lunedì 9 gennaio 2017

Bibliopillola n. 15: Una vita come tante?

Tutto ciò che Jude comunicava lasciava intendere che non voleva essere aiutato. Eppure, non riusciva ad accettarlo. La domanda era come si potesse ignorare la richiesta da parte di un'altra persona di essere lasciata in pace - anche a costo di compromettere l'amicizia. Era come un cane che si morde la cosa: come si può aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato, sapendo che se non tenti almeno di farlo non sei un vero amico? Parlami, avrebbe voluto gridare a Jude certe volte. Raccontami qualcosa. Spiegami che cosa devo fare per convincerti a parlarmi.
(Hanya Yanagihara - Una vita come tante, p. 348)


Non mi è facile parlare di questo libro. L'ho acquistato lontana da casa, tra le mille preoccupazioni per una persona cara che non stava bene, attirata, ancora oggi non saprei dire perché, dall'espressione di sofferenza del viso in copertina. Non potrò mai scinderne la lettura dai giorni in cui sono stata preoccupata, ma circondata dai miei cari, ad un passo dalle vie dove ho vissuto gli anni più belli della mia vita, costruito alcune delle più importanti relazioni, alcune ancora vive, altre purtroppo concluse da tempo, ma non meno vive nella mia memoria.
È con grande tristezza che ne ho letto le ultime righe, con la consapevolezza di essere stata più volte sul punto di piangere e di non averlo fatto solo per una mia abitudine a non fermarmi, ad andare oltre, a non ascoltarmi. Mi mancheranno i protagonisti di questo libro, mi mancherà la loro vita per quanto più di una volta mi abbia quasi irritato per il fatto di essere veramente lontana dall'essere "una vita come tante" come promette il titolo.

La tristezza maggiore però è per la consapevolezza, che da sempre mi porto dentro, che nessun aiuto può esser dato a chi non riesca a volerlo.
Non è facile parlarne. È un libro immenso, segue i personaggi dal college fino ai 60 anni e i temi affrontati sono talmente tanti che credo che ognuno ci possa trovare i suoi.
Tra quelli che hanno toccato me: l'amicizia, la voglia/paura di crescere, di perdere le emozioni, la sensibilità dei vent'anni; l'identificazione sessuale, la tossicodipendenza, la violenza, il trauma, la genitorialità, ma soprattutto, almeno per me, il dilemma tra la voglia-il dovere di fare qualcosa per le persone che amiamo quando le vediamo in difficoltà e la sensazione che ogni volta che lo facciamo stiamo commettendo, paradossalmente, una prevaricazione, se l'aiuto non ci è stato chiesto, un atto egoistico. Dov'è il confine tra quello che facciamo per l'altro e quello che facciamo per noi? Quando è "giusto" lasciar andare l'altro, rispettando la sua libertà, anche se sappiamo che sta facendo male a se stesso (e a noi)?
È che, davvero, leggere è un'esperienza talmente proiettiva che non si può parlare di un libro senza parlare di sé stessi ed il motivo per cui, allo stesso tempo, credo così tanto nella biblioterapia e nella quasi impossibilità di trovare un libro che vada bene, sempre allo stesso modo, per la stessa persona, per le stesse emozioni. 
In certi punti l'ho trovato assurdo, eccessivo. Mi son fatta un'idea solo vaga del perché l'Autrice abbia scelto di dare ai personaggi tanto successo e tanta sofferenza in vite che, veramente, sono tanto lontane dall'essere "come tante". Eppure non posso fare a meno di sapere che certe dinamiche vanno ben oltre l'essere "come tante" e sono in realtà di tutti noi.
Potrei dire che, a tratti, mi è sembrato lungo, che fino alla fine ho fatto fatica a collegare alcuni nomi alla storia, che i continui cambi di voce narrante all'inizio mi esasperavano ma alla lunga ho amato ciascuno di quelle voci, potrei parlare di come, alla Rashomon, l'Autrice spesso faccia descrivere lo stesso episodio da voci e prospettive diverse attraverso salti temporali e digressioni che riportano sempre al punto di partenza. Se sapessi farlo, potrei commentare lo stile e la scrittura ma la verità è che, di questo libro, a toccarmi è stata la vita e questo va oltre ogni tipo possibile di recensione.

Avrei tante cose da dire, forse, ma proprio come chi non sa come dirle, come chiederle, me le tengo per me nell'eterno dilemma tra dare ragione ai miei mostri o ai sorrisi di chi dice di amarmi.
 
Assumetelo nelle dosi che preferite, con la frequenza con cui riuscite e se la pillola dovesse risultare, a tratti, amara non scordate che il poco di zucchero tanto caro a Mary Poppins potrete trovarlo in un abbraccio, che potete anche chiedere senza timore che il chiedere ne raffreddi il tepore.

 
 

2 commenti:

  1. Beh, vorrei commentare queste tue parole, pesanti, vere, pure, in modo sommesso, a voce bassa, sussurrando che mi hanno colpito molto. Lo faccio con una citazione di chi ne sa più di me "Leggere, in fondo, è uno degli atti più privati e solitari che possiamo fare, e dichiarare il modo in cui si legge equivale a mettersi a nudo". E tu lo hai fatto con levità e verità, come un abbraccio mai dato!. Con pesantezza e consapevolezza di te. Grazie

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