giovedì 29 gennaio 2015

Bibliopillola n. 14 - Per non perdere le sfumature di colore

Ieri sul gruppo fb si è parlato di un po' di emozioni, di quelle nate dai libri e dei motivi per cui a volte le sbrodoliamo subito addosso a chiunque ci capiti a tiro e altre volte facciamo fatica a raccontarle anche solo a noi stessi.
Altre volte non è nemmeno ben chiaro di quali emozioni si stia parlando.
Ci sono emozioni che non vogliamo riconoscere? Altre che conosciamo bene e ci sembrano poco socialmente presentabili?

Queste, ed altre, domande me le faccio da un po', per l'esattezza da quando ho terminato di leggere La cicala dell'ottavo giorno (Mitsuyo Kakuta, ed. Neri Pozza) e mi sono accorta di non riuscire a scriverne e di aver finito il libro emozionata, ma con la cosiddetta faccia a punto interrogativo.
Emozioni, si, ma quali? E per chi?

La cicala dell'ottavo giorno è il racconto di una donna che impazzisce, di una bimba sequestrata e separata dai genitori, di una famiglia che si ricostituisce e a poco a poco va avanti, di una due tre donne in una cultura come quella giapponese dove ancora agli uomini è permesso tutto e alle donne meno.

È un libro che ti spinge a prendere posizione, a schierarti da una parte o dall'altra, e, una volta schierato, a sentirti scomodo,  scomodissimo, e a ribaltare posizioni e convinzioni.
Perché nel libro le cose non sono così nette e chiare come si vorrebbe, i personaggi non sono buoni o cattivi come nelle favole e i colori non si limitano al bianco o al nero, ma obbligano a considerare tutte le infinite sfumature di colore, anche quelle sporche e bruttarelle che non vorremmo nell'arcobaleno.

Riuscireste a capire a chi si riferiscono, o di chi parlano, questi brevi estratti? Chi sono le vittime, chi i carnefici? Chi è buono o chi è cattivo?

  • Di certo non aveva mai visto così tante stelle in vita sua. (...) Le città, il mare, le montagne, il cielo infinito, la luna piena, le stagioni, i treni, gli alberi e i fiori, i luna park, gli animali, i supermercati, i negozi di giocattoli... sono tutte cose che ha potuto vedere solo nei libri illustrati. Non ha potuto conoscere e sperimentare queste cose e tante altre ancora. (...) D’ora in poi ti restituirò tutto, piccina mia (...) Ti ridarò il mare e le montagne, e anche i fiori a primavera e la neve durante l’inverno. E ti darò elefanti così enormi che non riuscirai a credere ai tuoi occhi e cani in fedele attesa dei loro padroni. E poi tante favole dal finale struggente e musica talmente bella da farti sospirare di meraviglia.
  • Essere svegliata tutte le mattine e trovare la colazione pronta in tavola; avere dei buoni amici con i quali giocare ogni giorno all'aria aperta e con i quali ridere e chiacchierare durante il pranzo; essere presa per mano alla sera da una madre premurosa e fare lunghe passeggiate insieme a lei, una madre capace di prepararti una cena gustosa sempre alla stessa ora e di leggerti le fiabe fino ad accompagnarti nel dolce mondo dei sogni; vivere in una casa pulita e ordinata, con tanto verde all'esterno, in un posto dove le persone ti salutano e ti sorridono quando le incroci per strada e dove il mare è raggiungibile a piedi: ecco ciò che avevo perduto, la vita di una principessa in una terra lontana.
  • Lui entrava e nostra madre andava via, come a darsi il cambio. Non accadeva esattamente tutte le sere, ma le volte in cui usciva superavano di gran lunga quelle in cui restava a casa. Per un bel pezzo io e Marina continuammo a pensare che lavorasse anche di notte. In seguito ci rendemmo conto che andava a divertirsi con le amiche: uno sparuto gruppo di donne di mezza età che frequentava i bar della zona, qualche discoteca e i karaoke, che giusto in quel periodo cominciavano a godere di una certa popolarità. «Non posso farci nulla» mi confessò una volta, all’epoca in cui frequentavo la scuola media, «ma ogni volta che ti guardo mi viene in mente quella donna. Il solo ricordarmi di lei mi spinge a odiare sempre di più tuo padre. Perché devo essere soltanto io a soffrire? Non ce la faccio a restarmene chiusa in casa, ho bisogno di uscire, di svagare la mente
Io mi ero fatta un'idea, poi l'ho cambiata, poi l'ho cambiata ancora e ad oggi continuo a chiedermi se l'idea è davvero così confusa o se, semplicemente, è così contraria ad ogni normale morale da non poter essere accettata.

Fonte: Editore




lunedì 26 gennaio 2015

Bibliopillola n. 13: Per la Memoria, tutti giorni!


Foto personale

Lavorando con la storiografia, ho a che fare spesso con le ricorrenze; in genere, non mi piacciono. Non perché sia diventata una fredda e lucida studiosa di fatti ed eventi: al contrario, temo che circoscrivere il ricordo di un episodio ad una specifica data potrebbe ridimensionare ad una sola chiave di lettura avvenimenti che invece necessitano di contesti ampi di interpretazione, al di là di barriere, etnie, religioni e ideologie.
La seconda guerra mondiale, come tutte le guerre, è stata un concentrato di orrori; nel 1944 è stata coniata la parola genocidio applicata alla Shoah e recentemente la definizione è stata aggiornata a "una forma di massacro di massa unilaterale con cui uno stato o un'altra autorità ha intenzione di distruggere un gruppo, gruppo che è definito, così come i suoi membri, dall'aggressore" (Frank Chalk e Kurt Jonassohn, 1990). La deportazione, l’eradicazione, l’esecuzione pianificata ha riguardato gli armeni, i cambogiani, i tutsi, i bosniaci.

Il 27 gennaio di settanta anni fa le truppe sovietiche dell’Armata Rossa giunsero nella città polacca di Oswiecim scoprendo il campo di concentramento e liberandone i superstiti. L’apertura dei cancelli di Auschwitz rivelò compiutamente l’orrore del genocidio nazista. Ci sono stata con i miei ragazzi nel 2009: vedere con i propri occhi il campo, le baracche, le camere a gas è qualcosa che non si può riferire a parole.
Ciò che voglio testimoniare anche io, oggi, è quello che ritengo il senso più profondo della tragedia ebraica e di tutte le tragedie che ogni guerra contemporanea ha portato e porta con sé: la banalizzazione del male.
Fonte: Editore

Nel 1961 si tenne il processo all'imputato Otto Adolf Eichmann, un tenente-colonnello del regime nazista che aveva coordinato, in tutta Europa, l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio. Processato da un tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, in fondo, si era occupato "soltanto di trasporti”. Il resoconto di quel processo fu pubblicato due anni dopo nel libro "La banalità del male" di Hannah Arendt. Ciò che emerge in maniera sconvolgente dagli atti è che Eichmann sembrava essere una persona “normale”: così commenteranno tutti coloro che avranno a che fare con i burocrati del Reich, uomini “normali” che però furono capaci di compiere atti mostruosi. Si difendevano dietro il grande scudo della cieca obbedienza alle leggi. Agivano rispettando ordini.

Dietro questa "terribile normalità" capace di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della "banalità del male" che sta nella irriflessività. Uomini come Eichmann ce ne furono tanti e quei tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano terribilmente normali. E questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica - come fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati - che questo nuovo tipo di criminale
commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. 
Il male diventa banale quando si diventa incapaci di pensare. Che non vuol dire essere stupidi, ma sottostare a cambiamenti di valori, di regole, di modi di agire senza fermarsi a meditare. Significa aderire senza riflettere, essere dislocati da forme di potere e accettarlo perché (banalmente) non ci si attarda ad emettere un giudizio.


Obbligarsi a riflettere. Tutti i giorni. Questo è per me il senso di date come quella odierna.

domenica 25 gennaio 2015

Bibliocaramella n. 1 Per regalare le parole

Ci sono momenti nella vita di ogni persona unici ed irripetibili: il raggiungimento di nuovi traguardi, amiche che si ritrovano dopo anni, occhi luccicanti di bimbi che crescono.
Spesso alcuni di questi momenti sono legati ad un libro ed è per questo che, fortemente convinta del potere terapeutico della lettura, sono anche convinta che, in determinati momenti, qualsiasi libro possa essere terapeutico, anche uno che la critica consideri mediocre.
E a volte accade che momenti indimenticabili si leghino a libri indimenticabili e meravigliosi di per sé.
C'è un paese dove le persone non parlano quasi mai.
È il paese della grande fabbrica delle parole.

domenica 18 gennaio 2015

Bibliopillola n.12 - Integratore vitaminico del Sé


Come ho scritto in una recensione, non mi capitava da un po' di chiudere un libro con la sensazione di aver avuto a che fare con la letteratura.
Una penna seria, autorevole, un implacabile faro proiettato su una coscienza messa a nudo.
Il protagonista non è ovviamente un eroe, ma ha un che di eroico la sua normalissima esistenza; a molti risulta insulso, inetto, addirittura esasperante. Sembra che rimanga lì a vedersi scivolare una vita addosso, incapace (perché spesso abulico) di dare una piega diversa agli eventi, di imporsi, di arrabbiarsi. Eppure non si tratta di un individuo inconsapevole, poiché riflette su ogni dettagliata situazione, scandaglia gli animi di tutti coloro che lo circondano, spesso supponendo fatti e azioni, con ineluttabile rassegnazione. Una vita che definiremmo più che ordinaria, banale; la sua indifferenza snerva.
Certe volte, la mattina, quando si faceva la barba, guardava la sua immagine riflessa nello specchio e non si riconosceva affatto in quel viso che ricambiava stupito il suo sguardo, in quegli occhi chiari che spuntavano da una maschera grottesca
Fonte: Editore


domenica 4 gennaio 2015

Bibliopillola n. 11: Per chi ha bisogno di aiuto e di aiutare

“Se è troppo orgoglioso per accettare aiuto, come potete aiutarlo? Di notte, mentre dorme?”
Yalom, Irvin D. Le lacrime di Nietzsche
 Fonte: Neri Pozza

Il tema dell’aiuto, della cura, mi è da sempre così caro che, anche quando insieme alla socia filosofa abbiamo deciso di parlare di libri, siamo riuscite a farlo mettendo al centro proprio il tema della terapia, attraverso la lettura e i libri. 

E anche qui, dal bancone della farmacia non ho mai potuto evitare di pormi domande che mi accompagnano quotidianamente anche sul lavoro. Chi ha bisogno di aiuto? Solo chi chiede? E se io penso che qualcuno abbia bisogno di aiuto ho il diritto, il dovere, di aiutarlo anche se non vuole? E io, qual è il mio bisogno nel soddisfare e curare l'altro?

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