mercoledì 25 ottobre 2017

Bibliopillola n.24: Per diradare la nebbia

Il porto delle nebbie, Pierre Mac Orlan, Adelphi 


Ci sono libri che ti ruotano intorno per una vita; li trovi citati da autori che per certi periodi leggi forsennatamente, e li appunti su diari o quarte di copertina; li ritrovi menzionati in testi di critica letteraria; poi inizi a cercarli e non ci sono edizioni disponibili. Dopo un ventennio li scorgi casualmente in libreria, tradotti e ripubblicati. Passa ancora un po’ di tempo e un giorno qualsiasi senza un motivo particolare decidi finalmente di comprarli.

È andata così con il Il porto delle nebbie di Pierre Mac Orlan.

Presi nota di questo libro ai tempi dell'università. Lo nominava Sartre per il quale nutrivo una sconsiderata passione e del quale leggevo tutto ciò che trovavo, dai romanzi, ai testi teatrali, ai saggi filosofici. Poi lo rintracciai nei dintorni di Céline, nelle letture ambientate a Montmartre, tra le parole di chi raccontava quell'Europa sospesa e senza forze tra le due guerre. Qualche tempo fa mi accorsi dell’edizione Adelphi ma l'ho acquistato solo l'anno scorso. 
Finalmente l'ho letto, e il cerchio s’è chiuso. 

Di cosa parla questo libro? Di tutte le esistenze che brancolano in una foschia che sa di umido e che avvolge in certe epoche della vita, in cui ci si sente in bilico come quando si cammina sul ciglio del burrone con la consapevolezza che ci aspetta un abisso. Quei periodi che fanno presagire catastrofi ma si procede ostinatamente, con le mani davanti a parare ostacoli. 


Il titolo originale è Le quai des brumes: più che “porto” (in realtà i quais sono i larghi moli sul Lungosenna, con le centinaia di chiatte abitate che all’inizio del XX secolo trasformavano una metropoli nascente in una sorta di città portuale) a mio avviso rende meglio la traduzione “crocevia”. Cinque solitudini che si incontrano in una notte d’inverno fredda e cupa in una bettola*, con la neve a coprire le strade deserte di Montmartre.
Cinque personaggi dalle esistenze poco definite, dai contorni sfumati intorno ad anime nere segnate da tragedie personali. Saranno inghiottiti dalla nebbia di una capitale lacerata dalle contraddizioni di inizio secolo: la patinata Parigi della Belle Epoquè che celava la spaventosa durezza delle condizioni degli abitanti dei sobborghi. Bohemiens più negletti e meno romantici del secolo precedente, incattiviti dalla fame vera, resi cinici dalla miseria.
Vite vissute senza più passione e un lettore che resta spiazzato di fronte al freddo, asettico racconto delle loro débâcles: ed è qui la maestosità della scrittura di Mac Orlan, nel saper rendere questa periferia ai margini del mondo nella quale i protagonisti vivono come lupi e con i lupi, fra assassini e clochards che non appartengono più alla razza umana, ridotti ad implacabili congegni meccanici.

Prostitute già vecchie a diciannove anni e artisti squattrinati che riescono a dipingere solo la morte; macellai che guardano al mondo come una massa di carne inerte e soldati che come scarafaggi si arruolano nella legione straniera per avere i pasti assicurati. L’unica cosa che conta è dormire al caldo e trovare da mangiare, e quest’unica spossante occupazione li distoglie dal riprendere in mano le loro esistenze, li sprofonda in una nebbia sempre più fitta, quella

di un’Europa che a quell’epoca dormiva beata come un ipocrita animale da preda, e l’umanità pensava cose scriteriate, con il tacito consenso dell’animale addormentato. Le future vittime, predisposte dai giornali, ingrassavano nell’inconsapevolezza del cataclisma (sta infatti per scoppiare la Prima Guerra Mondiale)

Il libro fu scritto nel marzo 1927 da un autore che aveva vissuto in prima persona i patimenti della miseria da lui descritti con tanta superba bravura: e li racconta in un momento in cui, di nuovo, ci si trova a vivere una condizione di atterrita sospensione, quello tra le due guerre. Leggere la biografia di Mac Orlan è sorprendente: una vita da funambolo, scrittore, fisarmonicista, cantautore, spesso povera, poco compresa, con qualche sprazzo di fama alternato a censure. I suoi contemporanei non colsero, rimuovendo come solo noi europei sappiamo fare, il monito celato tra le disperate verità dei suoi personaggi, una profezia che artisti di levatura letteraria internazionale come Malraux e Queneau, Apollinaire e Picasso avevano invece assai chiara davanti agli occhi. Né i suoi lettori apprezzarono (passò nel panorama letterario degli anni trenta fra l’indifferenza più sconcertante) la sperimentazione dell’impersonalità, il realismo distaccato e privo di emotività, l’impareggiabile maestria che occorre per raccontare il mistero dell’esistenza. Solo alcuni compresero che quella miseria senza splendore poteva essere scritta solo così, senza sconti: sarà Louis Ferdinand Céline a dire di Mac Orlan

Aveva già visto tutto, capito tutto, inventato tutto
  
Nelle centocinquanta pagine di questo testo si riassume l’epopea della letteratura della prima metà del Novecento, di una metà di secolo che è stata attraversata furiosamente dalla prova dell’estrema brutalità umana, dalla violenza e dall’indigenza, testimoniate, raccontate, urlate dalle più belle sperimentazioni artistiche in tutti i campi. 
Quando l’ho riposto dopo averlo finalmente letto, atteso da vent’anni, ho pensato: 

- devo tornare a Parigi e cercare il Lapin Agile; 

- voglio vedere il film “Il porto delle nebbie” del 1938 sceneggiato da Prévert, diretto da Carné e interpretato da Jean Gabin; 

- storicamente siamo di nuovo qui, a rischiare di essere inghiottiti dalla nebbia.


Imperdibile.





*La bettola descritta nel romanzo, il “Lapin Agile” esiste davvero. Era un luogo per indigenti nato con il nome “Cabaret des Assassins” quando ancora sulla collina di Montmartre non c’era il Sacro Cuore e "cabaret" significava solo ritrovo, non luogo di intrattenimento artistico. Sulla facciata agli inizi del secolo fu dipinto dal caricaturista Andrès Gill un coniglio che scappava da una pentola e gli fu cambiato il nome in Au Lapin à Gill. Dopo la guerra la clientela diventò più rispettabile (ma mai ricca) e fu frequentato da personaggi come Modigliani, Picasso, Apollinaire: i personaggi di questo libro richiamano persone realmente esistite che bazzicavano insieme a Mac Orlan intorno al Lapin Agile.

Trovate il locale all’angolo tra rue des Saules e rue saint Vincent.


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