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giovedì 1 settembre 2016

Bibliopillola n. 13: Per favorire l'uscita da Sè

Fisica della Malinconia, Georgi Gospodinov, Voland, 2011

Quanto ho rivissuto, con gli occhi del bambino senza età che attraversa le storie di questo libro. Quanto ho amato, mentre leggevo, quella dolcissima, invasiva malinconia che appartiene a chi prova ciò che provano gli altri. Non è un romanzo, né uno zibaldone; non è un diario né un racconto. E’ un tempo unico, nel quale si fondono passato, presente e futuro, e ci restituisce quella interiorità così vera da dover essere necessariamente cupa. Perché è coscienza del caduco, dell’effimero, di quella transitorietà che ci caratterizza. Eppure, eppure: non è un libro triste. Perché è proprio la nostra mortalità a farci amare appassionatamente la vita, a preferire il deperibile al duraturo. Una vita troppo corta, troppo ingiusta, troppo incomprensibile: troppo bella. Solo l’incantata condizione di un bambino, la sempiterna meraviglia della novità, può insegnare che in realtà viviamo un continuum che non dimentica mai tutte le scoperte, meravigliose e terribili, dell’infanzia.

Il protagonista, che ricorda, vive e progetta scrivendo fuori dal tempo, mischia tutto come se aprisse cassetti disordinati: ne viene fuori qualcosa di labirintico, e non è un caso che la figura portante di tutto il libro sia quella del Minotauro (uno dei primi ricordi dell’infanzia), il mito della diversità abbandonata, Teseo e Arianna e il filo che permette la salvezza. Il bambino nato nella Bulgaria della Guerra Fredda, poverissima e incatenata al mito comunista, inizia a dipanare la sua esistenza a partire da questa storia mitologica, che lo stravolge perché, per la prima volta, si immedesima in qualcuno di diverso da sé (e non smetterà mai più di farlo): un esserino mostruoso che per pagare la colpa della madre è rinchiuso in un buio labirinto e alla fine perfino ucciso. Rappresenta la prima proiezione fuori di sé della più antica delle paure, l’abbandono, la prima condivisione emozionale dell’infanzia, quel periodo in cui ci si prepara alla vita senza farne ancora davvero parte, invisibili agli adulti. L’unico periodo della vita in cui l’immortalità è davvero possibile. E poi prosegue una memoria storica che arriva ai giorni nostri, mescolando generi, inseguendo un Io che si impossessa anche dei ricordi di chi è intorno a lui pur di cercarsi, di definirsi, pur di vivere anche se occupando le esistenze degli altri. Invecchiando insieme alle gioie e ai dolori di un mondo intero assume la consapevolezza  di essere sempre e comunque vivo, anche se solo, disperato, povero, famoso, ricercato. Accumula amori, testimonianze, notizie, eventi, passa attraverso luoghi diversi, percorre un secolo continuando a raccontare, come Sharazad ne “Le mille e una notte”, per salvarsi la vita.


Il passato si distingue dal presente per un dato sostanziale – non scorre mai in una sola direzione. Da dove sono partito? Meno male che scrivo, altrimenti non sarei mai riuscito a trovare il bandolo della matassa.

Un’esistenza alla ricerca di una via d’uscita dal labirinto che sperimenta emozioni, sensazioni, stili: pagine divertenti, profonde, maliziose, in cui si parla di politica, morale, sesso, culture. Sempre appassionante, accattivante, scritto benissimo.

Un libro audace, una sfida a trovare, in quello che si prevede essere un autunno del mondo, il sublime in quel “Io Siamo” che è entrare nella pelle degli altri: ascoltando, soffrendo, amando. 







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