Evgenij
Zamjatin, Noi, Voland
Frequentando autori e letterature si annotano migliaia di titoli; si
dividono per "correnti", passioni, nomi da scoprire, curiosità,
interessi linguistici ma anche e semplicemente per quelle indefinibili trame
che ogni lettore tesse tra ciò che legge e ciò che vorrebbe leggere.
Alcuni libri aspettano decenni, ovviamente; altri, ahimè, sono
destinati imperscrutabilmente a giacere in un appunto scritto da qualche parte.
E infine alcuni riemergono da angoli in ombra del passato e da certi
anfratti ventricolari non meglio definiti, e decidi che è arrivato il momento.
Misteri degli inconsci altamente pulsionali dei lettori.
Conoscevo questo nome e questo titolo dai tempi in cui,
all'università, seguivo tutti i corsi possibili immaginabili di letteratura e
frequentavo lezioni di grammatiche lontane (salvo poi scoprire anni dopo che
certi richiami te li porti tra una sintesi proteica e l'altra del DNA); l'avevo
cercato in traduzione, dopo aver stralciato qualche pagina in originale qua e
là per la rete; insomma, mi ci ero avvicinata diverse volte, per poi
allontanarmi e rincorrere altro, per poi ritrovarmelo ogni tanto come spot fra
le righe di pagine ed anni.
Voland, con la mirabile traduzione di Alessandro Niero, lo ha
ripubblicato nel 2013, ed è in questa forma che, alla fine, me lo sono
ritrovato, in tutta la sua fisicità, in casa.
Insomma, la colpa finale è del catalogo di questa casa editrice che
mi delizia da un po’ con una lunga serie di traduzioni bellissime dai mondi
all'ombra dei Carpazi.
E che ha riportato in libreria un romanzo misteriosamente poco
conosciuto.
Algido e altero, malinconico senza essere melenso, freddo senza
essere distaccato, un perfetto scenario dispotico (il primo, forse, nella
storia della letteratura del genere: pare che lo stesso Orwell si sia ispirato
a questo libro per poi scrivere 1984). Il nostro pianeta in un futuro in cui
sono bandite tutte le emozioni, in cui la fantasia va lobotomizzata; la logica,
i numeri, la razionalità scientifica giustificano con la loro conoscenza
infallibile anche l'assenza di libertà, inutile elemento capace solo di creare
caos e dispersione, un arbitrio che genera ribellioni e diversità non più
apprezzate dopo che la precedente configurazione del pianeta si è quasi
distrutta per quella conflittualità a cui la necessità della scelta conduce.
Dunque, la si elimina.
E’ già tutto deciso, pianificato, predisposto, non
occorre scegliere nulla, non si avverte più il bisogno di alternative. Non si
ha bisogno di proteggere sfere personali nelle quali coltivare fini,
desideri, ambizioni: non è necessaria nemmeno la privacy, in nome di una glastnost che oltre che limpidezza
d'azione è anche concreta trasparenza, poiché si vive in appartamenti le cui
mura sono vetri, dove tutti sono visibili agli altri, in città chirurgicamente
e asetticamente bianche. La stessa natura
è relegata dietro un "Muro Verde" che contiene dalla chiassosa
e infettante varietà biologica di flora e fauna.
Gli individui sono
sinistramente identificati da sigle, vestono uniformi, e la loro vita è
cadenzata da una routine scientifica, votata all'efficienza produttiva; anche
le stesse relazioni sono regolate da appuntamenti prenotati, con tanto di
regolare tagliando (inevitabile tornare con la memoria a Julia e Winston).
Chi scrive, in prima persona, è D-503: compila un diario. E' un uomo
perfettamente funzionale al sistema, appagato, sereno e sicuro di sé.
Ma c'è un'incrinatura impercettibile che inesorabilmente si trasforma
in crepa: perché avverte il bisogno di scrivere di se stesso? Perché si
costringe al potere dirompente, in senso letterale, delle parole, scoprendo
l'impossibilità di riuscire a definire tutto, il tormento di vivere senza
anima?
Noi non è solo il titolo: è
l'impossibilità di ridurre ad un'equazione la complessità dei rapporti, è una
tagliente critica all'egualitarismo a tutti i costi che massifica e
appiattisce.
Zamjatin era un ingegnere navale che aveva lavorato entusiasta
seguendo i ritmi esaltati e febbricitanti di un nuovo secolo che, se ai suoi
albori aveva promesso progresso e scienza al servizio di un'umanità migliore,
aveva poi spalancato l'abisso dell'orrore in nome dei nazionalismi; e fra le
rovine di un intero mondo che ancora si combatteva sui fronti, il sogno di
ripartire da una società senza diseguaglianze aveva condotto alla rivoluzione
russa.
Zamjatin e il suo Noi
furono sacrificati entrambi sull'altare della censura politica e dopo un
silenzio di più di mezzo secolo la scrittura inaspettatamente coinvolgente di
questo autore torna ad ispirarci riflessioni che non sono solo letterarie, ma
filosofiche; che pur se partorite in un contesto storico che ci sembra lontano,
racchiudono l'umana esigenza di rendere prioritaria una quasi-felicità
all'azzardo che mette in conto anche responsabilità e sofferenze.
D-503 ci insegna ancora, con il suo amletico altalenare tra
ubbidienza e ribellione, che non ci si può mai liberare della libertà.
Un monito mai anacronistico.