Ci sono libri che ti ritrovi per le mani e sono sorprese che non ti aspetti: atmosfere che ti portano indietro ad autori che furono, a titoli perduti, a una letteratura lontana.
Forse invecchiando si diventa più esigenti, si guarda
criticamente alla scrittura, con diffidenza alla trama, con esasperata
attenzione ai personaggi. Si legge con studio, esaminando.
Questo invece è uno di quei romanzi che dopo qualche pagina
ti solleva e ti porta con sé, semplicemente, ci entri dentro ed è
un’esperienza.
L’autrice nasce in Francia da rifugiati spagnoli e racconta attraverso
le parole della ormai anziana madre l’estate del 1936 agli albori della guerra
civile; degno di riflessione il fatto che la traduzione italiana del romanzo, a cui è stato attribuito nel
2014 il Premio Goncourt, sia stata curata da una “piccola” casa editrice indipendente.
La scrittura è davvero trascinante (per quel poco che ne sappiamo, ottimo il lavoro di traduzione che rende benissimo il pasticciato
idioma mezzo spagnolo mezzo francese della voce narrante; la quale passa spesso
in terza persona lasciando il filo della narrazione alla figlia che ascolta il
racconto, senza che questo disturbi minimamente la lettura); lodevole la
documentazione storica che ricostruisce
luoghi ed eventi senza mai essere didascalica, costruendo uno scenario
pieno della vita di personaggi uno più bello dell’altro che rappresentano le
varie e controverse anime della confusa situazione politica del tempo.
Ci sono due livelli di lettura: uno più “cronachistico” che racconta
il vortice di violenza che travolse franchisti, libertari, rivoluzionari, gente
comune senza assolvere o giustificare nessuno.
Un quadro di generale sconvolgimento la cui interpretazione è la storia
di un cambiamento mal vissuto e mal gestito, la vigilia del conflitto mondiale
e il tragico monito che tutto ciò che avvampa lascia ceneri dolorose che covano
per anni; che dalla parte del giusto non c’è mai nessuno se si dimentica il
rispetto della vita e l’abominio della morte; che i valori non sono mai
assoluti e che bisogna sempre essere disposti a cambiarli, ad azzardare lo scontro,
la derisione, la condanna.
L’altro livello, invece, è pura passione. Ovunque.
In ogni
rigo, frase, negli occhi e nelle parole dei due fratelli protagonisti, dei
genitori inconsapevoli e di tutte le figure che letteralmente divampano di
vita, brutale, feroce, vera, che per la prima volta si fanno travolgere da una
piena di emozioni appena o mai vissute, che scoprono quel disordine che al
tempo stesso si ama e deprime.
Corpi che protestano contro le censure imposte
alle anime; bisogno di realtà che non può essere la vocazione alla rinuncia (ciò
che tristemente insegnano le madri perché hanno paura che troppa vita la
accorci troppo).
Un innamoramento totale, di idee, visi, canzoni, che stravolge
tutto, che è (questo sì) vera rivoluzione, anche se poi tutto cinicamente degenera
in una guerra orribile e disperata; il ricordo radioso di un’estate, di una
gioventù in cui ci si è sentiti migliori, con il cuore eternamente in tumulto,
un impetuoso soffio che continua ad animarci per altri settant’anni, dissipando
tutto ciò che poi di amaro la stessa vita riserva con i voltafaccia che solo
lei è capace di fare.
Un libro che ha messo al sicuro tutto questo, perché c’è bisogno
di soffiare ogni tanto sulle braci e rinnovare quell’infinito desiderio di
poesia che è l’unico, vero motivo per cui si continua a vivere.
http://www.lasinodoroedizioni.it/novita/libro/182/non-piangere
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