Il porto delle nebbie,
Pierre Mac Orlan, Adelphi
Ci sono libri che ti ruotano intorno per
una vita; li trovi citati da autori che per certi periodi leggi
forsennatamente, e li appunti su diari o quarte di copertina; li ritrovi
menzionati in testi di critica letteraria; poi inizi a cercarli e non ci sono edizioni
disponibili. Dopo un ventennio li scorgi casualmente in libreria, tradotti e
ripubblicati. Passa ancora un po’ di tempo e un giorno qualsiasi senza un
motivo particolare decidi finalmente di comprarli.
È andata così con il Il porto delle
nebbie di Pierre Mac Orlan.
Presi nota di questo libro ai tempi
dell'università. Lo nominava Sartre per il quale nutrivo una sconsiderata
passione e del quale leggevo tutto ciò che trovavo, dai romanzi, ai testi
teatrali, ai saggi filosofici. Poi lo rintracciai nei dintorni di Céline, nelle
letture ambientate a Montmartre, tra le parole di chi raccontava quell'Europa
sospesa e senza forze tra le due guerre. Qualche tempo fa mi accorsi
dell’edizione Adelphi ma l'ho acquistato solo l'anno scorso.
Finalmente l'ho letto, e il cerchio s’è
chiuso.
Di cosa parla questo libro? Di tutte le
esistenze che brancolano in una foschia che sa di umido e che avvolge in certe
epoche della vita, in cui ci si sente in bilico come quando si cammina sul
ciglio del burrone con la consapevolezza che ci aspetta un abisso. Quei periodi
che fanno presagire catastrofi ma si procede ostinatamente, con le mani davanti
a parare ostacoli.
Il titolo originale è Le quai des brumes: più che “porto” (in
realtà i quais sono i larghi moli sul
Lungosenna, con le centinaia di chiatte abitate che all’inizio del XX secolo
trasformavano una metropoli nascente in una sorta di città portuale) a mio avviso
rende meglio la traduzione “crocevia”. Cinque solitudini che si incontrano in
una notte d’inverno fredda e cupa in una bettola*, con la neve a coprire le
strade deserte di Montmartre.
Cinque personaggi dalle esistenze poco
definite, dai contorni sfumati intorno ad anime nere segnate da tragedie
personali. Saranno inghiottiti dalla nebbia di una capitale lacerata dalle
contraddizioni di inizio secolo: la patinata Parigi della Belle Epoquè che celava la spaventosa durezza delle condizioni
degli abitanti dei sobborghi. Bohemiens
più negletti e meno romantici del secolo precedente, incattiviti dalla fame
vera, resi cinici dalla miseria.
Vite vissute senza più passione e un
lettore che resta spiazzato di fronte al freddo, asettico racconto delle loro débâcles: ed è qui la maestosità della
scrittura di Mac Orlan, nel saper rendere questa periferia ai margini del mondo
nella quale i protagonisti vivono come lupi e con i lupi, fra assassini e
clochards che non appartengono più alla razza umana, ridotti ad implacabili
congegni meccanici.
Prostitute già vecchie a diciannove anni
e artisti squattrinati che riescono a dipingere solo la morte; macellai che
guardano al mondo come una massa di carne inerte e soldati che come scarafaggi
si arruolano nella legione straniera per avere i pasti assicurati. L’unica cosa
che conta è dormire al caldo e trovare da mangiare, e quest’unica spossante
occupazione li distoglie dal riprendere in mano le loro esistenze, li sprofonda
in una nebbia sempre più fitta, quella
di un’Europa che a quell’epoca dormiva beata come un ipocrita animale da preda, e l’umanità pensava cose scriteriate, con il tacito consenso dell’animale addormentato. Le future vittime, predisposte dai giornali, ingrassavano nell’inconsapevolezza del cataclisma (sta infatti per scoppiare la Prima Guerra Mondiale)
Il libro fu scritto nel marzo 1927 da un
autore che aveva vissuto in prima persona i patimenti della miseria da lui
descritti con tanta superba bravura: e li racconta in un momento in cui, di
nuovo, ci si trova a vivere una condizione di atterrita sospensione, quello tra
le due guerre. Leggere la biografia di Mac Orlan è sorprendente: una vita da
funambolo, scrittore, fisarmonicista, cantautore, spesso povera, poco compresa,
con qualche sprazzo di fama alternato a censure. I suoi contemporanei non
colsero, rimuovendo come solo noi europei sappiamo fare, il monito celato tra
le disperate verità dei suoi personaggi, una profezia che artisti di levatura
letteraria internazionale come Malraux e Queneau, Apollinaire e Picasso avevano
invece assai chiara davanti agli occhi. Né i suoi lettori apprezzarono (passò
nel panorama letterario degli anni trenta fra l’indifferenza più sconcertante)
la sperimentazione dell’impersonalità, il realismo distaccato e privo di emotività,
l’impareggiabile maestria che occorre per raccontare il mistero dell’esistenza.
Solo alcuni compresero che quella miseria senza splendore poteva essere scritta
solo così, senza sconti: sarà Louis Ferdinand Céline a dire di Mac Orlan
Aveva già visto tutto, capito tutto, inventato tutto
Nelle centocinquanta pagine di questo
testo si riassume l’epopea della letteratura della prima metà del Novecento, di
una metà di secolo che è stata attraversata furiosamente dalla prova
dell’estrema brutalità umana, dalla violenza e dall’indigenza, testimoniate,
raccontate, urlate dalle più belle sperimentazioni artistiche in tutti i
campi.
Quando l’ho riposto dopo averlo
finalmente letto, atteso da vent’anni, ho pensato:
- devo tornare a Parigi e cercare il Lapin
Agile;
- voglio vedere il film “Il porto delle
nebbie” del 1938 sceneggiato da Prévert, diretto da Carné e interpretato da
Jean Gabin;
- storicamente siamo di nuovo qui, a
rischiare di essere inghiottiti dalla nebbia.
Imperdibile.
*La bettola descritta nel romanzo, il
“Lapin Agile” esiste davvero. Era un luogo per indigenti nato con il nome “Cabaret des Assassins” quando ancora
sulla collina di Montmartre non c’era il Sacro Cuore e "cabaret"
significava solo ritrovo, non luogo di intrattenimento artistico. Sulla
facciata agli inizi del secolo fu dipinto dal caricaturista Andrès Gill un
coniglio che scappava da una pentola e gli fu cambiato il nome in Au Lapin à Gill. Dopo la guerra la
clientela diventò più rispettabile (ma mai ricca) e fu frequentato da
personaggi come Modigliani, Picasso, Apollinaire: i personaggi di questo libro
richiamano persone realmente esistite che bazzicavano insieme a Mac Orlan
intorno al Lapin Agile.
Trovate il locale all’angolo tra rue des
Saules e rue saint Vincent.
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