mercoledì 28 giugno 2017

Bibliopillola n. 19: Per viaggiare intorno a se stessi (anticinetico)

Ho scoperto Saer. 
La scrittura è magistrale, un periodare lento e pacato che ricorda un flusso di coscienza, un "sogno guidato" come scriveva Borges riferendosi alla  sudamericanità. 

La prosa è saggia e profonda ma non ci si perde, conduce in riflessioni interiori o in descrizioni quasi disegnate per quanto dettagliate che non appesantiscono mai la lettura. Lo scrittore è un argentino trapiantato a Parigi negli anni Sessanta del secolo scorso (ma tu guarda le coincidenze), e scomparso nel 2005. 

La vicenda narrata in questo romanzo è curiosa, insolita, accattivante: il protagonista è Real, un coraggioso e tormentato medico, allievo di un illuminato (forse anche anacronistico per i suoi tempi) psichiatra che apre nei primissimi anni dell’Ottocento una clinica all’avanguardia in Argentina  per la degenza e la cura dei “pazzi”. I pazienti sono tutti rampolli di famiglie aristocratiche che per lavare l’onta sociale di un parente disagiato pagano profumatamente affinchè siano allontanati in un ricovero (inteso da loro  internamento puro e semplice) e spesso gli stessi sono anche prelevati a domicilio. 
La trama si dipana intorno al diario di Real che racconta di un viaggio quasi dantesco nella pampa per condurre in clinica un singolarissimo assortimento di pazienti. Le anime inquiete che costituiscono la carovana saranno traghettate attraverso le desolate vastità delle praterie argentine, un paesaggio capriccioso e imprevedibile, l’inseguimento di un orizzonte sfocato al cospetto del quale anche i confini tra pazzia e normalità diventeranno tremuli. Ognuno di loro sperimenterà un esilio da se stesso, specchiandosi in una natura spaccata, fredda e calda, tempestosa e immobile, arida e piovosa. Le loro sfaccettate personalità, timori e deliri, frenesie e gioie, si sfumeranno sotto un unico cielo di nuvole che corre su vite e deserti,  implacabile sulle loro teste, sani o malati che siano. Un cielo in continua evoluzione, capriccioso e inclemente, a rivelare che qualsiasi certezza può correre via in qualsiasi momento.
Ho trovato molto bella soprattutto la parte centrale del racconto, il viaggio in sé, arricchito dalla descrizione dei pittoreschi pazzi (ognuno meriterebbe un libro): un catatonico che esprime con le mani un mondo di pensieri, una suora ninfomane, un iperattivo, due fratelli in un universo ridotto di parole. Intorno a loro ruotano soldati, avventurieri, commercianti, prostitute, a formare una compagnia che condivide, vive e soffre, fa l’amore, litiga, affronta le catastrofi naturali e i banditi, agitandosi sotto quella volta che cinge il capo di chi ha ragione e di chi no (ed è facile confondersi in spazi che non hanno più confini). La solidarietà della solitudine. 

Real guarda la terra, il sole e le stelle: e scopre il nudo mistero di una vita sempre pulsante, che si affanna testardamente senza che emerga un senso a chiarirne il perché.


“La Ragione non sempre esprime il meglio dell’umanità”: eh, Sudamerica ….

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