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mercoledì 31 agosto 2016

La lettrice scomparsa, Fabio Stassi - Bugiardino estivo


Bugiardino estivo, per chi è ancora in vacanza e per chi è già rientrato e ha già pensieri autunnali.
-Tutti i libri che ha su quella parete, signor Corso: sono solo una collezione di voci. Scrivere è soltanto il primo modo che l'uomo ha inventato per registrarla, non crede?"
Fabio Stassi è stato a suo tempo il curatore dell'edizione italiana di Curarsi con i libri e si sente. Il curatore locale, in ognuna delle edizioni del libro ha partecipato mettendoci del suo per adattare i suggerimenti terapeutici al contesto letterario nazionale, sia attraverso le citazioni di testi in italiano, sia attraverso la citazione di testi di fama internazionale, ma ormai parte del patrimonio letterario nazionale.
Più di una volta ho avuto l'impressione che Stassi riprendesse suggerimenti già dati in curarsi con i libri per inserirli nella storia dandogli la nuova veste di parte di un racconto (per quanto sempre presentati come suggerimento letterario).
Vince arriva a fare il biblioterapeuta con un bagaglio di vita e letture che si scopre poco a poco, con la convinzione (peraltro negata più volte) di dover aiutare le persone con i suoi libri e l'inevitabile senso di fallimento che ogni terapeuta dell'anima sperimenta se prima non si fa una ragione del fatto che nessuno puó essere aiutato se non si aiuta da solo.
Nel complesso l'ho trovato a tratti presuntuoso, dall'alto delle sue citazioni e conoscenze letterarie e non so se è un problema del personaggio o dell'autore che non riesco più di tanto a separare dal libro al punto che, in certi momenti, tutte i personaggi mi son sembrati parlare con la stessa voce, quella di Stassi appunto (bellissima a tal proposito Lidia, attrice in tarda età dalla voce di ragazza con la paura di perdere con la vista anche le voci dei libri).
L'intrigo giallo passa assolutamente in secondo piano rispetto alle riflessioni sulla lettura ed alla curiosità di riconoscere le innumerevoli citazioni, il finale è meno scontato di quel che mi aspettavo ma mi ha lasciato la sensazione che, tra tutti i personaggi descritti, Stassi ne abbia saltato uno... ed in un libro dove è tanto presente il tema dell'assenza ho il sospetto che non sia un caso. A voi scoprire quale personaggio è mancato a me... magari a voi ne mancheranno altri...



lunedì 8 agosto 2016

L'uomo che cadde sulla Terra, Walter Tevis


Solitudini di tutti i pianeti: bugiardino cosmico.

"Non è necessario"
"Che cosa non è necessario?"
"Venire da Marte. Immagino c'è anche lei si sia sentito solo abbastanza spesso, dottor Bryce. E che si sia sentito alienato. E viene da Marte, lei?"
"Non credo"
"Da Philadelphia?"
Bryce sorrise. "Da Portsmouth, Ohio. Rispetto a qui, è più lontano di Marte"


I libri per caso. Quelli che cadono dalle mensole e ti chini per raccoglierli, quelli che ti regalano, quelli che sfili casualmente da uno scaffale in libreria. Quest'ultimo appartiene a questa classe. Un libro del 1963 sfegatatamente  caldeggiato dalla libraia amica fan di David Bowie (nella trasposizione cinematografica di questo romanzo è lui a interpretare il diafano personaggio principale). Mi ci sono avvicinata sospettosa per il timore fosse un racconto di fantascienza un pó datato, quindi scontato: invece si è rivelato una bella sorpresa, che azzarderei a definire un classico fuori da etichette di genere, forse uno di quei libri necessari, a prescindere. Dopo poche pagine ci si sente vicini al malinconico Newton, alla sua misteriosa storia, al suo esilio e al suo oscuro progetto. Una figura davvero unica, di sconcertante spessore, metafora  della condizione esistenziale dell'uomo moderno. La scrittura, potentemente descrittiva, disegna luoghi e paesaggi, evoca con precisione i tratti dei volti e dei gesti, racconta di un'America (quella immaginata è abbastanza fedele ai nostri reali  anni Ottanta) alle soglie di una indefinita catastrofe politica e civile, la vigilia di un conflitto inevitabile per l'ipotizzata estensione della guerra fredda (periodo in cui Tevis scriveva).  Spietata la critica all'ipocrita middle class americana, tanto fiera e sfacciata quanto in realtà sperduta e a disagio in un mondo del quale contribuisce  a creare la facciata ignorandone con cura i meccanismi più profondi. Originale anche il leit motiv che lega i tre personaggi principali, l'extraterrestre, la donna che casualmente (ma forse no) diventa la sua governante e l'ingegnere chimico che scopre la sua reale identità e la natura dell'immenso progetto al quale ambisce: la passione per l'alcool. La bottiglia di gin che solleva i loro animi tormentati dall'immensa tristezza che li accompagna e li accomuna diventa un salvagente, l'oblio che si concedono per sentirsi al sicuro quando il bisogno di sincerità, di essere se stessi emerge prepotente. Nonostante sin dalle prime pagine sia chiara l'aliena  provenienza del protagonista, lo sviluppo della trama riserva invece un finale niente affatto scontato e sicuramente toccante. 
Terminata l'ultima pagina si resta un pó attoniti, storditi dalla bruciante consapevolezza di una inesorabile alienazione, da noi stessi, dagli altri, dal mondo che viviamo. 
Siamo tutti marziani. 

"E tutt'a un tratto, guardando di nuovo la stanza con le grigie pareti anonime e l'arredamento banale, si sentì disgustato e stanco di quel posto dozzinale ed estraneo, dunque la cultura sfacciata, chiassosa, sensuale e priva di radici, di quell'aggregato di scimmie intelligenti, pruriginose ed egoiste, volgari e spensierate, mentre la loro effimera civiltà, come il ponte di Londra della canzoncina dei bambini, stava crollando, stava crollando insieme a tutti gli altri ponti".



giovedì 4 agosto 2016

Non Piangere, Lidye Salvayre

Il primo bugiardino che postiamo.


Ci sono libri che ti ritrovi per le mani e sono sorprese che non ti aspetti: atmosfere che ti portano indietro ad autori che furono, a titoli perduti, a una letteratura lontana.
Forse invecchiando si diventa più esigenti, si guarda criticamente alla scrittura, con diffidenza alla trama, con esasperata attenzione ai personaggi. Si legge con studio, esaminando.
Questo invece è uno di quei romanzi che dopo qualche pagina ti solleva e ti porta con sé, semplicemente, ci entri dentro ed è un’esperienza.
L’autrice nasce in Francia da rifugiati spagnoli e racconta attraverso le parole della ormai anziana madre l’estate del 1936 agli albori della guerra civile; degno di riflessione il fatto che la traduzione italiana del romanzo, a cui è stato attribuito nel 2014 il Premio Goncourt,  sia stata curata da una “piccola” casa editrice indipendente.
La scrittura è davvero trascinante (per quel poco che ne sappiamo, ottimo il lavoro di traduzione che rende benissimo il pasticciato idioma mezzo spagnolo mezzo francese della voce narrante; la quale passa spesso in terza persona lasciando il filo della narrazione alla figlia che ascolta il racconto, senza che questo disturbi minimamente la lettura); lodevole la documentazione storica che ricostruisce  luoghi ed eventi senza mai essere didascalica, costruendo uno scenario pieno della vita di personaggi uno più bello dell’altro che rappresentano le varie e controverse anime della confusa situazione politica del tempo.
Ci sono due livelli di lettura: uno più “cronachistico” che racconta il vortice di violenza che travolse franchisti, libertari, rivoluzionari, gente comune senza assolvere o giustificare nessuno.  Un quadro di generale sconvolgimento la cui interpretazione è la storia di un cambiamento mal vissuto e mal gestito, la vigilia del conflitto mondiale e il tragico monito che tutto ciò che avvampa lascia ceneri dolorose che covano per anni; che dalla parte del giusto non c’è mai nessuno se si dimentica il rispetto della vita e l’abominio della morte; che i valori non sono mai assoluti e che bisogna sempre essere disposti a cambiarli, ad azzardare lo scontro, la derisione, la condanna.
L’altro livello, invece, è pura passione. Ovunque. 
In ogni rigo, frase, negli occhi e nelle parole dei due fratelli protagonisti, dei genitori inconsapevoli e di tutte le figure che letteralmente divampano di vita, brutale, feroce, vera, che per la prima volta si fanno travolgere da una piena di emozioni appena o mai vissute, che scoprono quel disordine che al tempo stesso si ama e deprime. 
Corpi che protestano contro le censure imposte alle anime; bisogno di realtà che non può essere la vocazione alla rinuncia (ciò che tristemente insegnano le madri perché hanno paura che troppa vita la accorci troppo). 
Un innamoramento totale, di idee, visi, canzoni, che stravolge tutto, che è (questo sì) vera rivoluzione, anche se poi tutto cinicamente degenera in una guerra orribile e disperata; il ricordo radioso di un’estate, di una gioventù in cui ci si è sentiti migliori, con il cuore eternamente in tumulto, un impetuoso soffio che continua ad animarci per altri settant’anni, dissipando tutto ciò che poi di amaro la stessa vita riserva con i voltafaccia che solo lei è capace di fare.

Un libro che ha messo al sicuro tutto questo, perché c’è bisogno di soffiare ogni tanto sulle braci e rinnovare quell’infinito desiderio di poesia che è l’unico, vero motivo per cui si continua a vivere.

http://www.lasinodoroedizioni.it/novita/libro/182/non-piangere

Di libri, bibliopillole e bugiardini ...



Il maestrale a Sud porta il fresco e raffredda un’estate rovente (come ogni, come sempre).

Complici le ferie, riapriamo la serranda: fa sempre un po’ male vedere tanta polvere in giro e pensare a quanto tempo ci vorrebbe per tenere questo posto sempre aperto e pieno di bella gente. Facciamo quel che possiamo, stringiamo i denti e strappiamo ad una inesorabile routine momenti da regalare al nostro piccolo spazio.

L’unica cosa che non ci facciamo mancare, ovviamente, sono i nostri libri, panacea per le mille frette inconsapevoli che ci consumano la vita. E quindi pensavamo di ripartire da loro: dalle nostre amate #bibliopillole e, dai, NOVITÀ, #bugiardini.

L’idea è di “giocare” come al solito sull’idea della biblioterapia, pensando ai foglietti illustrativi dei medicinali: l’Accademia della Crusca ancora si interroga sul motivo per il quale vennero chiamati così, forse in riferimento al fatto che si omettevano effetti collaterali importanti nelle indicazioni prescrittive del farmaco. “Bugiarde” si chiamavano anche le locandine che si affiggevano fuori dalle edicole e, insomma, quei brevi testi nei quali, a causa del poco spazio non si poteva scrivere tutto: giusto alcune indicazioni. Anche a rischio della scarsa veridicità.

Bene, qualche sera fa discutevamo dell’abitudine che abbiamo di scrivere sempre qualcosa appena finito di leggere un libro: chiamarle recensioni ci sembra un po’ presuntuoso, diciamo impressioni, sensazioni, motivi per il quale ci è piaciuto o no. Una valutazione personale, ma che vale solo per chi scrive e quindi … bugiarda. Perché le esperienze di lettura sono, per fortuna, sempre estremamente diverse; perché giudicare un testo presuppone competenze che per quanto si possa leggere non sempre si hanno. Eppure, ne vogliamo e ne dobbiamo scrivere: e da oggi quindi postiamo i nostri #bugiardini, lasciandoli lì alla mercé di occhialini da lettura e di nasi storti o sorrisi compiaciuti.

Purché si continui.

A parlarne e a scriverne.

A leggerne. Di libri.





E&V

martedì 12 luglio 2016

Bibliopillola n. 17 - Integratore per la paura della vecchiaia

Fa caldo, la debolezza incombe, la stanchezza fa danni, l'umidità arrugginisce... e poi ti capitano questi libri: di questo devo scrivere, anche se siamo ferme da tanto, anche se apparentemente siamo un po' arrugginite, appunto.
Il Ferro fa la Ruggine.
E’ forte, non si spezza mai, può piegarsi e curvarsi, lasciarsi corrodere da una crosta arancione, ma non perde l’anima fiera e robusta, la cui tenacia sta nella consapevolezza di un istinto proprio, felino e selvaggio, che non smarrisce lo slancio, che non accetta mai di riempire la propria vita con quella degli altri. Ruggine è la vecchia protagonista di questo romanzo di Anna Pignatelli, un’esistenza solo all’apparenza piatta (ma nessuna mai lo è, ogni vita può essere sfaccettata e imprevedibile anche se si snoda nello stesso posto) che l’ha logorata, inarcandola e temprandola, regalandole un’indulgenza indolente di fronte alla quale si china il capo.
Piegata ma non vinta.
Vive in un borgo di vecchi, fatto di tutte le cattive rughe dell’umanità, che lei imbelletta ostinata sopportando ogni oltraggio con la sua lentezza; lo attraversa con il passo lieve godendosi la grazia incantevole del mondo intorno che l’incapacità di vivere ci ha sottratto. Ama la vita nonostante tutto, e di Male ne ha provato e continuerà a provarne, ama gli uomini non perdendo mai l’interesse per loro, quasi fosse senza tempo ed eterna, immortale, continuando a tenere accesa la curiosità, aiutandosi con il vino e con l’oblio della mente, con l’inossidabile (quello sì..) amore per la naturale bellezza della natura intorno e del suo perpetrarsi attraverso le stagioni. Si lega a personaggi diversi come lei, estranei e stranieri alla meschinità e alla superstizione, anche a costo di essere tradita per l’ennesima volta, anche a costo di non ricevere l’aiuto che si aspetta da chi vive solo le strade. La sua forza è invidiata, odiata, come accade a chi resta per sempre risentito nei confronti dell’esistenza trasformandola in una ostilità che inchioda i Cristi alle croci non solo una volta l’anno.
Ferro è il suo gatto. Le loro vite sono legate indissolubilmente, è l’animale a tenerle sempre davanti agli occhi la forza del piacere e della vittoria, dell’irriverente andarsene per notti impossibili a ferirsi in zuffe per accoppiarsi, del placido riposo degli istinti appagati; è un memento costante la sua compagnia, quando accetta di trattenersi su un cuscino e rimangono a guardarsi nelle pupille, perché quel silenzioso parlarsi significa proprio che la vita s’impone con il sangue e con la lotta e ogni giorno è un’esperienza indicibile, anche se si resta fermi a fissare le fiamme del caminetto.
Le altre figure che popolano il romanzo, per lo più grette e sordide, sfilano intorno; il figlio anzitutto, ma non se ne può parlare, fa parte del male della vita; il marito defunto, un fantasma più vivo da morto di ciò che è stato invece in vita; il padrone di casa, la professoressa dirimpettaia, il bottegaio, una ragazza che non saprà decidere se accettare la sfida che silenziosamente l’anziana donna le ha lanciato; degni di nota il parroco e lo zingaro, messi al bando come lei dalla comunità raggomitolata su se stessa.
La scrittura della Pignatelli è magnifica, le parole scelte ad una ad una, d’una bellezza cesellata che non oscura gli animi che descrivono, anzi, li fa brillare di luce propria, non distrae, consente di guardare ai personaggi come se li avessimo di fronte, a scrutare nelle pieghe del viso e nei colori dei paesaggi circostanti. Una penna perfettamente dosata, limpida e densa ma senza esagerazioni.
Quando ho chiuso il libro l’ho dedicato mentalmente a mia nonna: zingara costretta ad adattarsi, a comprimere una bellezza offensiva, senza perdere però mai l’attaccamento ad una vita che l’aveva offesa (e terribilmente) molteplici volte; vita che ha amato talmente tanto che l’ultima volta che l’ho vista, e non volevo trovarla lì, con i lunghissimi capelli sciolti sul letto e una mano sul seno, le ha regalato un sorriso lieve e sornione sul volto.
Piegata ma non vinta, si è potuta permettere di morire da sola.

Non amo i superlativi, ma questo romanzo è bellissimo.

Bibliopillola per combattere la paura di invecchiare e per chi, nonostante tutto e tutti nel mondo e nella vita vuole crederci fino in fondo.

Allora Gina chiese: "E che sarebbero i Balcani?".
"Sono montagne nere. C'è solo una cosa più impressionante di loro: la strada. Quella infinita che unisce i paesi, che va dal mare ai monti, dalle pianure alle foreste. Io la conosco, la strada. Nella strada ci si imbatte nella verità". Poi aggiunse: "La parola detta per via è più vera, meno ingannevole".  
(Ruggine, Anna Pignatelli. Fazi Editore)


venerdì 28 novembre 2014

Lettore, ho bisogno di un libro! Il Book Swap di Apoteche

Chi consiglia un titolo particolare a un amico, per aiutarlo a uscire da una sua crisi privata ha già espresso una diagnosi e indicato un farmaco, ne conosce gli effetti collaterali, sa che possono variare dalle vertigini alle lacrime, ma è consapevole che la lettura è una febbre che ci fa guarire dal resto. (Fabio Stassi)
Sono passati poco più di 6 mesi da quando aprivamo al pubblico il bancone della Farmacia Letteraria con il nostro “Noi la vorremmo così” e con le parole di Fabio Stassi.
Sei mesi passati a leggere, scrivere, ascoltare, conoscere, ideare, progettare, scambiare, ma anche sei mesi passati a rimandare, aspettare, rimuginare, affrontare, boccheggiare e frustrarci per non aver potuto fare di più.
È tempo di bilanci e la bilancia ci dice che questo angolino ci piace, voi che ci seguite ci piacete, l'idea che scalda questo posto ci piace e allora per rinforzarci un po', ma anche per entrare un po' più in contatto con chi ci segue qui e su facebook abbiamo provato a pensare a cosa ci piacerebbe e quel che ne è venuto fuori è che ci piacerebbe fare qualcosa con voi.

giovedì 16 ottobre 2014

Dell'utilità dei mostri

L’ autunno è sempre foriero di riflessioni malinconiche e intimiste, favorite dallo sfondo di una natura dai colori caldi e accesi, dall'aria più frizzante che ci fa stringere le giacche al petto (un abbracciarsi per proteggersi dall'imminente arrivo del freddo), dagli odori che ricordano camini accesi e legna umida, dal suono crepitante di quel tappeto naturale di foglie secche che ottobre ci srotola sotto i piedi.



Una bellezza struggente che spesso porta con sé un remoto disagio, una sensazione che fa presagire il buio invernale e che quindi svela tutte le paure suscitate atavicamente dall'in-visibile, ciò che si cela dove non c’è luce. 
Per i contadini questa è la stagione più ricca di riti e tradizioni, che servono per rigenerare la terra durante il riposo invernale e propiziare la sua fertilità; è tempo di bilanci (anche zodiacalmente), di riflessione su ciò che si è fatto e quindi su quello che c’è da fare per il prossimo anno: un ripiegamento su se stessi per avviare una silenziosa rigenerazione, nel grembo della terra, affinché si rinasca a nuova vita. Del resto, in campagna in autunno c’è molto da fare: si prepara il vino, si raccolgono ortaggi, i boschi offrono castagne, funghi, mirtilli e lamponi; si raccoglie la legna, scorta di luce e calore per i rigidi mesi invernali. Non a caso il simbolo chiave di questo periodo nella tradizione celtica era la cornucopia: la cesta dell'abbondanza. E infatti la parola latina auctumnus deriva dalla radice del verbo augere, ovvero “aumentare, arricchire”.

Però … la luce del giorno dura sempre meno; i colori caldi si spengono per lasciare il posto al nebbioso grigiore umido che fa da sfondo agli alberi ormai spogli, tetri e scheletrici. L’autunno inoltrato coincide con una serie di rituali che ogni cultura, in ogni tempo e luogo, non ha mai omesso di celebrare: i cristiani si preparano a onorare i santi, i celti festeggiano il Capodanno (Samhain) e un po’ ovunque viene ripresa la tradizione anglosassone di intagliare zucche, soprattutto negli ultimi anni. Un curioso miscuglio di folclori e credenze pagane, antropologiche e religiose per segnare il passaggio dalla luce al buio: una soglia, un piede nella conclusione e un altro nell'inizio. Il ripetersi eterno dell'alternanza vita morte; è per questo che la terra si popola di “mostri”, prodigi, creature straordinarie e contro natura, che arrivano, appunto, per mostrare ed avvertire, per ricordare tramite la paura il lato oscuro di ogni vita. Gli esorcismi messi in atto per scongiurare il loro avvicinarsi illuminano Jack O'Lantern, spingono a prendersi beffe di loro imitandoli, aiutano a convivere con il buio e ciò che non si conosce. 

Insomma, una stagione nella quale “l’umore nero” può e deve essere scacciato dalla consapevolezza dell’alternanza; da un girotondo con tutti i mostri possibili. 

Mi viene in mente un libro da inserire fra i rituali propiziatori per l’inverno; si chiama “Il popolo dell’autunno”, di Ray Bradbury. Storia di ragazzini che nel periodo di Halloween combattono le forze del Male per ritrovarsi adulti. Ma no, non è così banale: è un piccolo capolavoro scritto magnificamente, un tripudio di giostre e tendoni da circo, di streghe portate dal vento autunnale, di voglia e terrore di crescere, della necessità di conservare sempre un pizzico di ironia fanciullesca per continuare anche da adulti a fare i conti con ogni tipo di incubo.

“La risata è un re e fa quel che vuole”

E, se vi va di darci una mano a costruire una cosuccia che abbiamo in mente, perché non ci dite un po' quali sono le emozioni che colorano il vostro autunno? E con quali libri le coltivate? O esorcizzate?

Buon autunno a tutti!

mercoledì 3 settembre 2014

Bibliopillola n. 8: Contro la dispersione

Un silenzio innaturale che profuma di autunno ha pervaso la casa, una quiete ovattata che concilia riflessioni serene ma fa anche irrimediabilmente prudere le dita. Ci sono condizioni dell'anima, talvolta, che devono necessariamente sfociare in qualcosa di scritto, per completarsi.
Ecco perché dal mio divano immerso in una penombra che sa di odore di pioggia rialzo le saracinesche della Farmacia. D'altronde, si sa, è autunno. La stagione della ripresa, dei buoni propositi, delle liste di cose da fare... il mese in cui ci illudiamo di vivere un'esistenza programmabile e prevedibile. Ma ci serve, ne abbiamo bisogno, non possiamo fare a meno di progettarci, di inserirci in una continuità temporale, di pensare a noi stessi come a identità compiute. Che ovviamente non siamo mai.
La prima chiacchiera autunnale qui, fra i nostri scaffali, mentre tolgo un po' di polvere e faccio arieggiare i locali (qualcuno il caffè lo prepara, vero?) scaturisce da una frase che la mia socia ha scritto ieri in un post.
Ogni volta che torna dalla sua Sardegna, ci lascia un pezzo di cuore; e si chiede:
"Si può vivere con i pezzi rimasti?"

Mi sono immaginata come una specie di mosaico che si va sfaldando, che perde tessere ad ogni svolta esistenziale. Ma poi ho pensato che forse è il contrario: siamo fatti di tanti tasselli diversi, mischiati, uniti, ricomposti dalla vita ogni volta che si scava l'ennesima ruga sui nostri volti. Siamo sfaccettati, un'immagine anamorfica che ha un senso solo se osservata da lontano, nella quale ci riconosciamo per un po' e nel frattempo siamo già lì a rimestare i nostri elementi.
Si può vivere di pezzi, certo. Tutti quelli che ogni volta rimangono, finché non ne troviamo altri. Talvolta anche con pochissimi. Spesso con troppi.
Piuttosto, quello che davvero ci occorre è un buon collante. Qualcosa che ci permetta di saldare la nostra se pur temporanea forma compiuta. Un sostrato adesivo che ci tenga insieme.
Insomma, la stagione la apro con una bibliopillola. Una sorta di Attack per l'anima. Perché spesso si ha paura, quando si cerca di riunirsi, di ricomporsi, di riconoscersi.  Perdite di sé cicliche che ci sbandano e ci scombussolano.
C'è stato un libro, anni fa, che mi ha insegnato a non farmi prendere dal panico quando si perde l'orientamento di se stessi; un libro in cui il protagonista, in precario equilibrio, si ritrova a dover fare  i conti con volti e luoghi sconosciuti, all'inizio confusi, turbinanti come la neve di Sapporo, ma che si svelano in realtà essere volteggianti, a costituire nuovamente qualcosa che acquista senso solo se inseguita passo dopo passo.
"- Finora tu hai perso molte cose. Molte cose preziose. Il problema non è sapere di chi è la colpa. Il problema è che tu attaccavi sempre qualcosa di te a tutte le cose che perdevi. Non avresti dovuto. Avresti dovuto tenere qualcosa da parte per te, invece di lasciarla andare via con il resto. Così ti sei consumato poco a poco. Perché? Perché l'hai fatto?

- Non lo so."
Che questa bibliopillola vi porti al vostro personale Dolphin Hotel, dove s'impara che non si finisce mai di disgregarsi e ricomporsi, purché non ci si dimentichi mai di danzare.

"Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare, finché ci sarà musica. Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare senza mai fermarti."
Murakami Haruki, Dance dance dance



mercoledì 6 agosto 2014

BiblioTrendy

Biblioterapie, farmacie letterarie, bibliopillole, libri in tutte le posologie e salse e forme. 
Saggi, racconti, ora anche romanzi e anche in questo pare ci sia una Farmacia Letteraria... galleggiante.

Beh, pare che, da modeste lettrici, abbiamo spontaneamente intrapreso un percorso che comincia a fare tendenza. Che è una parola che onestamente un po' ci spaventa, lo confessiamo... 
Il fatto che se ne parli molto, e che ne parlino in tanti (in questi giorni per esempio CaffeinaMagazine e LaRepubblica.it), sarà sempre sacrosanta salvaguardia di una democraticitá di fondo, ci mancherebbe, ma una sensazione di lieve prurito alla schiena è sempre lì, in questi casi, a ricordarci che per appassionarsi a qualcosa non basta una moda. Occorrono competenze. Studio. Lavoro.
POI se ne può pure parlare. Con cognizione di causa.
Un principio che varrebbe un po' per tutto e che tragicamente, invece, ha lasciato il posto ad una tuttologia facilona, per cui basterebbe leggere alla svelta un paio di articoli presi non si sa bene da dove per esprimersi consapevolmente su un qualsiasi argomento.
Ecco, accade anche drammaticamente a scuola: si legge una sintesi sul Rinascimento ergo si sa tutto sul Rinascimento (un esempio a caso! :))
Comunque sia, le tendenze che hanno a che fare con i libri per lo meno ci incuriosiscono; sicuramente leggeremo il romanzo in questione, così ne chiacchiereremo ex professo nella nostra Farmacia!
Approfittiamo per augurare Buone Ferie a tutti!
A settembre torneremo più agguerrite che mai…. 

Anche perché nelle nostre valigie ci sono sempre più libri che vestiti! 


Fonte: Web


A Presto!
Emma&Valeria

mercoledì 28 maggio 2014

Bibliopillola n. 7 Contro la stanchezza

Ci sono giornate in cui la stanchezza ti divora. Ti consuma da dentro, ti rende passiva, riottosa, ti lega per terra con due blocchi di cemento per piedi, il cuore gonfio e la testa svuotata. Ci sono giornate che arriva la sera e ti chiedi come sia successo, che ti svegli al mattino e ti sembra di non aver dormito affatto, ore di non-riposo trascorse in un irrequieto dormiveglia in cui si confondono incubi da desta e sogni che nemmeno riesci più a fare. Una stanchezza che ti chiedi perché, conseguenza di attività che spesso e con sgomento ti ritrovi a considerare marginali, rispetto a quelle che davvero vorresti ti stancassero, se non addirittura inutili, stupide. Sprechiamo noi stessi e il nostro tempo a sbrigare incombenze, faccende e iter assolutamente monotoni, alienanti, incredibilmente lontani da quello che vorremmo realizzare di noi attraverso il lavoro. Una stanchezza avvilente e mortificante.
Ecco, questo è uno dei malanni che più mi affligge, da qualche anno a questa parte. E nonostante gli occhi alla sera brucino e le palpebre calino con pesantezza, mettermi a leggere mi dona quell'ora di quiete che è molto simile ad un appagamento, una sorta di risarcimento per un pezzettino di vita che sento con un nodo alla gola irrimediabilmente sacrificato.
Mentre mi arrabattavo dietro il bancone della farmacia ho pertanto pensato stasera ad una prescrizione complessa, una confezione multipla; perché mi è capitato di ascoltare opinioni contrastanti su quali generi, autori e testi possano risollevare dalla stanchezza.
C'è chi preferisce una leggerezza consapevole, che soffi aria fresca in una mente intasata per distrarsi: un po' come sedersi all'ombra di un bell'ulivo in un pomeriggio di canicola.
Chi invece non si rassegna a leggere qualcosa di meno impegnato e nella complessità di stili letterari forti, fra le parole di personaggi umani e anche sofferenti, trova un coinvolgimento emotivo e artistico che comunque svaga.
Chi ha assolutamente bisogno di parole che incollino alle pagine, di trama ed emozione, della scarica adrenalica dei gialli, ad esempio.
Chi infine (ma non ultimo) deve sbrigliare la fantasia verso luoghi immaginari e racconti chimerici, abitando castelli, Terre di Mezzo o foreste popolate da unicorni.
Dunque tante prescrizioni stasera, contro la stanchezza: scegliete voi la bibliopillola che più vi aggrada, che più vi è consona.
E riposate membra e pensieri facendovi trasportare in tutte quelle vite che potete fare, comunque, vostre.

Ali di Babbo, Milena Agus, Nottetempo.
Semplice, ma non banale; leggero ma non superficiale. Fresco come il vento della Sardegna, racconta l'incanto di un adolescente che forte della propria spontaneità inizia ad affrontare anche le crudeltà della vita. Fiaba contemporanea. Addolcente.







Trilogia di Fabio Montale, Jean Claude Izzo, e/o.
Un poliziotto marsigliese, un uomo che vive un rapporto passionale, nel bene e nel male, con la sua controversa città, porto dannato e maledettamente bello, metafora di un mondo che è uguale ovunque e che a prescindere dagli occhi con cui lo si guardi regala ad un certo punto della vita di chiunque una lucidità disincantata ma mai rassegnata. Noir mediterraneo. Umano.








Il collezionista di ossa, Jeffery Deaver, Sonzogno.
Lincoln Rhyme è un criminologo divenuto tetraplegico coinvolto in un'indagine su un assassino efferato.
Ritmo incalzante, tempi serrati, una lotta contro la crudeltà e le limitazioni del protagonista. Corroborante.







Il Signore degli Anelli, J.R.R. Tolkien, Rusconi.
Un mondo immaginario in un tempo immaginario, hobbit, elfi, anelli del potere, una saga che incanta da quasi un secolo, il potere salvifico della fantasia. Epico.

mercoledì 16 aprile 2014

Bibliopillola n. 2 - Contro l'Etá della Ragione


Questa prescrizione riguarda un terribile equivoco nel quale molto facilmente si inciampa.
Le pagine dei libri possono rappresentare una sorta di filo di Arianna per trovare l'uscita da labirinti esistenziali.
È vero, abbiamo inaugurato questa farmacia anche perché lo pensiamo.
Ma ci si deve intendere bene: se srotolando il suddetto filo cominciamo ad orientarci e ad acquisire familiarità con quel tracciato apparentemente inestricabile di strade, allora ha giá funzionato. Non é detto che si trovi l'uscita; nei labirinti medievali spesso questa coincideva con il punto di partenza. Probabilmente dobbiamo continuare a camminare per irrobustirci: per comprendere che ció che sembra contorto é semplicemente ciò che siamo, ma non siamo ancora pronti (o piú pronti) ad accettare. Ci rimproveriamo di non esser sufficientemente bravi a trovare l'uscita; o di non averne piú la forza o peggio ancora la volontà. Ci rimproveriamo, o ci rimproverano, di essere coscienze smarrite.
Ma forse occorre proprio fare i conti con questo eterno errare dentro e fuori noi stessi.
"Ma vecchio mio, guardati un poco: hai trentaquattro anni, i capelli ti si stanno diradando, non hai più niente di un giovanottello, e la vita di bohéme non è più per te. E poi, si può sapere cos'è, la bohème? Era molto carina cento anni fa, ma adesso è un pugno di spostati che non rappresentano un pericolo per nessuno e che hanno perso il treno.
Tu hai l'età della ragione, Matteo, l'età della ragione, o almeno dovresti averla"
"Bah!" disse Matteo "quella che tu chiami l'età della ragione non è altro che l'età della rassegnazione, e io non ci tengo affatto".
Questa bibliopillola è per Titti che ha commentato quanto male possa fare la consapevolezza: perché non è detto che essa debba necessariamente coincidere o con la ragione o con la rassegnazione.

Jean Paul Sartre, L'etá della ragione, Bompiani, 2009




giovedì 10 aprile 2014

Bibliopillola 1 - Per le nottate interrotte

"Alle 2.00 circa, però, due o tre file non correttamente chiusi nel cervello, la prima zanzara della stagione e la gatta piagnona dietro la porta della mia camera mi hanno ributtata al mondo. Dopo aver navigato in lungo e in largo nei documenti spalancati nella testa senza trovare soluzione degna di questo nome, neppure la consolante frase "domani è un altro giorno" avrebbe avuto il potere di riportarmi nelle braccia di Morfeo". (Mariarosa)
Mi è quasi caduto addosso, nel senso che ho avuto la sensazione che sia stato lui a trovare me. Intendo, il primo libro da farmacista letteraria, la prima pillola letteraria di ApoTeche. Nonostante non ci sia stata una vera e propria richiesta di aiuto, il commento di Mariarosa al post di qualche giorno fa Consapevolmente ha fatto scattare la molla che ha messo in moto il meccanismo per cui la Farmacia Letteraria è nata.

O forse, semplicemente, è cascato un libro dallo scaffale. E mi sembra proprio una bella terapia d'urto, perché racconta i mille modi in cui si cerca se stessi. Racconta di come solo gli altri, a volte, possano dirci qualcosa di noi, anche a distanza di anni, anche da luoghi diversi. E di come, inesorabilmente, anche laddove si tenti di evitarlo, solo le parole salvano: ma bisogna essere capaci di farlo. Al limite, impararlo.
"Vede Rebecca, una cosa mi sembra di averla capita. Pensavo che parlare non fosse assolutamente necessario, io ho terrore delle chiacchiere, non potevo certo pensare di chiacchierare con lei. E poi temevo che si finisse con una cosa tipo psicanalisi o confessione. Una prospettiva agghiacciante, non trova? [...] però, vede, mi sbagliavo. La verità è che devo accettare di parlare, anche una sola volta, due al massimo al momento giusto, ma devo essere capace di farlo".

Pensa un po', Mariarosa: il protagonista che sta parlando è uno scrittore che ha deciso di smettere, perché "un giorno mi sono accorto che non mi importava più di nulla e che tutto mi feriva a morte".
Ma non ci si può allontanare mai del tutto da quello che si è. Nonostante la consapevolezza sia dolorosa.
"Mentre spegneva le luci e trovava ancora qualcosa da rimettere a posto, ebbe la sensazione strana di non essere lì, e di rifinire i dettagli della vita di un'altra. Con una punta di sconcerto capì che, in un solo giorno, una certa distanza a cui aveva lavorato per anni, si era scostata con eleganza - una tenda in un colpo di vento.
E da lontano la raggiunse una nostalgia che credeva di aver sconfitto".
Et voilà, la bibliopillola1: una cura per le nottate, e le vite, interrotte.


domenica 6 aprile 2014

Consapevolmente

Soltanto le cose che si pagano sono vere, che si pagano a prezzo di intelligenza e di dolore. E io non pagavo oramai, soltanto, che attraverso le banche. 

(L. Sciascia, Todo Modo
Stavo mettendo ordine nei pensieri, godendomi la tranquillità della domenica sera che vede concludersi tutti i riti della giornata e regala un po' di quieto silenzio. Una domenica come tante, ma percorsa da vissuti emozionali forti: la novità di questo blog, il tam tam sui social, le virtuali pacche sulle spalle di amici e conoscenti, la voglia di andare avanti e l'entusiasmo da contenere, ma anche qualche polemica, qualche malumore familiare, notizie non sempre buone, preoccupazioni del quotidiano. Insomma, emozioni dosate in maniera diversa ma quasi tutte presenti, sia positive che negative. Ecco perché mi sento sfinita. Ecco perché mi viene spontaneo aprire il libro di turno. Per farmi coinvolgere in un flusso di parole, situazioni, storie, personaggi che mi trascinano per un po' altrove, mi raccontano di loro, mi distraggono, ma mai del tutto da me stessa. Perché ad un certo punto inciampi in un periodo che sembra lì apposta per rimetterti improvvisamente di fronte alla tua realtà. 
Uno schiaffo. 
Toh, ma sta parlando di me. Mi sta dicendo qualcosa, sembra sia stato scritto proprio per dare una risposta alla domanda che mi stava assillando. 
Questo riportare alla coscienza, come se fosse detto da altri, come se un altro paio d'occhi ti permettesse di guardarti dall'esterno o altre bocche ti dicessero di te, penso sia il potere più elevatamente terapeutico della lettura. Avevo iniziato a leggere pensando ancora a ciò che più mi aveva scosso della giornata, me ne stavo allontanando pian piano addentrandomi  nella campagna siciliana di Sciascia, un'eco sempre più flebile, quand'ecco quelle parole, che balzano davanti agli occhi, come mi fossero urlate nelle orecchie. 
Le cose vere si pagano: a prezzo di intelligenza. Di dolore. 
É la definizione della consapevolezza. Che non può essere acquistata nemmeno a suon di milioni. 

Consapevolmente é un avverbio che mi é sempre piaciuto. 

Ce lo teniamo come una formula magica, su questo blog. Un Abracadabra. 
Perché le parole sono importanti. 


Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. Quando la letteratura è al suo apice ci sembra che d'improvviso ricordiamo qualcosa d'importante che sapevamo ma abbiamo scordato.

(O. Lagercrantz, L'arte di leggere e scrivere)
Emma 

La Farmacia Letteraria: noi la vorremmo così...

Benvenuti all'inaugurazione della nostra farmacia. Prima di presentarci vorremmo subito sgombrare il campo da fraintendimenti o equivoci: non siamo due guaritrici. Questa pagina nasce per essere un luogo di incontro e di scambio, di confronti e di chiacchiere. Gli argomenti che tratteremo verteranno su un rinnovato e consapevole bisogno di leggere ANCHE per sedare, lenire, addolcire, smussare le mille ansie, preoccupazioni, stress della nostra, purtroppo, affannata vita quotidiana.
Sappiamo che esistono, da un paio d'anni in qua, innumerevoli blog, gruppi, siti che si occupano di biblioterapia, che (anche con professionalità e seriamente) propongono la lettura di testi selezionati ad hoc a coloro che si dichiarano affetti da tormenti (spesso anche diagnosticati seriamente).
Il nostro approccio non vuol essere di questo tipo: sarebbe presuntuoso, azzardato, fors'anche pericoloso proporsi come guaritrici di alcunché tramite i libri. Probabilmente esiste qualcuno che ha le competenze per farlo, ma a noi interessa creare e far frequentare un gruppo che, discorrendo intorno a titoli, autori, tematiche possa offrire spunti di condivisione delle proprie esperienze personali, in merito a quanto possa essergli stata d'aiuto la lettura in particolari occasioni o contrasti. Interessa, insomma, leggere per leggersi. Insieme.

Fabio Stassi, curatore dell'edizione italiana di Curarsi con i libri (Berthoud e Elderkin), di cui si è tanto parlato, in bene e in male, tra gli amanti della lettura, definisce la biblioterapia come una sorta di vaccinazione contro i mali del vivere e forse è proprio questo il senso più vicino a ciò che vorremmo costruire qui: “Ci curiamo inoculando dosi controllate di situazioni e possibilità” (F. Stassi).
Filosofia e psicologia sono storicamente ricche di esempi e trattazioni sull'importanza che il raccontare e raccontarsi ha nel leggere e leggersi. E così come lo spazio della relazione terapeutica, attraverso il raccontarsi, offre la possibilità di sperimentarsi, in uno spazio protetto, in situazioni e possibilità diverse da quelle realmente vissute, allo stesso modo la lettura ci permette di sperimentare mondi, esperienze, sogni, desideri, valori a volte così distanti da essere considerati impossibile anche solo da immaginare (basti pensare al successo di certa letteratura erotica o fantasy).
E allora perché non provare a costruire insieme uno spazio, più un salotto che un asettico negozio, in cui confrontarci, suggerire, chiedere e condividere.
Cosa?
Esperienze di cure e risoluzioni dei malanni della vita attraverso libri, pagine, righe, parole.
“Chi consiglia un titolo particolare a un amico, per aiutarlo a uscire da una sua crisi privata ha già espresso una diagnosi e indicato un farmaco, ne conosce gli effetti collaterali, sa che possono variare dalle vertigini alle lacrime, ma è consapevole che la lettura è una febbre che ci fa guarire dal resto” (F. Stassi).
Noi proveremo a farlo, offrire letture, senza calarle dall'alto, ma partendo dall'accoglienza, dall'ascolto e dal bisogno di chi si vorrà accomodare tra i nostri cuscini, ma siccome, seppur megalomani, siamo coscienti di non essere onniscienti, quel che ci aspettiamo è soprattutto di ricevere, da chi ha letto cose diverse in modo diverso e sperimentato emozioni diverse in vite diverse.
E allora, Benvenuti!
Accomodatevi!

Emma & Valeria

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