domenica 29 ottobre 2023

Caos e Cosmos, McCarthy e i fratelli Western

Come si può scrivere degli ultimi due libri di McCarthy, considerando che la rete pullula di  post, articoli, interviste che negli ultimi mesi hanno prodotto un'esegesi esperta ed appassionata dell'opera dello scrittore?
Con la determinata convinzione che sia utile, scriverne, anche se con modestia letteraria e critica: senza l'ardire di lasciare un contributo illuminante ma con la sensazione di aver imparato da Alicia che vorremmo sempre parlare a qualcuno di qualcuno, fosse pure di noi stessi. O di assenze colmate da invenzioni narrative, o di teorie che lascino un riferimento ad altri che, come noi, non sempre possono tutto tramite il linguaggio. 
Il paradosso più bello della letteratura.    
    
Ps: SPOILER ALERT


Il passeggero, Cormac McCarthy
 "Cosa siamo noi? 10% biologia e 90%  mormorio notturno"


Novembre 1980: Bobby Western è specializzato nei recuperi subacquei, lavora per piattaforme e agenzie private. Una notte si immerge nei fondali del golfo del Messico e si imbatte nel relitto di un aereo pieno di cadaveri. Sono gli unici passeggeri che incontriamo nel libro: tutti già morti. 
Si avvia così il racconto frammentato di un uomo che è terrorizzato dalla profondità, sfinito dal fantasma di sua sorella (è la scoperta del suo cadavere ad aprire il libro), inseguito dall'FBI, cresciuto nel secondo dopoguerra da uno dei più grandi fisici del team di Oppenheimer, dotato di una intelligenza superiore alla media come la sua amata sorella Alicia, tormentata dal delirio schizofrenico ma mente matematica prodigiosa. 
È anche esperto di ingegneria automobilistica e navale, ama correre sui bolidi e ha alle spalle un incidente che l'ha quasi lasciato morto con una placca di acciaio in testa. Sembra spesso lo zombie di se stesso, perché ancor prima di essere sul punto di morte è stato ucciso molte volte dal dolore, per otto anni. 
È circondato da magnifici comprimari, dolenti, lucidi, consapevoli come lui, veri come tutti coloro a cui la vita ha tolto la pelle prima del tempo: il cinico Sheddon che spiattella agli altri le verità altrui per non affrontare le proprie, Oiler che dai fondali non sempre riemerge, una bellissima soubrette che un tempo si chiamava William, la nonna paterna che lascia importanti eredità per scontare una vita di rimorsi, amici e baristi e cameriere, un agente federale che parla come un oracolo.

E poi c'è il Kid, ma lui è il degnissimo coprotagonista dei due fratelli Western - e no, non se ne può dire altro  - e infatti ci suggerisce che
"la prima cosa da fare sarebbe individuare una linea narrativa".

Che semplicemente non c'è. 
Del resto anche lui è il passeggero di "un autobus" che solo un certo tipo di passeggeri riesce a vedere. 

Tutta la bellezza di questo romanzo, lirico e feroce, umano e spietato, è qui: non c'è nulla da spiegare. 
Nonostante sia farcito di capitoli interi di dimostrazioni quantistiche, spiegazioni meccaniche, dibattiti di fisica e matematica teorica, che li leggi e rileggi chiedendoti perché questo sfoggio di erudizione, manco compiaciuto, non si scova alcuna chiave per interpretare il dissidio interiore di Bobby, il motivo per cui all'improvviso si ritrova ad essere ricercato, né si riesce a ricostruire la vicenda raccontata a margine da flashback sotto forma di incomprensibili dialoghi.
Si può soltanto intuire qualcosa all'ultima pagina, e non di questo, ma dell'altro libro, Stella Maris. 
Stella Maris è un istituto che ha il nome di un incantevole invertebrato a cinque braccia ma che è pur sempre una creatura che vive nei fondali, giù, sotto la coscienza e la razionalità. È dunque una casa di cura per pazienti psichiatrici, luogo che emerge dai ricordi di Bobby grazie ai quali apprendiamo che Alicia vi è stata ricoverata tre volte, durante la prima degenza ha bruciacchiato il Kid con l'elettrochoc e dall'ultima, nel 1972, non è uscita viva.

E tuttavia, mentre scorrono le pagine, si ha la netta sensazione che niente sia a caso, nulla raccontato inutilmente, tantomeno in modo ridondante. Ogni frase è il dito puntato contro la terribile paura che abbiamo sempre avuto nei confronti della livida linearità delle nostre esistenze finite, incomprensibili e precarie:  Alicia e Bobby vivono insieme nella vita e nella morte come nessun occidentale riuscirebbe mai a fare, preoccupato solo di esorcizzare entrambe. Sono i figli di una coppia che si è conosciuta nel 1943 mentre lavorava all'impianto di Oak Ridge per l'estrazione dell'uranio, nascono a Los Alamos tra coloro che hanno descritto minuziosamente la realtà non rendendosi conto che la sostituivano con le loro indagini, perdendosi ciò che descrivevano, ovvero la consapevolezza di un mondo che non era il loro e progettandone, di fatto, la fine, cioè ordigni atomici. 

Loro due sono i figli di quel secolo
"che ha prodotto i due eventi gemelli, Auschwitz e Hiroshima, che hanno per sempre suggellato il destino dell'Occidente".
Ci rivelano che è impossibile sapere il mondo, lo si può tutt'al più dire, che lo si faccia disegnando un toro sulla parete di una grotta o formulando un'equazione differenziale. 
"Non avere paura, diceva lei. Le più spaventose tra tutte le parole".
Perché abbiamo solo paura, continuamente, perduti in quella solitudine esistenziale che dal progetto Manhattan in poi ci ha fagocitato, lasciandoci a brancolare nel tentativo ormai inutile di capire qual è il nostro posto. 

Così come lasciamo Bobby a spegnere la fiamma nella sua torre solitaria sul mare sperando nelle tenebre di riuscire ancora una  volta a rievocare il volto di lei.  
"Forse abbiamo un'idea molto diversa circa la natura della notte che incombe. Ma mentre calano le tenebre, fa qualche differenza?"

Stella Maris, Cormac McCarthy
Stella Maris racconta le ultime sedute tra Alicia e lo psichiatra dottor Cohen. 
"Penso che la nostra esperienza del mondo sia sostanzialmente un proteggersi dallo sgradevole dato di fatto che il mondo non sa che siamo qui": 
il libro è tutto in queste parole della ragazza, e nei riferimenti che, tornata di nuovo nella casa di cura convinta che Bobby sia cerebralmente morto, fa sul linguaggio, la più grande scoperta dell'umanità dopo il fuoco e prima del progetto Manhattan.
Tra teorie matematiche e citazioni di Wittgenstein, Alicia alla base ritrova la primordiale esigenza di fissare il mondo intorno a noi dicendolo e scrivendolo, per costruirci degli indicatori, dei cartelli stradali, per fermarci e orientarci. Ma questo ha un prezzo altissimo: abbiamo sostituito il mondo con quello che se ne può dire. Forse anche la sanità di mente con la follia, ribatte lo psichiatra, spiazzato dalla bellissima e sorprendente ventenne che capovolge le parti dialettiche durante le sedute terapeutiche, schiacciandolo al muro con le sue argomentazioni nitide e impietose.   
Il linguaggio fa sì che una cosa possa essere un'altra: e al suo altissimo livello di consapevolezza questo produce rabbia, legata al fatto che non sapremo mai dove sarebbe andata la realtà, libera di andarci, non "costretta" tra i nostri modelli culturali di riferimento. Una rabbia che secondo la protagonista prova qualsiasi bambino quando scopre l'ingiustizia, e che poi diventa dolore cronico adulto quando si comprende che essa è irrimediabile. 
"Siamo tutti passeggeri, alla fine, ma nessuno guarda mai il biglietto": 
e se lo dice il Kid, dobbiamo per forza credergli, una volta che  Alicia ha rivelato essere l'eidolon di una sentinella contro il troppo interrogarsi, il simulacro di un "amico" che cerca di ricordarti, sempre, che se rifiuti di accettare l'incomprensibilità del mondo finisci col vivere solo una dolorosa illusione. 

McCarthy ha scritto i suoi ultimi due libri, Il Passeggero e Stella Maris nel 2022, a quasi  novant'anni: due romanzi dei quali uno è insieme prequel e continuazione del primo, ma anche la sua testimonianza di un mondo tramontato il secolo scorso, che ci ha lasciati a roteare nel caos della perdita di tutta la Ragione (filosoficamente con la R maiuscola) occidentale. 
I due fratelli sono assenti l'uno all'altra, nei due testi, eppure nella loro genialità inaffidabile, nelle strade che percorrono per fuggire, per nascondersi, per trovarsi, scoprono entrambi, l'uno nella vita e l'altra nella morte, che l'ultima e forse l'unica verità non è possibile esprimerla con nessun linguaggio razionale, ed è per questo che il Kid mi ha commossa dal primo momento che l'ho incontrato. 

Alla fine, l'unica cosa che conta è tenerci la mano. 

 

lunedì 9 ottobre 2023

Di Riaperture e Dintorni

Non è che per cinque anni non abbia scritto.


Anzi.


È che si sono lasciate parole altrove, sui social, su Instagram, sul vecchio e caro Facebook, primo carrozzone virtuale di noi Generazione X.

Però. 

Qualche giorno fa ho pensato che mi mancava un posto dedicato solo e soltanto alle parole sui libri; dove non compaiono inserzioni di (altre) cose, fiori, città e animali. 

Dove non sei costretto a giocare a rayuela tra reels, storie e dirette.

Per carità, tutto bello e soprattutto utile: solo che mi ritrovo spesso ad immaginare la cara, vecchia chiacchiera del dopocena in un salotto in penombra che odora di cuoio, insieme agli amici di sempre e ai nuovi arrivati, senza che arrivi dalla strada il rumore del traffico o si controllino continuamente gli smartphone. È per questo che ho pensato (confesso, con una stretta al cuore) a questo posto qua, che è sempre caruccio, anche dopo essere stato chiuso per tutto questo tempo, e dove soprattutto posso poggiare qualcosa di più esteso di un commento ad una foto su Instagram. 

O forse, in realtà, mi manca la vita di un lustro fa, solo che a dirsele queste cose, così, in faccia, non si sa mai se si fa bene. Probabilmente cerco una scusa per raccontare questo tempo perduto (senza ambizioni proustiane) attraverso i libri.

Quindi, qualunque sia il motivo, riapro persiane e porte, sbatto i tappeti, cambio qualche lampadina e vediamo che accade. Non prevedo feste di inaugurazione, che andando avanti con gli anni ci si stanca più facilmente e si esce dal tunnel del divertimento. Almeno quello caciarone. 

Ricomincerò scrivendo degli ultimi libri letti, provando a trasformarne qualcuno che mi è piaciuto più del solito in una di quelle bibliopillole che tanto ci piacevano, come idea. Lascerò anche lo stesso nome, il gioco neologistico che ci portò a fondere la "ἀποϑήκη" greca e le teche di una libreria. Se mi andrà, metterò in mezzo qualche film o della musica. Non so bene ancora.

Ma comunque è come se riaprissi un'ala di un edificio, anche dovesse servirmi solo
per appoggiare roba val bene la sensazione di tornare a casa.


Bentornati, se vi andrà.


Emma

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