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domenica 8 novembre 2015

Emozioni in Farmacia: La Paura




La paura non può essere senza speranza né la speranza senza paura.

(Baruch Spinoza)


Buuuuhhh!!!!
L’emozione più frequente, temuta, controversa, tra quelle che si provano quotidianamente. In genere la si rifugge, si cerca in tutti i modi di evitarla eppure … talvolta la si cerca, la si provoca.
Cosa avrà mai, di così potente, la PAURA??


Legata alla difesa e alla conservazione e fondamentale per il processo evolutivo, la paura è prodotta da una straordinaria architettura che partendo dalla sensorialità coinvolge tronco encefalico, corteccia cerebrale, ippocampo e amigdala. Un movimento colto con la coda dell’occhio mentre si cammina in una strada buia e deserta viene trasmesso e confrontato con quanto si ha in memoria per provare ad interpretarlo. Nel frattempo l’attenzione viene fissata  sul punto dove ci è sembrato di vedere qualcosa e un sistema d’allarme “neurotrasmette” (producendo noradrenalina e dopamina) segnali che ci fanno tendere i muscoli, aumentano la reattività complessiva, accelerano il battito cardiaco, rallentano la respirazione, mettono in tensione stomaco ed intestino. Lo scopo è preparare l’organismo alla fuga (o cercare un luogo dove nascondersi, si pensi alla temporanea “paralisi” che spesso la paura provoca)  mentre ci si concentra sulla valutazione della minaccia.

Ma non si tratta solo di uno stato fisiologico. Il sistema emotivo è legato alla ragione umana, si interseca con le nostre capacità logiche: pensiero ed emozione (l’antico dualismo mente e cuore) sono strettamente interconnessi.
Il pensiero filosofico, ad esempio, è figlio della paura. Nasce per scongiurare il più antico degli sgomenti, l’origine di tutte le fobie: la mancanza di conoscenza. Non sapere cosa ci possiamo aspettare, non comprendere uno sconosciuto che ci si avvicina, non riconoscere ciò che ci circonda, queste sono le radici di ogni disagio esistenziale. E’ dunque sempre originata da ALTRO da sé? Ha sempre un oggetto?
Si può anche avere paura di qualcosa di indeterminato, di non specifico: della mancanza di senso, ad esempio, della infinita serie di possibilità che si aprono davanti al nostro agire e di fronte alle quali non sappiamo che fare. La paura al cospetto di se stessi è chiamata angoscia. Camminando lungo un sentiero molto stretto, sul ciglio di un burrone, si ha paura di scivolare o di essere colpiti da un masso e quindi di perdere l’equilibrio o di uno smottamento del terreno. Ma si prova angoscia di fronte alla possibilità, per quanto remota, di decidere consapevolmente di lanciarsi giù nello strapiombo: è pur sempre una fra le infinite eventualità contemplate dalla nostra libertà di azione. Dunque l’angoscia si prova davanti alla propria incapacità di fare le scelte giuste: è una condizione umana inevitabile, tuttavia, perché ci fa prendere consapevolezza della nostra precarietà, dei nostri limiti e (paradossalmente) anche delle nostre potenzialità. Si prova angoscia di fronte alla propria libertà, essa sì, infinita, al contrario della nostra esistenza.

Rimediare alla paura e all’angoscia è un compito filosofico: l’attribuzione di senso (argomentazioni, spiegazioni, dimostrazioni, costruzioni di valori) esorcizza il malessere, l’ansia, i timori. La stessa riflessione sulla paura squarcia le ombre, illumina l’immagine di se stessi di fronte allo specchio, inducendo alla accortezza e ricordandoci la nostra vulnerabilità. Non riconoscere questa emozione come un tentativo di scongiurare l’incapacità di trovare una risposta a tutto è rischioso, può generare superstizioni, falsi ideologici: storicamente la paura è uno strumento di potere. Va invece trasformata in uno mezzo per porsi alla ricerca di se stessi:  non è detto che ci si trovi, ma il cammino vale comunque la pena.

Questo potrebbe essere il motivo per cui spesso cerchiamo la paura. Guardiamo film horror, leggiamo thriller e noir, saliamo su impervie montagne russe. Cosa ci spinge a provare un’emozione che di solito rifiutiamo, a farci paralizzare dallo sgomento, a provare i brividi dell’adrenalina? Proprio la necessità di continuare a sentirci vivi. Nonostante tutto.

Proporvi delle bibliopillole emozionali è un compito arduo: scegliere libri che fanno semplicemente paura o che la fugano? Abbiamo pensato a dei titoli che esplorano diverse sfaccettature di questa emozione perché possano diventare strumenti per una consapevole prudenza. Su noi stessi, sugli altri, sul mondo.

Ora però attendiamo le vostre: vogliamo farci emozionare da voi, conoscere gli autori che vi hanno fatto accapponare la pelle o che vi hanno insegnato a gestire o a conoscere la paura... Il senso ultimo di questo lavoro sulle emozioni è proprio la condivisione.
Grazie e buona lettura.


Guy de Maupassant, L’Horlà 

La paura dell’irrazionale, lo spavento procurato da ciò che non rientra nel naturale, nell’umano. Archetipi senza tempo: fantasmi, presenze invisibili, il doppio di se stesso. Un horror elegante, racconti che fanno della letteratura qualcosa che genera spavento. Meglio di un giro nel Castello degli Orrori.
“Oh, il ricordo! Il ricordo, immagine dolorosa, immagine bruciante, immagine vivente, orribile immagine che fa soffrire mille torture!”



Harper Lee, Il buio oltre la siepe 

La più ancestrale delle paure: la diversità. Un libro meraviglioso che racconta il razzismo e il pregiudizio nell’Alabama degli anni Trenta: insieme il male e la cura negli occhi e nelle parole dei bambini che narrano.  
“Prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l'unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza.”





Thomas Harris, Il silenzio degli innocenti 

Un pericoloso psicopatico ed una psichiatra: l’inquietante paura di guardarsi dentro, di lasciare che qualcuno acceda alle porte di ciò che abbiamo sepolto nell’inconscio.
"Me lo dirai quando quegli agnelli smetteranno di gridare, vero?", le grida da lontano.






Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella 

Romanzo distopico ambientato in un futuro prossimo, una società totalitaristica in cui le donne sono sottomesse. La paura della libertà, delle scelte; e la facilità con cui questa paura diventa strumento di controllo e di gestione del potere.
“Esiste più di un genere di libertà, diceva zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo”





Per chi volesse approfondire, chi scrive ha letto, studiato, amato in tempi remoti e non:

Goleman D., Intelligenza Emotiva. Che cos'è e perché può renderci felici, Bur Rizzoli, 2011
Heidegger M.,  Essere e Tempo, Mondadori, 2011
Sartre J.P., L’Essere e il Nulla, Il Saggiatore, 2008
Kierkegaard S., Il Concetto dell’Angoscia, SE, 2007

sabato 7 novembre 2015

Biblioemozioni, si parte!

Iniziamo con i post-incontri su libri ed emozioni. 

Tratteremo in ordine sparso della Paura, della Rabbia, del Disgusto, della Sorpresa, della Gioia e della Tristezza, della magica relazione tra le parole scritte e i brividi addosso, giocando con molta serietà fra generi e sentimenti, tenendo insieme poeti, letterati, filosofi psicologi. 

I colori della vita non sono solo accesi e brillanti ma tutti insieme creano quell'arcobaleno che sono le singole esistenze. A tenere i fili dei nostri stati d'animo sono anche le parole: che l'omino dei palloncini ci accompagni in un viaggio che durerà diverse settimane e che, speriamo, vi coinvolga.


sabato 24 ottobre 2015

Della Paura (per ricominciare a parlare di libri ed emozioni)



Una camminata in paese mi ha ricordato che siamo vicini ad Halloween, festa amatissima dai bambini e ripudiata da molti adulti. Samhein era una festa celtica che le comunità contadine pagane celebravano in pieno autunno e coincideva con la fine dell'anno: il sole che tramontava sempre prima simboleggiava la morte definitiva dell'estate, aprendo le porte all'inverno con i suoi fantasmi e i suoi spiriti. ll papa Gregorio IV istituì ufficialmente (il giorno dopo) la festa cristiana di Ognissanti, il 1º novembre 840. L'importanza della continuità con il passato era evidente anche a quel lontano pontefice: la festa della rinascita dopo la morte, radici cristiane innestate su tradizioni pagane. Anche per questo ritengo che scherzare con mostri e diavoli non sia dannoso per nessuno, tanto meno per i bambini. Le paure in qualche modo vanno esorcizzate e uno di questi modi è imparare a conviverci.
Come possiamo esimerci dunque da un confronto con la letteratura horror? Genere spesso bistrattato, ritenuto minore, adolescenziale, di intrattenimento.
Beh, no. I libri horror raccontano le incursioni dell'irrazionale nella realtà, cancellano i confini, annullano le distanze fra il soprannaturale e il quotidiano. La repulsione e lo spavento derivano dalla drammaticità della destabilizzazione: le sicurezze acquisite vacillano quando riemergono paure ancestrali. 
Poiché finalmente stiamo per riaprire il blog con il tanto atteso ciclo sulle emozioni, che tratteremo percorrendo i binari paralleli della psicologia e della letteratura, mi sembrava il caso di risollevare questo genere che inaspettatamente può persino proporsi sotto forma di bibliopillole. Del resto l'horror attrae proprio perché catartico: quando si sperimenta la paura, che derivi da ossessioni e fobie comuni o dal sovvertimento della routine o dalla natura ambigua degli stessi rapporti umani, tornare alle proprie esistenze non può che offrire consolazione. 
Abbiamo scelto alcuni classici che andrebbero comunque letti, a prescindere dal fatto che piaccia o no il genere.

Amleto, William Shakespeare. La trama la conosciamo tutti; il mio vecchio professore universitario la definiva "la tragedia della volontà umana", annichilita dal fantasma della propria codardia più che da quello del genitore morto. L'incapacità di vendicarsi assumendosi le proprie responsabilità. In fin dei conti è ciò che rappresenta un qualsiasi fantasma: l'irrompere e il manifestarsi dell'incognito, e non c'è nulla che ci spaventi di più, poichè costringe  a prendere provvedimenti, ad agire, e non sempre siamo pronti. Esiste una paura più ancestrale? L'incanto dei versi del Grande Bardo ci mette di fronte a noi stessi, padri e figli perennemente in cerca di risposte. O forse no.








Dracula, Bram Stoker. Il padre di tutti i vampiri della letteratura (ahinoi, anche di quelli meno leggibili degli ultimi tempi), un archetipo potente che risale addirittura all'epoca mesopotamica e nel folklore europeo, dal Medioevo in poi, non si contano le testimonianze, le opere, i documenti che citano vampiri e vampirismi. In questa figura si sommano il terrore più venale della morte (il non riconoscere una persona amata poichè tramutata in una entità sconosciuta) e l'equazione ignoto=pericoloso che è la radice di qualsiasi paura. Scritto sotto forma di diario, il romanzo di Stoker è ispirato a Vlad III principe di Valacchia ed è una delle prove più belle della letteratura ottocentesca inglese: storia, mitologia e profonda conoscenza dell'animo umano in un'atmosfera cupa egregiamente tratteggiata.








Frankenstein, Mary Shelley. Il più potente esorcismo contro la morte è dare la vita. Creare, fingersi dei, forgiare esseri viventi. La tecnica al servizio di una scienza che sfida i nostri condizionamenti (il sottotitolo originale dell'opera è Il Prometeo moderno), ma la tracotanza finisce con l'essere punita. Creatore e creatura si scambiano spesso i ruoli, all'interno del romanzo, mischiando umanità e brutalità, desiderio di perfezione e deformità. Anche qui ci ritroviamo faccia a faccia con una delle più profonde paure umane: a cosa può portare sfidare i propri limiti?











Racconti del mistero, dell'incubo e del terrore, Edgar Allan Poe. Raccolta di storie fantastiche, misteriose, uno tra i primi gialli psicologici e l'antesignano dei romanzi polizieschi (anche Conan Doyle si ispirò a Poe per Sherlock Holmes). Solo per citare: La mascherata della Morte Rossa, I delitti della rue Morgue. Piccoli capolavori in cui il brivido è davvero avvertito fisicamente: del resto la paura è particolarmente legata alle percezioni sensoriali e la particolarità di quest'autore sta nella incredibile capacità di far letteralmente provare, addosso, le sensazioni dei personaggi. 
Il pozzo e il pendolo docet. 








Buona paura a tutti. Anch'essa serve. Come vedremo tra poco.

domenica 18 gennaio 2015

Bibliopillola n.12 - Integratore vitaminico del Sé


Come ho scritto in una recensione, non mi capitava da un po' di chiudere un libro con la sensazione di aver avuto a che fare con la letteratura.
Una penna seria, autorevole, un implacabile faro proiettato su una coscienza messa a nudo.
Il protagonista non è ovviamente un eroe, ma ha un che di eroico la sua normalissima esistenza; a molti risulta insulso, inetto, addirittura esasperante. Sembra che rimanga lì a vedersi scivolare una vita addosso, incapace (perché spesso abulico) di dare una piega diversa agli eventi, di imporsi, di arrabbiarsi. Eppure non si tratta di un individuo inconsapevole, poiché riflette su ogni dettagliata situazione, scandaglia gli animi di tutti coloro che lo circondano, spesso supponendo fatti e azioni, con ineluttabile rassegnazione. Una vita che definiremmo più che ordinaria, banale; la sua indifferenza snerva.
Certe volte, la mattina, quando si faceva la barba, guardava la sua immagine riflessa nello specchio e non si riconosceva affatto in quel viso che ricambiava stupito il suo sguardo, in quegli occhi chiari che spuntavano da una maschera grottesca
Fonte: Editore


mercoledì 3 settembre 2014

Bibliopillola n. 8: Contro la dispersione

Un silenzio innaturale che profuma di autunno ha pervaso la casa, una quiete ovattata che concilia riflessioni serene ma fa anche irrimediabilmente prudere le dita. Ci sono condizioni dell'anima, talvolta, che devono necessariamente sfociare in qualcosa di scritto, per completarsi.
Ecco perché dal mio divano immerso in una penombra che sa di odore di pioggia rialzo le saracinesche della Farmacia. D'altronde, si sa, è autunno. La stagione della ripresa, dei buoni propositi, delle liste di cose da fare... il mese in cui ci illudiamo di vivere un'esistenza programmabile e prevedibile. Ma ci serve, ne abbiamo bisogno, non possiamo fare a meno di progettarci, di inserirci in una continuità temporale, di pensare a noi stessi come a identità compiute. Che ovviamente non siamo mai.
La prima chiacchiera autunnale qui, fra i nostri scaffali, mentre tolgo un po' di polvere e faccio arieggiare i locali (qualcuno il caffè lo prepara, vero?) scaturisce da una frase che la mia socia ha scritto ieri in un post.
Ogni volta che torna dalla sua Sardegna, ci lascia un pezzo di cuore; e si chiede:
"Si può vivere con i pezzi rimasti?"

Mi sono immaginata come una specie di mosaico che si va sfaldando, che perde tessere ad ogni svolta esistenziale. Ma poi ho pensato che forse è il contrario: siamo fatti di tanti tasselli diversi, mischiati, uniti, ricomposti dalla vita ogni volta che si scava l'ennesima ruga sui nostri volti. Siamo sfaccettati, un'immagine anamorfica che ha un senso solo se osservata da lontano, nella quale ci riconosciamo per un po' e nel frattempo siamo già lì a rimestare i nostri elementi.
Si può vivere di pezzi, certo. Tutti quelli che ogni volta rimangono, finché non ne troviamo altri. Talvolta anche con pochissimi. Spesso con troppi.
Piuttosto, quello che davvero ci occorre è un buon collante. Qualcosa che ci permetta di saldare la nostra se pur temporanea forma compiuta. Un sostrato adesivo che ci tenga insieme.
Insomma, la stagione la apro con una bibliopillola. Una sorta di Attack per l'anima. Perché spesso si ha paura, quando si cerca di riunirsi, di ricomporsi, di riconoscersi.  Perdite di sé cicliche che ci sbandano e ci scombussolano.
C'è stato un libro, anni fa, che mi ha insegnato a non farmi prendere dal panico quando si perde l'orientamento di se stessi; un libro in cui il protagonista, in precario equilibrio, si ritrova a dover fare  i conti con volti e luoghi sconosciuti, all'inizio confusi, turbinanti come la neve di Sapporo, ma che si svelano in realtà essere volteggianti, a costituire nuovamente qualcosa che acquista senso solo se inseguita passo dopo passo.
"- Finora tu hai perso molte cose. Molte cose preziose. Il problema non è sapere di chi è la colpa. Il problema è che tu attaccavi sempre qualcosa di te a tutte le cose che perdevi. Non avresti dovuto. Avresti dovuto tenere qualcosa da parte per te, invece di lasciarla andare via con il resto. Così ti sei consumato poco a poco. Perché? Perché l'hai fatto?

- Non lo so."
Che questa bibliopillola vi porti al vostro personale Dolphin Hotel, dove s'impara che non si finisce mai di disgregarsi e ricomporsi, purché non ci si dimentichi mai di danzare.

"Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare, finché ci sarà musica. Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare senza mai fermarti."
Murakami Haruki, Dance dance dance



mercoledì 28 maggio 2014

Bibliopillola n. 7 Contro la stanchezza

Ci sono giornate in cui la stanchezza ti divora. Ti consuma da dentro, ti rende passiva, riottosa, ti lega per terra con due blocchi di cemento per piedi, il cuore gonfio e la testa svuotata. Ci sono giornate che arriva la sera e ti chiedi come sia successo, che ti svegli al mattino e ti sembra di non aver dormito affatto, ore di non-riposo trascorse in un irrequieto dormiveglia in cui si confondono incubi da desta e sogni che nemmeno riesci più a fare. Una stanchezza che ti chiedi perché, conseguenza di attività che spesso e con sgomento ti ritrovi a considerare marginali, rispetto a quelle che davvero vorresti ti stancassero, se non addirittura inutili, stupide. Sprechiamo noi stessi e il nostro tempo a sbrigare incombenze, faccende e iter assolutamente monotoni, alienanti, incredibilmente lontani da quello che vorremmo realizzare di noi attraverso il lavoro. Una stanchezza avvilente e mortificante.
Ecco, questo è uno dei malanni che più mi affligge, da qualche anno a questa parte. E nonostante gli occhi alla sera brucino e le palpebre calino con pesantezza, mettermi a leggere mi dona quell'ora di quiete che è molto simile ad un appagamento, una sorta di risarcimento per un pezzettino di vita che sento con un nodo alla gola irrimediabilmente sacrificato.
Mentre mi arrabattavo dietro il bancone della farmacia ho pertanto pensato stasera ad una prescrizione complessa, una confezione multipla; perché mi è capitato di ascoltare opinioni contrastanti su quali generi, autori e testi possano risollevare dalla stanchezza.
C'è chi preferisce una leggerezza consapevole, che soffi aria fresca in una mente intasata per distrarsi: un po' come sedersi all'ombra di un bell'ulivo in un pomeriggio di canicola.
Chi invece non si rassegna a leggere qualcosa di meno impegnato e nella complessità di stili letterari forti, fra le parole di personaggi umani e anche sofferenti, trova un coinvolgimento emotivo e artistico che comunque svaga.
Chi ha assolutamente bisogno di parole che incollino alle pagine, di trama ed emozione, della scarica adrenalica dei gialli, ad esempio.
Chi infine (ma non ultimo) deve sbrigliare la fantasia verso luoghi immaginari e racconti chimerici, abitando castelli, Terre di Mezzo o foreste popolate da unicorni.
Dunque tante prescrizioni stasera, contro la stanchezza: scegliete voi la bibliopillola che più vi aggrada, che più vi è consona.
E riposate membra e pensieri facendovi trasportare in tutte quelle vite che potete fare, comunque, vostre.

Ali di Babbo, Milena Agus, Nottetempo.
Semplice, ma non banale; leggero ma non superficiale. Fresco come il vento della Sardegna, racconta l'incanto di un adolescente che forte della propria spontaneità inizia ad affrontare anche le crudeltà della vita. Fiaba contemporanea. Addolcente.







Trilogia di Fabio Montale, Jean Claude Izzo, e/o.
Un poliziotto marsigliese, un uomo che vive un rapporto passionale, nel bene e nel male, con la sua controversa città, porto dannato e maledettamente bello, metafora di un mondo che è uguale ovunque e che a prescindere dagli occhi con cui lo si guardi regala ad un certo punto della vita di chiunque una lucidità disincantata ma mai rassegnata. Noir mediterraneo. Umano.








Il collezionista di ossa, Jeffery Deaver, Sonzogno.
Lincoln Rhyme è un criminologo divenuto tetraplegico coinvolto in un'indagine su un assassino efferato.
Ritmo incalzante, tempi serrati, una lotta contro la crudeltà e le limitazioni del protagonista. Corroborante.







Il Signore degli Anelli, J.R.R. Tolkien, Rusconi.
Un mondo immaginario in un tempo immaginario, hobbit, elfi, anelli del potere, una saga che incanta da quasi un secolo, il potere salvifico della fantasia. Epico.

domenica 11 maggio 2014

Bibliopillola n.6: Per le figlie che diventano madri

Mentre riflettevo sui post precedenti ho guardato il calendario e la ricorrenza odierna ha provocato un corto circuito. Ho pensato a quanti tipi di madre esistono: biologiche, genetiche o semplicemente donne che prestano cura, crescono, insegnano, sostengono, amano. Figli, alunni, pazienti, nipoti, bambini, adolescenti.
La radice sanscrita della parola madre ha il significato primario di "misurare, preparare, formare". Da questa deriva poi il termine matr (mater in latino), "colei che ordina e prepara". 
Appunto.
Qualche mia sinapsi attivandosi ha estratto da un cassetto encefalico una delle più belle figure di madre che appartengono alla letteratura (che ho letto):
Clara Del Valle Trueba. Una donna singolare, con un curioso rapporto con le parole e un mondo incantato che frequenta insieme alla sua stessa realtà; madre di Blanca, nonna di Alba. Tre nomi di luce, un inno alla trasparenza e alla chiarezza delle vite semplici ma non per questo superficiali o leggere.
Il libro è La casa degli Spiriti di Isabel Allende: una saga familiare raccontata attraverso tre generazioni di donne sudamericane dai primi decenni del secolo scorso fino alla guerra cilena. Non è un libro facile da descrivere, fosse pure per raccontarne la trama: va letto e basta. Clara, creatura delicata e potente, concreta ed eterea, racchiude in sé per elargirle a tutti coloro che la circondano quelle che a mio parere sono le tre doti fondamentali di qualsiasi tipo di madre:
Coraggio, per far da scudo e proteggere finché si impari a sopportare e tollerare da soli;
Amore incondizionato, perché solo questo fortifica;
Magia, per non perdere mai il sorriso, la curiosità, per non adattarsi mai a nulla di normale, per osare sempre e non rassegnarsi mai, per vivere in modo speciale anche le giornate più banali (la magia in realtà insegna che non esistono giornate banali), per credere sempre in qualcosa di più, di altro, di tanto certo quanto sfuggevole. Perché ogni madre è allo stesso tempo potente, istintuale, ma anche terrorizzata da paure, insicurezze, stereotipi. Perché non c'e niente di più realisticamente sovrannaturale della vita stessa.
[Clara] non credeva che il mondo fosse una Valle di lacrime, ma al contrario una burla di Dio, sicché era stupido prenderlo sul serio, se Lui stesso non lo faceva.


giovedì 8 maggio 2014

Bibliopillola n. 5 - Confezione famiglia



Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo
Iniziava in questo modo Tolstoj il suo racconto delle vicende familiari e romantiche di Anna Karenina e, pur portandomi dentro un pezzetto di Anna, concordo solo in parte con il punto di vista dell'Autore.
Perché, seppure convinta che ogni famiglia sia infelice a modo suo, sono altrettanto convinta che le famiglie felici siano semplicemente famiglie che hanno trovato la loro personale strategia per affrontare l'infelicità, fosse pure quella di negarla.
Il commento di Nina al post La cura di qualche giorno fa mi ha fatto riflettere parecchio: sull'utopia della famiglia mulinobianco, sull'estrema mobilità di quelli che ognuno di noi considera i confini della propria famiglia (dal nucleo minimo della coppia ad intere e vaste generazioni), sul fatto che molti di questi legami, imposti, finiscano spesso per appesantirsi di sensi di colpa, ricatti morali, dispetti e vendette che finiscono per trasformare le relazioni in catene e avvelenare quel poco di vita che abbiamo.
E alla fine del giro torno sempre lì: le aspettative. Quanto è enorme il bagaglio di cose che ci aspettiamo, desideriamo, vorremmo dagli altri.
... vorrei che mio padre mi avesse dato questo, che mia madre avesse fatto quest'altro, che i miei cugini fossero così o i miei fratelli cosà...
Sono le aspettative a rovinarci la vita. Non possiamo fare a meno di averne, ma se solo provassimo a vedere che sono "cosa nostra", parte di noi e non dell'altro, forse potremmo iniziare a vedere l'altro per quello che è: un essere umano, fallibile, imperfetto, tanto quanto noi, che non può fare a meno di essere quello che è. 
Anche se noi vorremmo qualcosa di diverso.
Un viaggio dentro se stessi complesso, lungo e difficile.

La letteratura è ricca di saghe familiari, perle di letteratura, a volte pesanti sia per peso cartaceo che per le vicende ed i temi narrati ed affrontati, ma per questa bibliopillola ho scelto una strada diversa, proprio con l'intento di alleggerire, di provare a spezzare qualche catena, o almeno provare a portarla con maggiore freschezza. Ho scelto un libro che si fonda sulla ricerca a tutti i costi di legami familiari che mostra alla fine che, a volte, questi legami... vabbeh! Un bicchier d'acqua e giù!

La bibliopillola n. 5, per Nina e per chiunque abbia una famiglia :D
Le luci nelle case degli altri, Chiara Gamberale

martedì 6 maggio 2014

Bibliopillola n. 4 - Pillola Rossa


In seguito alla pubblicazione del post precedente, al bancone sono arrivate alcune richieste. Alcune esplicite, altre meno. Ad ogni modo, il primo preparato é disponibile.
É una bibliopillola che serve a favorire un regolare ritorno a se stessi, che é il punto di partenza di ogni cura. E ci é stata suggerita da chi ha scritto che non trova spesso un libro adatto a sé. E nemmeno glielo regalano.
Abbiamo pensato che forse bisognerebbe cercare meglio: il che presuppone di sapere che cosa si sta cercando.
Abbiamo anche pensato che potrebbe essere necessario mostrare qualcosa di più di sé, agli altri, per diventare oggetto di cura.
Paradossalmente, mentre rimestavamo i nostri galenici, mi é venuto in mente, prima di un libro, un film.
"Immagino che in questo momento ti sentirai un po' come Alice, che ruzzola nella tana del bianconiglio [...] Hai lo sguardo di un uomo che accetta quello che vede, solo perché aspetta di risvegliarsi! E curiosamente non sei lontano dalla verità [...] Dovrai scoprire con i tuoi occhi qual é. È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resta nel paese delle meraviglie e vedrai quant'é profonda la tana del bianconiglio!" 
Morpheus (Lawrence Fishburne), The Matrix, Andy e Larry Wachoski, USA, 1999
La citazione é Alice nel Paese delle Meraviglie, fiaba più che nota: ma la bibliopillola segue Lewis Carroll oltre, Attraverso lo specchio.

Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò è un romanzo fantastico del 1871 scritto dal matematico e scrittore inglese Charles Lutwidge Dodgson con lo pseudonimo di Lewis Carroll, come seguito de Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. Meno noto di quest'ultimo,  é un racconto complesso, zeppo di allusioni, citazioni, giochi di parole, riferimenti a proverbi, nonsense.
É la metafora fantastica di un viaggio alla ricerca di se stessi che si può compiere solo riflettendosi in qualcos'altro .... O qualcun altro.
Al di là dello specchio Alice trova tutti i personaggi delle sue filastrocche preferite, che riescono a prendere vita solo specularmente, al contrario, come tutto ciò che é riflesso. É una lettura surreale, a tratti assurda, ma insegna che bisogna essere disposti a rovesciarsi per comprendersi. Ad attraversare la superficie liscia che contorna la nostra realtà. Quando si torna indietro, ci si conosce un po' di più e questo sicuramente può servire a guardare (e guardarsi) diversamente (ne)gli occhi degli altri.

domenica 4 maggio 2014

La Cura

Riflettevo sulla Cura.
Interessamento solerte e premuroso che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività. Così chiosa il vocabolario Treccani. 
Provvedere alle necessità e alla conservazione di qualcuno. 
Prestare riguardo e attenzione, impegno, zelo e diligenza
Quante parole belle: suoni che evocano, se li ripeti scandendoli sillaba per sillaba visualizzi una casa, un fuoco acceso e una coperta rimboccata, un sorriso, un abbraccio, un regalo, una stretta forte, un riparo. Ma constato con riluttante amarezza che abbiamo imparato ad accontentarci della loro eco. Abbiamo dismesso i panni di chi si adopera, si fa carico, si occupa dei propri cari: é qualcosa che richiede fatica, vera, fisica, ma anche applicazione, concentrazione, meticolositá. Non sappiamo più stare attenti alle persone che ci circondano e alle quali teniamo: diamo tragicamente per scontata la loro benevolenza, oltre che la loro presenza.  Riteniamo che una volta allacciati, i legami si tengano annodati da sé per sempre. Smettiamo di sforzarci, dimenticando che tenere a qualcuno é un impegno costante. Dovremmo anzitutto tornare ad osservare: non ci accorgiamo più di come vediamo le persone intorno a noi, dei loro gesti, delle espressioni, dei cenni. Non le ascoltiamo perché non parliamo, ci limitiamo a scambiare informazioni. Finiamo a poco a poco con il frequentarle a margine, con il vivere alle loro periferie. 
La Cura é uno dei motivi per cui mi ritrovo dietro questo bancone. Scegliere un libro per qualcuno é un atto forte di premura, un onere che richiede impegno e attenzione, significa dedicargli del tempo perché stia meglio grazie a noi. É un atto d'affetto. Una 'terapia' così come la intendeva Ippocrate: il padre della medicina sosteneva che questa consistesse tanto nel tocco, quanto nel rimedio e infine nella stessa parola: una pacca sulla spalla, un tazza di cioccolata calda e un discorso serio fra amici. Anche da leggere. 

E.

giovedì 24 aprile 2014

Bibliopillola 3 - Contro l'assenza


Su tutti i social, in questi giorni, è rimbalzata la notizia della scomparsa del grande Gabriel Garcia Marquez. Il tam tam mediatico ha contribuito ad un proliferare di necrologi, recensioni, testimonianze di tutti coloro che, in un modo o nell'altro, almeno una volta nella vita, sono passati per Macondo. Che è però una città che non esiste, nata da quei contorti segni vergati da una penna (che in fortunati casi come questo si trasforma in bacchetta magica) che hanno fondato dal nulla un villaggio nel cuore della foresta colombiana.
Macondo è il mondo stesso, magico e amaro allo stesso tempo, contraddittorio, rigoglioso e arido, colorato e squallido,  una città di specchi fra i quali c’è un continuo rincorrersi fra ombre fiabesche e fantastiche e personaggi e situazioni fin troppo reali, fra spiriti di gente già vissuta e uomini che lottano in carne e ossa, una realtà a mezz'aria, insomma, sospesa, una bolla fluttuante al di sopra delle aspirazioni, dei sogni, delle delusioni dell'umanità.

Macondo è il luogo di nascita di chiunque ami leggere. A prescindere dal fatto che si sia mai letto Cent'anni di solitudine, romanzo controverso, amato e stroncato in ugual misura da quasi mezzo secolo. E se mi è venuta voglia di prescrivere questa generica bibliopillola, adatta un po' per chiunque legga, è proprio perché, appartenendo alla schiera di chi, ahimè, amava “Gabo”, ne sto patendo, appunto, la mancanza.

mercoledì 16 aprile 2014

Bibliopillola n. 2 - Contro l'Etá della Ragione


Questa prescrizione riguarda un terribile equivoco nel quale molto facilmente si inciampa.
Le pagine dei libri possono rappresentare una sorta di filo di Arianna per trovare l'uscita da labirinti esistenziali.
È vero, abbiamo inaugurato questa farmacia anche perché lo pensiamo.
Ma ci si deve intendere bene: se srotolando il suddetto filo cominciamo ad orientarci e ad acquisire familiarità con quel tracciato apparentemente inestricabile di strade, allora ha giá funzionato. Non é detto che si trovi l'uscita; nei labirinti medievali spesso questa coincideva con il punto di partenza. Probabilmente dobbiamo continuare a camminare per irrobustirci: per comprendere che ció che sembra contorto é semplicemente ciò che siamo, ma non siamo ancora pronti (o piú pronti) ad accettare. Ci rimproveriamo di non esser sufficientemente bravi a trovare l'uscita; o di non averne piú la forza o peggio ancora la volontà. Ci rimproveriamo, o ci rimproverano, di essere coscienze smarrite.
Ma forse occorre proprio fare i conti con questo eterno errare dentro e fuori noi stessi.
"Ma vecchio mio, guardati un poco: hai trentaquattro anni, i capelli ti si stanno diradando, non hai più niente di un giovanottello, e la vita di bohéme non è più per te. E poi, si può sapere cos'è, la bohème? Era molto carina cento anni fa, ma adesso è un pugno di spostati che non rappresentano un pericolo per nessuno e che hanno perso il treno.
Tu hai l'età della ragione, Matteo, l'età della ragione, o almeno dovresti averla"
"Bah!" disse Matteo "quella che tu chiami l'età della ragione non è altro che l'età della rassegnazione, e io non ci tengo affatto".
Questa bibliopillola è per Titti che ha commentato quanto male possa fare la consapevolezza: perché non è detto che essa debba necessariamente coincidere o con la ragione o con la rassegnazione.

Jean Paul Sartre, L'etá della ragione, Bompiani, 2009




sabato 12 aprile 2014

Il diritto di amare (e non amare)

"Ho cominciato la mia vita come senza dubbio la terminerò: tra i libri. Nell'ufficio di mio nonno ce n'era dappertutto; era fatto divieto di spolverarli, tranne una volta all'anno, prima della riapertura delle scuole. Non sapevo ancora leggere, ma già le riverivo queste pietre fitte: ritte o inclinate, strette come mattoni sui ripiani della libreria o nobilmente spaziate in viali di menhir..." Le parole, JP Sartre
Ci piace vincere facile, a noi lettori dal DNA tarato, a noi che in mezzo ai libri ci siamo nati, a noi che per quanto andiamo avanti o indietro con la mente non riusciamo a pensare un solo giorno della nostra vita senza libri. Ci piace raccontarcela tra di noi, parlare di libri che abbiamo condiviso con altri o che possiamo consigliare sapendo che saranno apprezzati; ci piace, quasi, immaginarci con la vista consumata da parole stampate o digitalmente visualizzate a rinunciare alla salute degli occhi piuttosto che all'ennesima pagina.
E ci piace pensare di averla nel sangue questa passione, e che sia nata così.
Eppure chi di noi ha dei figli non può non pensare, con un deciso tremolio del cuore, che gli eredi potrebbero, addirittura! magari!, crescere senza amare la lettura, senza nascondersi con una lampada sotto al piumone per finire le pagine del momento.
Eppure qualcuno, sarei pronta a giurarlo, con la passione per la lettura non ci è nato e ricorda esattamente il momento in cui questo amore è nato: può essere stata la prescrizione di un professore, il regalo di un amico, la folgorazione di una mattina per sbaglio in libreria.

Io, ad esempio, ci sono cresciuta, tra i libri. Sono nata da un padre che a dodici anni se lo mandavano a prendere il latte, prendeva poi anche i rimproveri per i ritardi ed in ritardo arrivava perché, per quanto corresse forte, non riusciva a trattenersi dal leggere qualunque cosa trovasse per strada. Quello stesso padre, nella nostra prima, piccolissima, casa aveva riempito ogni angolo dei suoi libri: li trovavo sopra e dentro il mio comodino, nella nostra libreria di bimbe, nelle vetrinette del soggiorno al posto di ninnoli e bomboniere. Ho imparato a leggere sulle sue ginocchia sbirciando l'immancabile quotidiano.

Ecco, oggi, vorrei ascoltare un po' di storie così. Come siete nati lettori? O come siete diventati, o rimasti, dei non lettori. O con chi avete tentato strategie di seduzione che facessero fiorire l'amore per la lettura come colpi di fulmine in primavera. E ci siete riusciti?

Personalmente penso che l'amore, in assoluto ed in particolare per i libri, non si possa insegnare. L'amore è un sentimento, è naturale o semplicemente non è.
E allora? Possiamo trovare un filo comune nelle varie esperienze di nascita? 

Vi aspetto.

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