martedì 20 settembre 2016

C'era una volta il West

John Williams, Butcher's Crossing

Per onestà: John Williams l'ho conosciuto grazie al controverso "Stoner" (che, in maniera perfettamente democratica, è amato dall'una e detestato dall'altra farmacista) e quando ho letto la trama di questo suo romanzo sono rimasta un po' perplessa. Non credo di essermi mai imbattuta se non da adolescente in storie ambientate nelle regioni selvagge del West americano e l'approccio con il giovane Will Andrews che nel 1873 lascia Boston per provare il brivido della natura selvaggia del Kansas è stato diffidente. Il mito della frontiera, l'esperienza del contatto con l'inesplorato: mi sembravano plot da film più che da libro. 
E invece Williams mi ha colpita per la seconda volta; strutturando sulla caccia al bisonte (uno dei più solidi topoi della formazione culturale yankee) una trama senza grandi scossoni narrativi, riesce a costruire un racconto che tra le righe asciutte di uno stile severo come i territori da attraversare scuote dal profondo e ci precipita in uno scenario imponente e sconfinato, ci fa sudare sotto un sole torrido e patire la sete del deserto o rischiare il congelamento sulle crudeli montagne del Colorado. 
Quattro personaggi che si ritrovano messi a nudo, di fronte a se stessi e agli altri, rivelando nelle difficoltà estreme di quasi un anno di viaggio, quella lacerazione interiore che qualsiasi uomo, prima o poi nella vita, consapevolmente o meno, deve rivelare e affrontare. Il giovane in cerca di passioni mai provate, lo scafato cacciatore in eterna sfida con se stesso, l'avido scuoiatore, il servile accompagnatore provato da una vita crudele, accomunati da un'implacabile irrequietezza che li spinge ai confini del mondo, inteso come luogo conosciuto e come limite ultimo della comprensione di se stessi. La spedizione porta con sé un marchio funesto, il drammatico ritorno segna ulteriormente le vite dei protagonisti, ma il finale per chi scrive è la parte più bella di tutto il romanzo: la perfetta metafora di un'esistenza spinta da una irrazionale volontà di spingersi e mettersi alla prova pur di continuare a sentirsi vivi, pur di non ritrovarsi di notte in un letto e continuare a chiedersi perché, pur di andare, proseguire, non fermarsi. Si arde di passioni violente che avvampano devastanti per lasciare ceneri e fumo, braci di una vita sulla quale si continua a soffiare anche a rischio di bruciarsi. 

Continuo a chiedermi come si può scrivere in un modo così pulito, liscio, con frasi semplici e che potrebbero risultare inespressive, in una sequenza temporale scontata senza digressioni o ulteriori innesti narrativi, ma con una attenzione perfetta nella scelta delle parole, degli aggettivi, in modo da ottenere un effetto sicuro, d'impatto, nonostante l'assenza di iperboli, superlativi o complesse costruzioni descrittive. Basta qualche dettaglio puntuale e preciso e chi legge è catturato dalle verità mai pronunciate dei personaggi.
Probabilmente il fascino di questo scrittore (e analogamente il motivo per non sempre è amato) è la schiettezza con la quale ancora e da ogni suo romanzo riesce a chiederci se sappiamo chi siamo o cosa vogliamo essere. 

6 commenti:

  1. E la risposta a chi siamo e vorremmo essere, non ci piace quasi mai! Ho vissuto il claustrofobico Stoner, che considero un capolavoro (ebbene si, sono nella minoranza di chi ritiene questo Autore un grandissimo), quanto l'immensità degli spazi di Butcher's Crossing, in modo viscerale, In quest'ultimo, la polvere in gola, la sete feroce, il freddo inumano, le passioni dei protagonisti, e non solo, dirompenti..hai ragione, io sto usando vocaboli dei quali Williams non ha mai avuto bisogno, però io le ho provate, le ho "viste" e sentite queste emozioni, visti e sentiti questi paesaggi. Ho vissuto una vita di bugie in entrambi i libri. Ecco il fil rouge secondo me è proprio questo, viviamo una vita di bugie e non vogliamo saperlo. Nessuno, neanche un immenso scrittore, ce lo può dire! Ma grazie lo stesso a John e grazie a te per aver scritto questa splendida rece.

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  2. Adriana :)) mi hai ricordato anche della giovane prostituta Francine e della sua fugace ma indimenticabile relazione con Will. Anche ciò che è velocissimo lascia segni indelebili. Vorremmo scuoterci di dosso le cicatrici continuando a correre incontro a non si s bene cosa ...

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  3. E' una bella, triste storia. Normale ma mai banale, come tutte le storie di Williams.

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  4. Bellissimo romanzo, e Williams uno dei migliori autori letti in questi ultimi anni. Stoner mi ha commosso, Butcher's Crossing l'ho trovato invece piu "duro", ma c'è un fil rouge che li inusce: il muoversi per obiettivi poveri, inutili, "sbagliati". E la miseria umana, il senso dell'esistenza riposto nel "luogo" sbagliato.
    Il tutto raccontato senza sensazionalismi, ma con una forza e una capacità narrativa impressionanti. Ho "visto" tutto Stoner come Butcher's Crossing: le scene stampate nella mente.
    E la stessa domanda: per cosa vale la pena davvero?

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  5. Riprendo il commento di Adriana, le bugie della nostra vita sono le sovrastrutture create dalla vanità umana (created in-vain, direi), sovrastrutture che ovviamente sono destinate a crollare miseramente. Ma attenzione: è meglio il destino di colui che, reggendo l'impalcatura di bugie, non se rende mai conto, o il destino di colui che vive lo scuoiamento a strati dell'anima e tocca il fondo ma vede la verità? Mi piace pensare che Williams veda del positivo nel secondo destino.
    Vorrei aggiungere che questo libro viene considerato ispiratore di McCarthy, nello specifico di Blood Meridian. Di McCarthy ho letto soltanto La strada e fra i due preferisco Williams, forse perché dalla sua scrittura comunque si sente la formazione letteraria classica. Williams lavora di fino, e manda a tappeto con eleganza e senza sforzo apparente, laddove McCarthy invece usa uno stile ruvido e potente e colpisce con violenza.

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    1. Ma grazie 😊 Bella analisi. A questo punto però devi leggere Stoner 😅 E io Meridiano di Sangue che mi manca ...

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