solo fino a quando, superate certe boe, si raggiunge quella freddezza che consente di placarlo, plasmarlo, e renderlo specchio fedelissimo dell'animo umano, di come esso reciti le sue parti nelle diverse epoche della vita, credendo ogni volta ad una perfetta fusione con il suo personaggio, reagendo nel solo modo che la sua età gli mette a disposizione.


Come se inconsapevolmente per ogni periodo fossimo gettati su un palcoscenico a scegliere tra un numero ben preciso di maschere e di costumi per affrontare la serata e il pubblico: se stessi, il mondo in cui si vive, le persone amate intorno. 




Sandor Marai, La recita di Bolzano, Adelphi
Ed è davvero curioso che mi sia ritrovata quasi per caso a leggere, immediatamente dopo questo libro, un testo apparentemente molto diverso, più lontano nel tempo, scritto nel 1940 da Sandor Marai, con un protagonista di tutto rispetto: Giacomo Casanova. Proprio il più famoso dei libertini, l'avventuriero veneziano che scappa dai Piombi e si rifugia a Bolzano in attesa che le acque si plachino intorno alla sua evasione e possa continuare la sua fuga verso il cuore dell'Europa. 

E' un seduttore quarantenne, stanco ma non domo, infuriato per tutta la vita persa in carcere, ansioso di recuperare il tempo perduto, che per lui vivere significa soltanto consumare passioni dopo passioni, restare acceso, poter muoversi continuamente senza obblighi, vincoli, mura intorno, nemmeno quelle di una casa o di una professione. 

Vive di espedienti, è un baro, ma, principalmente, seduce: la vita, le persone, il mondo. E lo fa non con un aspetto forse mai stato bello, ma con il potere ammaliante delle parole e dei modi messi al servizio di un istinto ferino che fa comunque capolino in ogni sua scorribanda. 

Il segreto della sua arte è l'amore stesso per la vita, perchè è essa stessa che seduce e lusinga, regalando tutte le forme d'amore possibili da ripetere finchè la vecchiaia non ci consenta più tutto il dinamismo che la passione, ogni passione, esige. Perchè è un furibondo dispendio di energie, fisiche e dialettiche, l'amore, è mai sazio bisogno e sete di sapere, di conoscere, di sperimentare. E' come se Giacomo corresse disperato davanti alla sua stessa età, finché può, finché riesce ancora a recitare le sue mille parti, spesso nemmeno consapevole delle sue stesse finzioni, per l'immensa forza di convincimento con la quale le esprime. 


Una recita, sì.


Una volta evaso, di nuovo libero, avverte tuttavia oltre all'ebbrezza dell'aria fresca anche i primi inediti pungoli della solitudine, e non comprende perché la sua sosta a Bolzano si protragga tanto, fino a che non intuisce di essere lì ad aspettare qualcosa. O qualcuno. 

Un anziano conte che lo sorveglia non appena arrivato in città e che poi addirittura si presenta alla sua locanda; la sua giovane moglie, conosciuta cinque anni prima e per la quale i due si batterono in duello. 


E da questo momento il bellissimo romanzo di Marai incunea un monologo dietro l'altro, un gioco di specchi che si rivela essere un ménage à trois, nel quale non c'è solo un potente sul viale del declino che gioca le sue ultime carte per tenersi accanto la donna che ama, ma anche lo stesso Giacomo che si intravede, riflesso sfuggente, nelle parole dell'anziano uomo, c'è una giovane donna innamorata che è fulcro di passioni contrastanti e che sembra possa far vacillare la fama di dongiovanni incallito incapace di innamorarsi davvero. La stanza della locanda, dapprima visitata dal Conte, poi dalla stessa fanciulla, diventa un palcoscenico, in cui tutti sono insieme attori e spettatori, in cui si passa dall'ascoltare al calcare la scena, scambiandosi ruoli e maschere, sovvertendo ogni piano, in un' alternanza di giuochi e di ruoli che si riassume tutto nella frase " Io sono la vita". 

E' questa la frase con cui Francesca, la moglie del conte, si presenta, la vita di due uomini, dei quali l'uno l'ama, l'altro è amato. Pronta a tutto per amare, vivere, soffrire e capire, anche vendicarsi: perché Giacomo non potrà dimenticare chi si è tolto tutte le maschere davanti a lui, provando a guardare il suo vero, nudo, volto. 


Sono pagine di confessioni, rivelazioni, scritte con quello stile raffinato e profondo che è un bulino, ad intagliare ogni piega dell'animo umano e mostrarla in tutta la bellezza dei suoi spigoli vivi. Quasi soliloqui perché non c'è da replicare, loro stessi si ascoltano a vicenda, frammezzando spezzoni di frasi o risposte (alcune memorabilissime, "è poco", "è troppo"): non c'è da contestare, protestare, sfidarsi, ognuno dice la sua verità.


Perché, alla fine di questi giorni in cui ho sovrapposto le due letture, allacciate insieme dalla casualità mai casuale con cui i libri si fanno leggere uno dopo l'altro, alla domanda quasi ridicola per quanto sfrontata, vecchia di millenni, sul perché valga la pena amare, l'unica verità possibile la ritrova l'anziano Barnes alla fine del suo racconto, in un taccuino di gioventù, un appunto mai più depennato:



"In amore, ogni cosa è al tempo stesso vera e falsa; l'unico argomento al mondo sul quale è impossibile dire insensatezze"

mercoledì 9 maggio 2018

Bibliopillola n. 27: Per mantenere l'equilibrio



In bilico
tra santi e falsi dei
sorretto da un'insensata voglia di equilibrio
e resto qui
sul filo di un rasoio


Siamo donne del sud, e i Negramaro riecheggiano nelle nostre quasi estati ma già avvampate e soleggiate, preparandoci a sudare su libri e profumi di fiori esplosi, tra il frinire assordante delle cicale e il canto malinconico dei grilli di sera. 
E in quest'aria satura che maggio ci offre, la prima struggente lettura a suggerire di non allontanarsi mai troppo dai sentieri, sia di giorno che di notte, è un romanzo che definisco senza scrupoli strepitoso. 

"Quella che ho descritto è la città del mio cuore, non necessariamente quella reale, dal ventre molle capace di avere l'umore del fango. Come in ogni altra città grande o piccola, le donne piangevano e gli uomini sapevano urlare. I cani subivano i colpi dei bastoni e lo stesso i bambini. Non esistevano solo madri dalle gote simili a boccioli di rosa, e il più delle volte non c'erano steccati da dipingere. Si, Breathed era davvero la cicatrice del paradiso perduto. E sotto quella cadenza impastata di burro e farina, il fischio sibilante della città che confluiva nel vento ti induceva al silenzio e a intuire la presenza dei serpenti". 

Innanzitutto un accorato ringraziamento ad una casa editrice coraggiosa e indipendente, Atlantide,  nata poco più di due anni fa dalla passione per i libri trattati come oggetti di culto e per titoli e autori più visionari e meno conosciuti. 
Notevole la cura editoriale e artigianale (edizioni numerate, volumi stampati su carta Aralda da 100 grammi e copertine su cartoncino Chagall bianco da 260 grammi). 
Fuori dal comune anche la scelta della distribuzione: solo vendita diretta o in librerie indipendenti fiduciarie, per recuperare la centralità dei testi e delle storie e soprattutto per creare una comunità editoriale aperta composta da autori, lettori e librai. I titoli curiosi e di rilievo sono tanti.

E poi questo libro. Inaspettato. Struggente 

Una scrittura incredibile, poetica e crudele al tempo stesso, una trama lineare ed esplicita, fin dalle prime pagine, eppure ammaliante, grazie alla potente capacità di creare empatia. Bravissima la giovane scrittrice americana, sicuramente da seguire. 
Il protagonista è ogni singolo uomo sulla faccia della Terra, non il diavolo come rivelato sin dalle prime righe; è ogni uomo e la sua incapacità di vivere senza odiare, la sua debolezza, il suo eterno tremore di fronte alla vita quando diventa percosse e cattiveria. 
Un Diavolo trasfigurato in un conturbante ragazzino di colore in salopette che un giorno degli anni Ottanta arriva misteriosamente in una cittadina dell'Ohio; che viene accolto da una famiglia come tante e la cui presenza porta pian piano alla luce in ognuno il ricordo della caduta e il desiderio incessante di essere perdonato; la volontà di contare qualcosa, la paura atavica degli stranieri e dei diversi, tutta l'insopportabile pesantezza della nostra fragilità umana che rende dimore di demoni non buie tane sotterranee o caverne maleodoranti ma le case con le tendine immacolate alle finestre, vasi di fiori e biscotti nel forno.


Quando ho iniziato a leggerlo mi ha ricordato, nello stile e nelle atmosfere, Stephen King degli anni d'oro (l'autore di Cose Preziose, per intenderci, o Tommyknockers), Dean Koontz e quel particolare mainstream thriller-horror del tutto originale ambientato nella provincia americana. 
Ma questo non è un horror, tanto meno un thriller: di quest'ultimo ha il ritmo, una cadenza serrata che traccia una salita di cui ci si aspetta il climax con il fiato corto fin dalle prime pagine. 
Irretisce, imprigiona, inquieta: le righe scorrono veloci eppure sono impreziosite da citazioni, richiami, memorie che la rendono ricca nonostante l'evidente fluidità. 
Ogni capitolo è aperto da un versetto de Il Paradiso Perduto di John Milton, ad avviare una caratterizzazione precisa e quasi pittorica dei tanti personaggi comprimari (ben innescata la coralità di fondo sui due protagonisti principali): una delle figure più presenti, quella più ferita e quindi due volte caduta, porta come un contrappasso il nome di Dio, Elohim; il fratellone bellissimo e di cui tutta la cittadina è innamorato, il modello della gioventù americana sportiva e integra, cela un inferno personale che lo danna segretamente, e parla spesso il russo come Woland (le ombre di tanti demoni letterari si aggirano ad ogni risvolto di pagina). 
L'epica figura del padre, "centrato, infallibile" ricorda nettamente l'avvocato Atticus de Il buio oltre la siepe. La madre è la figura della donna piegata dagli eventi, incapace di azzardo, impossibilitata ad uscire di casa, spezzata dalla paura eppure dispensatrice di una forza incommensurabile che promana dall'interno del suo cerchio magico. 

L'arrivo del tredicenne dai misteriosi occhi verdi, che entra in città mentre un uomo passa fischiettando Amazing Grace, cambia le vite di tutti, come un Messia rovesciato che libera gli individui che incrocia nell'unico modo possibile: mettendoli di fronte a se stessi, denudandoli dalle ipocrisie, smontandone le facciate borghesi, facendone emergere le fobie. 
Lo scotto da pagare è carissimo, ma la sofferenza appartiene al creato prima ancora che qualsiasi angelo cadesse. 

Uomini e donne, "giusti e retti, con forza sufficiente a reggere, sebbene anche liberi di cadere" una temibile consapevolezza, che ci si porta con una morsa allo stomaco fino al momento in cui si legge l'ultima parola del libro: tra l'essere dei o demoni non c'è alcuna differenza, il castigo e la vendetta infiammavano anche le spade degli arcangeli così come il Male per eccellenza fu anche portatore di luce. 

Un romanzo che spaventa ma capace anche di spezzare il cuore, che commuove profondamente. Forse anche una storia d'amore, sebbene la speranza (urlante, dall'inizio alla fine) abbia le sembianze di un fiore calpestato.












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