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lunedì 4 maggio 2015

Bibliopillola n. 16 - Integratore contro le convenzioni

Ho sempre osservato con estrema meraviglia il fenomeno per cui i libri che leggo sembrano sempre essere collegati l’uno all’altro da un sottile filo conduttore. A volte è una parola, a volte una città, a volte un tema più ampio, ma mi sono sempre chiesta se, ed in che modo, sono i libri a mettersi in fila per voler loro o se sono, invece, i tortuosi percorsi dei miei pensieri a creare questi fili e questa volontà libresca. Non credo, in realtà, di voler risolvere il mistero, comprendere o crearmi una spiegazione plausibile. La verità è che mi diverto molto di più semplicemente ad osservare l’ondeggiare di questi fili provando ad immaginare dove mi porteranno.
Ultimamente si sono infilati tra i miei pensieri, come tre piccole perle, Il miniaturista, di Jessie Burton, Come in una ballata di Tom Petty, dell’amico di letture Marco Patrone Recensireilmondo e Le ore di Michael Cunningham (Premio Pulitzer nel 1999).
Tre romanzi molto diversi per ambientazione, fama e argomenti, eppure in ognuno di loro ho trovato il filo, il riferimento che ha acceso la lampadina che mi ha fatto pensare per giorni e provare emozioni discordanti e, spesso, dolorose, che ancora faticano a lasciarmi.
È iniziato tutto con Il miniaturista, dove il confronto tra due donne che si pongono, nel XVII secolo, in maniera molto diversa di fronte all’istituzione Matrimonio, ha acceso la scintilla. Le due faranno scelte opposte e per motivi simili, ed il tema delle regole e delle convenzioni è molto forte.

“Sembra che Marin consideri il matrimonio una rinuncia a qualcosa, quando moltissime donne – compresa mia madre, pensa Nella – lo vedono come l’unica possibilità di esercitare una certa influenza. Il matrimonio dovrebbe imbrigliare l’amore, aumentare il potere della donna. Ma è veramente così? Marin ha ritenuto di avere più potere senza. L’amore non è stato imbrigliato, e sono successe cose incredibili”.
(Il Miniaturista - Jessie Burton)

Credevo di partire per un viaggio verso altri tempi ed altri temi quando, pochi giorni dopo, convenzioni ed aspettative mi hanno nuovamente toccato ascoltando le parole, questa volta, di un uomo:

“Avevo letto di un importante manager di una multinazionale che si era suicidato, apparentemente sopraffatto dalla competitività. Pensai che avrei potuto scriverlo io, quell’articolo: la difficoltà di frenare e trovare spazio per sé, e l’uomo che rispetto al proprio corrispettivo femminile sente come obbligatorio non mostrare debolezza e tenersi tutto dentro e ancora dover comandare senza mostrare esitazione alcuna..”
(Come in una ballata di Tom Petty – Marco Patrone).

A quel punto pensieri ed emozioni già vorticavano intorno a qualcosa che non riuscivo a definire, ma era lì, e confrontandomi con l’Autore ricordo che parlammo di come l’adeguarsi alle convenzioni ed alle aspettative non sia solo degli uomini, ma fortissimamente anche delle donne, così come la difficoltà a stare dentro le scelte fatte ed il desiderio, quasi costante, di fuga.

E, infine, sono arrivata a leggere Le ore, di Michael Cunningham e non posso non pensare che questo libro DOVEVA arrivare tra le mie mani per chiudere il cerchio che mi ha portato in viaggio attraverso le pagine di questi tre romanzi e che si è manifestato chiaramente fin dalle prime pagine.

“Sembra improvvisamente semplice preparare una torta, allevare un bambino. Ama suo figlio così semplicemente, come fanno le madri – non ce l’ha con lui, non vuole andar via. Ama suo marito, ed è contenta di essere sposata. È possibile (non è impossibile) che abbia varcato una linea invisibile: la linea che l’ha sempre separata da quello che avrebbe preferito sentire, da chi avrebbe preferito essere. Non è impossibile che sia stata soggetta a una sottile ma profonda trasformazione, qui, in cucina, in questo momento così ordinario. Ha catturato se stessa. Ha lavorato molto a lungo, molto duramente, con grande fiducia, e adesso ha afferrato il trucco per vivere felice, per vivere come un bambino impara in un determinato momento a procedere in equilibrio su una bicicletta a due ruote. Sembra che starà bene. Non si scoraggerà. Non rimpiangerà le possibilità che ha perduto, i suoi talenti inesplorati (e se non ne avesse nessuno, dopo tutto?). Rimarrà fedele a suo figlio, a suo marito, alla sua casa e ai suoi doveri, a tutte le sue cose. Vorrà avere questo secondo bambino.” ù(Le ore – Michael Cunningham)
 
Le regole, le convenzioni, le scelte, la fatica di vivere, il malessere psicologico hanno iniziato girare vorticosamente tra i miei pensieri, portandosi dietro pezzi di storia, pezzi di vita: il lavoro, il dolore, l’essere madre, la vita.
Ho faticato parecchio a scrivere di questo libro, sembravano troppi i rimandi alla mia vita ed alla Vita in generale, quella con la V maiuscola. Ho dovuto lasciar passare qualche giorno e questo è quel che rimane...

Il primo giorno ho dovuto smettere di piangere, ritrovare il respiro, il mio qui e ora. Il secondo giorno ho avuto bisogno di lasciar sedimentare pensieri ed emozioni. Il terzo giorno ho iniziato ad aver paura di perdere qualcosa di tutti quei pensieri ed emozioni. Il quarto giorno ho capito che i personaggi di questo libro, Virginia, Laura, Clarissa, Richard, saranno sempre con me e, in qualche modo, lo sono sempre stati.
In conclusione due sensazioni resteranno con me: la prima riguarda il disagio delle piccole cose. Sento continuamente, anche tra le quattro mura del mio studio, raccontare di persone che si permettono di giudicare il disagio psichico con frasi tipo “con tutto quello che ha, non ha proprio niente di cui lamentarsi, non gli manca nulla” e cose simili. In tutti i personaggi del libro ho sentito dolorosissimamente come, in certi momenti, possano essere faticose e fonte di malessere le più piccole cose. Fare una torta, scegliere rose o parole, alzarsi dal letto, mettere i piedi uno avanti all'altro e "semplicemente camminare". Il mal di vivere non è di grandi o piccoli, di ricchi o poveri, di uomini o donne. Il male di vivere può essere di ognuno di noi, in qualsiasi momento e il più delle volte riguarda norme, convenzioni e aspettative e la responsabilità di farle nostre o rifiutarle (e il lavoro con la depressione post partum è solo uno dei tanti rimandi).
La seconda cosa riguarda l'identificazione con l'una o l'altra delle tre voci (quattro in realtà) e quel che è rimasto dopo che il pulviscolo si è posato è che in me c'è un po' di ognuno dei quattro. Sarò forse un po' schizofrenica ma io sono o sono stata, o sarò prima o poi, Virginia, Laura, Clarissa o Richard. O tutti loro insieme.
Essere quel che si è, vivendo giorno dopo giorno, è in fin dei conti la fatica di vivere.

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