Ho scoperto Saer.
La
scrittura è magistrale, un periodare lento e pacato che ricorda un flusso di coscienza, un "sogno guidato" come scriveva Borges riferendosi alla sudamericanità.
La prosa
è saggia e profonda ma non ci si perde, conduce in riflessioni interiori o in
descrizioni quasi disegnate per quanto dettagliate che non appesantiscono mai
la lettura. Lo scrittore è un argentino trapiantato a Parigi negli anni
Sessanta del secolo scorso (ma tu guarda le coincidenze), e scomparso nel 2005.
La vicenda narrata in questo romanzo è curiosa, insolita, accattivante: il
protagonista è Real, un coraggioso e tormentato medico, allievo di un
illuminato (forse anche anacronistico per i suoi tempi) psichiatra che apre nei
primissimi anni dell’Ottocento una clinica all’avanguardia in Argentina per la degenza e la cura dei “pazzi”. I
pazienti sono tutti rampolli di famiglie aristocratiche che per lavare l’onta
sociale di un parente disagiato pagano profumatamente affinchè siano
allontanati in un ricovero (inteso da loro
internamento puro e semplice) e spesso gli stessi sono anche prelevati a
domicilio.
La trama si dipana intorno al diario di Real che racconta di un
viaggio quasi dantesco nella pampa per condurre in clinica un singolarissimo
assortimento di pazienti. Le anime inquiete che costituiscono la carovana saranno
traghettate attraverso le desolate vastità delle praterie argentine, un
paesaggio capriccioso e imprevedibile, l’inseguimento di un orizzonte sfocato
al cospetto del quale anche i confini tra pazzia e normalità diventeranno
tremuli. Ognuno di loro sperimenterà un esilio da se stesso, specchiandosi in
una natura spaccata, fredda e calda, tempestosa e immobile, arida e piovosa. Le
loro sfaccettate personalità, timori e deliri, frenesie e gioie, si sfumeranno
sotto un unico cielo di nuvole che corre su vite e deserti, implacabile sulle loro teste, sani o malati
che siano. Un cielo in continua evoluzione, capriccioso e inclemente, a
rivelare che qualsiasi certezza può correre via in qualsiasi momento.
Ho trovato molto bella
soprattutto la parte centrale del racconto, il viaggio in sé, arricchito dalla
descrizione dei pittoreschi pazzi (ognuno
meriterebbe un libro): un catatonico che esprime con le mani un mondo di
pensieri, una suora ninfomane, un iperattivo, due fratelli in un universo
ridotto di parole. Intorno a loro ruotano soldati, avventurieri, commercianti,
prostitute, a formare una compagnia che condivide, vive e soffre, fa l’amore, litiga,
affronta le catastrofi naturali e i banditi, agitandosi sotto quella volta che cinge il capo
di chi ha ragione e di chi no (ed è facile confondersi in spazi che non hanno
più confini). La solidarietà della solitudine.
Real guarda la terra, il sole e le stelle: e scopre il nudo mistero di una vita sempre pulsante, che si affanna testardamente senza che emerga un senso a chiarirne il perché.
“La Ragione non sempre esprime il
meglio dell’umanità”: eh, Sudamerica ….