giovedì 16 ottobre 2014

Dell'utilità dei mostri

L’ autunno è sempre foriero di riflessioni malinconiche e intimiste, favorite dallo sfondo di una natura dai colori caldi e accesi, dall'aria più frizzante che ci fa stringere le giacche al petto (un abbracciarsi per proteggersi dall'imminente arrivo del freddo), dagli odori che ricordano camini accesi e legna umida, dal suono crepitante di quel tappeto naturale di foglie secche che ottobre ci srotola sotto i piedi.



Una bellezza struggente che spesso porta con sé un remoto disagio, una sensazione che fa presagire il buio invernale e che quindi svela tutte le paure suscitate atavicamente dall'in-visibile, ciò che si cela dove non c’è luce. 
Per i contadini questa è la stagione più ricca di riti e tradizioni, che servono per rigenerare la terra durante il riposo invernale e propiziare la sua fertilità; è tempo di bilanci (anche zodiacalmente), di riflessione su ciò che si è fatto e quindi su quello che c’è da fare per il prossimo anno: un ripiegamento su se stessi per avviare una silenziosa rigenerazione, nel grembo della terra, affinché si rinasca a nuova vita. Del resto, in campagna in autunno c’è molto da fare: si prepara il vino, si raccolgono ortaggi, i boschi offrono castagne, funghi, mirtilli e lamponi; si raccoglie la legna, scorta di luce e calore per i rigidi mesi invernali. Non a caso il simbolo chiave di questo periodo nella tradizione celtica era la cornucopia: la cesta dell'abbondanza. E infatti la parola latina auctumnus deriva dalla radice del verbo augere, ovvero “aumentare, arricchire”.

Però … la luce del giorno dura sempre meno; i colori caldi si spengono per lasciare il posto al nebbioso grigiore umido che fa da sfondo agli alberi ormai spogli, tetri e scheletrici. L’autunno inoltrato coincide con una serie di rituali che ogni cultura, in ogni tempo e luogo, non ha mai omesso di celebrare: i cristiani si preparano a onorare i santi, i celti festeggiano il Capodanno (Samhain) e un po’ ovunque viene ripresa la tradizione anglosassone di intagliare zucche, soprattutto negli ultimi anni. Un curioso miscuglio di folclori e credenze pagane, antropologiche e religiose per segnare il passaggio dalla luce al buio: una soglia, un piede nella conclusione e un altro nell'inizio. Il ripetersi eterno dell'alternanza vita morte; è per questo che la terra si popola di “mostri”, prodigi, creature straordinarie e contro natura, che arrivano, appunto, per mostrare ed avvertire, per ricordare tramite la paura il lato oscuro di ogni vita. Gli esorcismi messi in atto per scongiurare il loro avvicinarsi illuminano Jack O'Lantern, spingono a prendersi beffe di loro imitandoli, aiutano a convivere con il buio e ciò che non si conosce. 

Insomma, una stagione nella quale “l’umore nero” può e deve essere scacciato dalla consapevolezza dell’alternanza; da un girotondo con tutti i mostri possibili. 

Mi viene in mente un libro da inserire fra i rituali propiziatori per l’inverno; si chiama “Il popolo dell’autunno”, di Ray Bradbury. Storia di ragazzini che nel periodo di Halloween combattono le forze del Male per ritrovarsi adulti. Ma no, non è così banale: è un piccolo capolavoro scritto magnificamente, un tripudio di giostre e tendoni da circo, di streghe portate dal vento autunnale, di voglia e terrore di crescere, della necessità di conservare sempre un pizzico di ironia fanciullesca per continuare anche da adulti a fare i conti con ogni tipo di incubo.

“La risata è un re e fa quel che vuole”

E, se vi va di darci una mano a costruire una cosuccia che abbiamo in mente, perché non ci dite un po' quali sono le emozioni che colorano il vostro autunno? E con quali libri le coltivate? O esorcizzate?

Buon autunno a tutti!

domenica 5 ottobre 2014

Bibliopillola n.9 Contro la demotivazione

La mia socia di ApoTeche mi ha regalato un libro (abbiamo poca fantasia, è vero...) che mi è piaciuto molto. Ed è capitato, come accade spesso quando si riceve un libro da chi li ama, che mi arrivasse per le mani il titolo giusto nel momento giusto. Era appena iniziata la scuola, mi stavo adattando pian piano alla routine del calendario provvisorio, cominciando a frequentare le nuove classi di quest'anno e a riprendere il lavoro con le vecchie. E non facevo che pensare, in quei giorni di meno di un mese fa, a quanto mai come alla fine del passato anno scolastico il tanto bistrattato, calunniato, avvilito, deprofessionalizzato, irriso lavoro del docente mi fosse pesato tanto. L'ultima sessione di esami di stato l'ho vissuta per svariati motivi molto faticosamente  e conclusi gli orali ero sfatta. In tutti i sensi. Ma ci sono cose in cui non si può fare a meno di credere, nonostante, di anno in anno, aumenti progressivamente la fatica, lo sconforto, la disillusione, perfino il dolore.
Chi insegna oggi sa cosa dico.
Fa parte della nostra natura combattere per la sopravvivenza e ho imparato molti anni fa che questa non riguarda  soltanto il tenerci in vita nel senso strettamente biologico del termine.
Non ci basta vivere: o meglio, non si tratta solo di vivere, ma di vedere riconosciuta ed espressa la possibilità di essere in qualche modo se stessi. Il che presuppone una lunga e mai conclusa ricerca di una definizione del sé: sottolineo incompiuta poiché credo che in questo si traduca il più profondo senso del nostro esistere, nel continuo cercarsi. Dunque, nel dirsi.
Per fortuna la scuola non è fatta solo di registri, voti, esami, crediti, scrutini e consigli di classe.
Un blogger/collega/scrittore che in questa farmacia stimiamo molto, Alessandro d'Avenia, lo scrive spesso e bene, nel suo spazio virtuale. E lo sperimenta fra i banchi. La scuola è quel delicato e meraviglioso rapporto con i ragazzi. La scuola È i ragazzi. Nei quali tutte le mattine per 11 mesi all'anno ti specchi, ti ascolti, ti sorridi. Quelli a cui ti offri con tutta l'anima perché imparino a stringere i denti e a non smettere mai di cercarsi. Confesso che se ho qualche vaga e sbordata definizione di me stessa lo devo proprio a loro. Eppure conclusi gli esami a luglio ero davvero, oltre che stanca, avvilita; soprattutto, demotivata. Questo è il motivo per cui ho pensato di esporre sul bancone il libro che per me è stata una bibliopillola inghiottita con molta convinzione e che ha avuto un immediato e benefico effetto.

Recalcati - L'ora di lezione - Einaudi
 Una scrittura scorrevole ma profonda, una riflessione serena ma implacabile sull'insegnamento ormai scarnificato a mera trasmissione di competenze sempre meno tali e sempre più sterili informazioni, un inno a quello che invece è per molti il mestiere più bello del mondo, perduto all'interno di una scuola smarrita, icona di una società che ha imparato e insegna a fare a meno dei maestri. Eppure, ciò che oggi serve davvero tanto, ciò che potrebbe operare il miracolo di restituire dignità ad una generazione spersonalizzata in un mare confuso di nozioni disponibilissime ma spesso superficiali o vuote, è proprio chi con le proprie parole crea. Chi inventa mondi, vite, luoghi e storie; chi spinge a pensare, chi cancella limiti e confini, chi trasforma in oggetto erotico, in qualcosa da amare come fosse un corpo, i libri e il sapere.

"Trasformare l'allievo come oggetto sul quale si applica un sapere - testa o bocca vuota (recipiente) da riempire, vite storta da raddrizzare - in un soggetto che ricerca attivamente quello di cui manca, che si senta trasportato, attirato, catturato verso un sapere nuovo"
Le parole sono importanti. Hanno una materialità, densa e fisica, da stringere e amare.
E un'ora di lezione può cambiare la vita.


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