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sabato 13 ottobre 2018

Bibliopillola n. 28: Dell'inesistenza del caso nella scelta dei libri da leggere


(e quindi lasciarsi scegliere dagli stessi: può essere terapeutico)


"Se non vuoi essere delusa, basta che abbassi le aspettative. Questa in particolare mi pareva condensare un approccio terrificante alla vita, tanto in una madre quarantacinquenne quanto in una figlia ventenne"

Julian Barnes, L'unica storia, Einaudi

A volte capita di vedere una coppia e ti sembra che tutti due si annoino a morte, e non riesci a immaginare che abbiano ancora qualcosa in comune, non capisci perché stiano ancora insieme. Ma non è solo questione di abitudine, di sopportazione, di rispetto delle convenienze o altre cose del genere. E' che in passato hanno avuto la loro storia d'amore. Come tutti. L'unica e sola storia.

Trasformiamo ogni cosa che ci accade in storia, ci raccontiamo per vivere, per sperare, per ricordare. 

E forse alla fine ce n’è una, una sola, che conta più delle altre.


Un libro potente, affilato, lucidamente vero; perché solo a posteriori, da quella finestra sul mondo non più opaca ma consapevolmente nitida che è la vecchiaia, si possono comprendere gli anni passati, le scelte, gli amori. Senza colpevolizzazioni né assoluzioni, semplicemente prendendo coscienza di ciò che si è stati, di come si è vissuto. 

Non si parla solo di una storia d'amore, ma DELLE storie d'amore. 

Tutte le relazioni contengono sin dall'inizio un potenziale alienante distruttivo, che si cerca di negare fino all'ultimo. Il nodo cruciale della trama è quello: per ognuno, comunque e sempre, l'amore è uno. Quello che può anche trasformarsi in un orribile grumo di rabbia e pena. 

Passa forse anche in secondo piano il fatto che il giovane Paul sia il cicisbeo di una donna sposata di mezza età, a parte lo scandalo per la società inglese benpensante e alto borghese; che l'avvio del romanzo faccia pensare ad una iniziazione sessuale di uno sprovveduto diciannovenne o del riscatto tardivo di una quarantottenne accasata. Per la prima metà risulta essere una storia come tante. E le pagine sono liriche, idilliache, sfrontate, coraggiose. Non c'è nemmeno per un attimo da parte di chi legge la sensazione di collocarsi in una posizione giudicante, rispetto al troppo giovane seduttore, alla avventata e rispettabile signora inglese, ad una cerchia sociale intorno che finge, critica, tace. 

Ma dalla metà esatta il registro cambia. E le parole diventano terribili, raccontando dell'abisso in cui la discussa coppia precipita, soffocata proprio da ciò che aveva sfidato fin dall'inizio: le convenzioni, i moralismi, un'idea immarcescibile di famiglia. 

Dopo mezzo secolo il non più giovane protagonista, interiorizzato tutto il dolore, indossata la coriacea scorza della senilità, solo allora, alla domanda se valga sempre la pena amare, risponde in un modo che non lascia scampo. 


Barnes continua a lasciare che la sua penna sia dettata dal Tempo, come nei precedenti romanzi; l'accumulatore di materia viva da raccontare, un magma che ribolle solo fino a quando, superate certe boe, si raggiunge quella freddezza che consente di placarlo, plasmarlo, e renderlo specchio fedelissimo dell'animo umano, di come esso reciti le sue parti nelle diverse epoche della vita, credendo ogni volta ad una perfetta fusione con il suo personaggio, reagendo nel solo modo che la sua età gli mette a disposizione.


Come se inconsapevolmente per ogni periodo fossimo gettati su un palcoscenico a scegliere tra un numero ben preciso di maschere e di costumi per affrontare la serata e il pubblico: se stessi, il mondo in cui si vive, le persone amate intorno. 




Sandor Marai, La recita di Bolzano, Adelphi
Ed è davvero curioso che mi sia ritrovata quasi per caso a leggere, immediatamente dopo questo libro, un testo apparentemente molto diverso, più lontano nel tempo, scritto nel 1940 da Sandor Marai, con un protagonista di tutto rispetto: Giacomo Casanova. Proprio il più famoso dei libertini, l'avventuriero veneziano che scappa dai Piombi e si rifugia a Bolzano in attesa che le acque si plachino intorno alla sua evasione e possa continuare la sua fuga verso il cuore dell'Europa. 

E' un seduttore quarantenne, stanco ma non domo, infuriato per tutta la vita persa in carcere, ansioso di recuperare il tempo perduto, che per lui vivere significa soltanto consumare passioni dopo passioni, restare acceso, poter muoversi continuamente senza obblighi, vincoli, mura intorno, nemmeno quelle di una casa o di una professione. 

Vive di espedienti, è un baro, ma, principalmente, seduce: la vita, le persone, il mondo. E lo fa non con un aspetto forse mai stato bello, ma con il potere ammaliante delle parole e dei modi messi al servizio di un istinto ferino che fa comunque capolino in ogni sua scorribanda. 

Il segreto della sua arte è l'amore stesso per la vita, perchè è essa stessa che seduce e lusinga, regalando tutte le forme d'amore possibili da ripetere finchè la vecchiaia non ci consenta più tutto il dinamismo che la passione, ogni passione, esige. Perchè è un furibondo dispendio di energie, fisiche e dialettiche, l'amore, è mai sazio bisogno e sete di sapere, di conoscere, di sperimentare. E' come se Giacomo corresse disperato davanti alla sua stessa età, finché può, finché riesce ancora a recitare le sue mille parti, spesso nemmeno consapevole delle sue stesse finzioni, per l'immensa forza di convincimento con la quale le esprime. 


Una recita, sì.


Una volta evaso, di nuovo libero, avverte tuttavia oltre all'ebbrezza dell'aria fresca anche i primi inediti pungoli della solitudine, e non comprende perché la sua sosta a Bolzano si protragga tanto, fino a che non intuisce di essere lì ad aspettare qualcosa. O qualcuno. 

Un anziano conte che lo sorveglia non appena arrivato in città e che poi addirittura si presenta alla sua locanda; la sua giovane moglie, conosciuta cinque anni prima e per la quale i due si batterono in duello. 


E da questo momento il bellissimo romanzo di Marai incunea un monologo dietro l'altro, un gioco di specchi che si rivela essere un ménage à trois, nel quale non c'è solo un potente sul viale del declino che gioca le sue ultime carte per tenersi accanto la donna che ama, ma anche lo stesso Giacomo che si intravede, riflesso sfuggente, nelle parole dell'anziano uomo, c'è una giovane donna innamorata che è fulcro di passioni contrastanti e che sembra possa far vacillare la fama di dongiovanni incallito incapace di innamorarsi davvero. La stanza della locanda, dapprima visitata dal Conte, poi dalla stessa fanciulla, diventa un palcoscenico, in cui tutti sono insieme attori e spettatori, in cui si passa dall'ascoltare al calcare la scena, scambiandosi ruoli e maschere, sovvertendo ogni piano, in un' alternanza di giuochi e di ruoli che si riassume tutto nella frase " Io sono la vita". 

E' questa la frase con cui Francesca, la moglie del conte, si presenta, la vita di due uomini, dei quali l'uno l'ama, l'altro è amato. Pronta a tutto per amare, vivere, soffrire e capire, anche vendicarsi: perché Giacomo non potrà dimenticare chi si è tolto tutte le maschere davanti a lui, provando a guardare il suo vero, nudo, volto. 


Sono pagine di confessioni, rivelazioni, scritte con quello stile raffinato e profondo che è un bulino, ad intagliare ogni piega dell'animo umano e mostrarla in tutta la bellezza dei suoi spigoli vivi. Quasi soliloqui perché non c'è da replicare, loro stessi si ascoltano a vicenda, frammezzando spezzoni di frasi o risposte (alcune memorabilissime, "è poco", "è troppo"): non c'è da contestare, protestare, sfidarsi, ognuno dice la sua verità.


Perché, alla fine di questi giorni in cui ho sovrapposto le due letture, allacciate insieme dalla casualità mai casuale con cui i libri si fanno leggere uno dopo l'altro, alla domanda quasi ridicola per quanto sfrontata, vecchia di millenni, sul perché valga la pena amare, l'unica verità possibile la ritrova l'anziano Barnes alla fine del suo racconto, in un taccuino di gioventù, un appunto mai più depennato:



"In amore, ogni cosa è al tempo stesso vera e falsa; l'unico argomento al mondo sul quale è impossibile dire insensatezze"

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