Laia Jufresa, Umami, SUR
Il sapore della vita è inconfondibile perché li mischia tutti:
l'amaro del dolore, il dolce dei sogni, dei progetti e dell'amore, il salato
della curiosità e delle novità, l'acido delle delusioni e dei dissapori.
È la
vita stessa l'umami, il quinto
indefinibile fra i gusti, che li amalgama tutti insieme per creare
un saporito indiscernibile e unico.
Bella la scrittura che guida appassionando tra le vicende dei
personaggi, vicini di un comprensorio in cui si condivide un cortile e le vite
si fondono e intrecciano; la trama non è lineare, salta tra passato e presente,
da un appartamento all'altro, lasciando che siano gli stessi protagonisti a
presentarsi, a rivelare ciò che li unisce.
E finisci per amarli tutti gli
abitanti di "Villa Campanario", perché nel cortile sul quale si
affacciano tutte le case c'è una campana di bronzo
e tutti quelli che vivono qui devono saltare il batacchio della campana per entrare e uscire dalle loro case
Come un pegno da pagare, come un gioco da fare insieme.
Ho amato l'antropologo Alfonso Semitiel, il proprietario di tutto il
comprensorio, il suo struggente racconto delle quotidiane idiosincrasie di un
matrimonio come tanti, unico come tutti.
L'adolescente Ana affacciata sulla
vita che già la prende a schiaffi, la sua amica Pina alla ricerca di una madre
che non la vuole, la giovane Marina che crea i colori per sfuggire al nero che
si porta dentro, e tanti altri che ruotano intorno portando ricordi, agganci
con il passato, fantasmi e viventi, la nonna "gringa" americana, la
cardiologa superstiziosa, il padre musicista che prova ancora ad accordare una
famiglia: tutti attori superlativi, camei che completano un quadro originale,
commovente, impossibile da raccontare, come l'umami.
Un sapore che satura ma non si fa distinguere, irrisolto, complesso
ma
allo stesso tempo chiaro e tondo
come la vita di quelli che resistono meglio che possono.
Fa da scenario una Città del Messico raccontata nelle sue mille
contraddizioni, antica e moderna insieme, le vestigia di una città coloniale
inghiottite da una capitale frenetica e disordinata, un crocevia di tradizioni
e culture che spuntano ovunque tra le pagine, come il mais, i fagioli e le
zucche della milpa, il magico
amaranto, i tomatilli.
Le pagine della Jufresa si aprono su un mondo lontano e pressoché
sconosciuto, ma al quale ti avvinghi già dalle prime righe, in nome di quella
universale condizione degli individui che restano ancora disposti ad amare
disperatamente quella stessa vita che può decidere di colpire duro.
Imperdibile.
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