Il canto dell’Essere e dell’Apparire, Cees Nooteboom, Iperborea, 1981
Un racconto lungo, meno di cento pagine: uno scrittore
olandese assillato dal senso dello scrivere dà vita ad una storia che cresce
insieme al suo tormento interiore.
Una narrazione inconsueta che si svolge su
due piani paralleli, la costruzione narrativa dello scrittore e le gesta dei
tre personaggi da lui inventati.
Amsterdam alla fine degli anni 80 e la
Bulgaria di fine secolo.
Due ambientazioni, due mondi (uno reale e uno
fittizio) che immancabilmente finiscono con il sovrapporsi e fondersi: chi
scrive lo fa per inventarsi la vita, inventare vite o credersi Demiurgo,
finendo però per ritrovarsi invischiato in ciò che sta narrando, che si
rinvigorisce, acquista concretezza, diventa talmente reale da influenzarlo
prima e attrarlo dopo.
I due piani si fondono e il finale è sorprendente.
Splendida metafora del potere della scrittura:
una forza vivificatrice che non sempre si riesce a dominare e che finisce col
dominarci, rendendo indefinito il confine tra finzione e realtà.
Un autore contemporaneo sicuramente originale e prolifico le
cui opere, romanzi, saggi e opere teatrali sono tradotte e pubblicate da
Iperborea.