domenica 4 gennaio 2015

Bibliopillola n. 11: Per chi ha bisogno di aiuto e di aiutare

“Se è troppo orgoglioso per accettare aiuto, come potete aiutarlo? Di notte, mentre dorme?”
Yalom, Irvin D. Le lacrime di Nietzsche
 Fonte: Neri Pozza

Il tema dell’aiuto, della cura, mi è da sempre così caro che, anche quando insieme alla socia filosofa abbiamo deciso di parlare di libri, siamo riuscite a farlo mettendo al centro proprio il tema della terapia, attraverso la lettura e i libri. 

E anche qui, dal bancone della farmacia non ho mai potuto evitare di pormi domande che mi accompagnano quotidianamente anche sul lavoro. Chi ha bisogno di aiuto? Solo chi chiede? E se io penso che qualcuno abbia bisogno di aiuto ho il diritto, il dovere, di aiutarlo anche se non vuole? E io, qual è il mio bisogno nel soddisfare e curare l'altro?

giovedì 25 dicembre 2014

E Buon Natale!




Buon Natale dal nostro bancone!
Vi auguriamo serene giornate di festa e tanto relax ...
E sotto l'albero tanti bei pacchi che stamattina scartiamo con voi: abbiamo selezionato alcune fra le uscite editoriali più interessanti del primo mese del 2015.

A presto per un anno nuovo libridinoso!
Emma&Valeria


Erri De Luca - 'La parola contraria'

Mesi fa, è stato incriminato dalla Procura di Torino per aver dichiarato pubblicamente che la TAV in val di Susa andava sabotata, e che lui stessa aveva partecipato ad azioni di sabotaggio. Lo scrittore aveva promesso che avrebbe raccontato la vicenda giudiziaria in un libro. Che è questo. Brevissimo, come al solito: una sessantina di pagine. Le tifose e i tifosi di De Luca lo trovano in libreria dal 14 gennaio.

Erri De Luca La parola contraria
(Feltrinelli)
64 pagine.

venerdì 28 novembre 2014

Lettore, ho bisogno di un libro! Il Book Swap di Apoteche

Chi consiglia un titolo particolare a un amico, per aiutarlo a uscire da una sua crisi privata ha già espresso una diagnosi e indicato un farmaco, ne conosce gli effetti collaterali, sa che possono variare dalle vertigini alle lacrime, ma è consapevole che la lettura è una febbre che ci fa guarire dal resto. (Fabio Stassi)
Sono passati poco più di 6 mesi da quando aprivamo al pubblico il bancone della Farmacia Letteraria con il nostro “Noi la vorremmo così” e con le parole di Fabio Stassi.
Sei mesi passati a leggere, scrivere, ascoltare, conoscere, ideare, progettare, scambiare, ma anche sei mesi passati a rimandare, aspettare, rimuginare, affrontare, boccheggiare e frustrarci per non aver potuto fare di più.
È tempo di bilanci e la bilancia ci dice che questo angolino ci piace, voi che ci seguite ci piacete, l'idea che scalda questo posto ci piace e allora per rinforzarci un po', ma anche per entrare un po' più in contatto con chi ci segue qui e su facebook abbiamo provato a pensare a cosa ci piacerebbe e quel che ne è venuto fuori è che ci piacerebbe fare qualcosa con voi.

mercoledì 26 novembre 2014

Bibliopillola n.10: Contro la violenza




Questa bibliopillola è una poesia; perché la lirica concisione di questi pochi versi mi é sembrata un gioiello raro, di una bellezza così immediata da dare gioia agli occhi e al cuore riversandola in un sorriso che è la risposta.

Quella da dare alla violenza.
Ieri si celebrava la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, designata nel 1999 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Quindici anni or sono, eppure resta imperterrita argomento di cronaca, vissuto quotidiano, straziante attualità. Una battaglia. Ma va combattuta con altre armi.
Siamo fermamente convinte che si debba partire dalle bambine e dai bambini, offrendo loro un modo (non una educazione, no, proprio uno stile di vita da tener come esempio e nel quale vivere e crescere dall'inizio) di sviluppare personalità e identità fuori da ogni ruolo preassegnato culturalmente e storicamente.

giovedì 16 ottobre 2014

Dell'utilità dei mostri

L’ autunno è sempre foriero di riflessioni malinconiche e intimiste, favorite dallo sfondo di una natura dai colori caldi e accesi, dall'aria più frizzante che ci fa stringere le giacche al petto (un abbracciarsi per proteggersi dall'imminente arrivo del freddo), dagli odori che ricordano camini accesi e legna umida, dal suono crepitante di quel tappeto naturale di foglie secche che ottobre ci srotola sotto i piedi.



Una bellezza struggente che spesso porta con sé un remoto disagio, una sensazione che fa presagire il buio invernale e che quindi svela tutte le paure suscitate atavicamente dall'in-visibile, ciò che si cela dove non c’è luce. 
Per i contadini questa è la stagione più ricca di riti e tradizioni, che servono per rigenerare la terra durante il riposo invernale e propiziare la sua fertilità; è tempo di bilanci (anche zodiacalmente), di riflessione su ciò che si è fatto e quindi su quello che c’è da fare per il prossimo anno: un ripiegamento su se stessi per avviare una silenziosa rigenerazione, nel grembo della terra, affinché si rinasca a nuova vita. Del resto, in campagna in autunno c’è molto da fare: si prepara il vino, si raccolgono ortaggi, i boschi offrono castagne, funghi, mirtilli e lamponi; si raccoglie la legna, scorta di luce e calore per i rigidi mesi invernali. Non a caso il simbolo chiave di questo periodo nella tradizione celtica era la cornucopia: la cesta dell'abbondanza. E infatti la parola latina auctumnus deriva dalla radice del verbo augere, ovvero “aumentare, arricchire”.

Però … la luce del giorno dura sempre meno; i colori caldi si spengono per lasciare il posto al nebbioso grigiore umido che fa da sfondo agli alberi ormai spogli, tetri e scheletrici. L’autunno inoltrato coincide con una serie di rituali che ogni cultura, in ogni tempo e luogo, non ha mai omesso di celebrare: i cristiani si preparano a onorare i santi, i celti festeggiano il Capodanno (Samhain) e un po’ ovunque viene ripresa la tradizione anglosassone di intagliare zucche, soprattutto negli ultimi anni. Un curioso miscuglio di folclori e credenze pagane, antropologiche e religiose per segnare il passaggio dalla luce al buio: una soglia, un piede nella conclusione e un altro nell'inizio. Il ripetersi eterno dell'alternanza vita morte; è per questo che la terra si popola di “mostri”, prodigi, creature straordinarie e contro natura, che arrivano, appunto, per mostrare ed avvertire, per ricordare tramite la paura il lato oscuro di ogni vita. Gli esorcismi messi in atto per scongiurare il loro avvicinarsi illuminano Jack O'Lantern, spingono a prendersi beffe di loro imitandoli, aiutano a convivere con il buio e ciò che non si conosce. 

Insomma, una stagione nella quale “l’umore nero” può e deve essere scacciato dalla consapevolezza dell’alternanza; da un girotondo con tutti i mostri possibili. 

Mi viene in mente un libro da inserire fra i rituali propiziatori per l’inverno; si chiama “Il popolo dell’autunno”, di Ray Bradbury. Storia di ragazzini che nel periodo di Halloween combattono le forze del Male per ritrovarsi adulti. Ma no, non è così banale: è un piccolo capolavoro scritto magnificamente, un tripudio di giostre e tendoni da circo, di streghe portate dal vento autunnale, di voglia e terrore di crescere, della necessità di conservare sempre un pizzico di ironia fanciullesca per continuare anche da adulti a fare i conti con ogni tipo di incubo.

“La risata è un re e fa quel che vuole”

E, se vi va di darci una mano a costruire una cosuccia che abbiamo in mente, perché non ci dite un po' quali sono le emozioni che colorano il vostro autunno? E con quali libri le coltivate? O esorcizzate?

Buon autunno a tutti!

domenica 5 ottobre 2014

Bibliopillola n.9 Contro la demotivazione

La mia socia di ApoTeche mi ha regalato un libro (abbiamo poca fantasia, è vero...) che mi è piaciuto molto. Ed è capitato, come accade spesso quando si riceve un libro da chi li ama, che mi arrivasse per le mani il titolo giusto nel momento giusto. Era appena iniziata la scuola, mi stavo adattando pian piano alla routine del calendario provvisorio, cominciando a frequentare le nuove classi di quest'anno e a riprendere il lavoro con le vecchie. E non facevo che pensare, in quei giorni di meno di un mese fa, a quanto mai come alla fine del passato anno scolastico il tanto bistrattato, calunniato, avvilito, deprofessionalizzato, irriso lavoro del docente mi fosse pesato tanto. L'ultima sessione di esami di stato l'ho vissuta per svariati motivi molto faticosamente  e conclusi gli orali ero sfatta. In tutti i sensi. Ma ci sono cose in cui non si può fare a meno di credere, nonostante, di anno in anno, aumenti progressivamente la fatica, lo sconforto, la disillusione, perfino il dolore.
Chi insegna oggi sa cosa dico.
Fa parte della nostra natura combattere per la sopravvivenza e ho imparato molti anni fa che questa non riguarda  soltanto il tenerci in vita nel senso strettamente biologico del termine.
Non ci basta vivere: o meglio, non si tratta solo di vivere, ma di vedere riconosciuta ed espressa la possibilità di essere in qualche modo se stessi. Il che presuppone una lunga e mai conclusa ricerca di una definizione del sé: sottolineo incompiuta poiché credo che in questo si traduca il più profondo senso del nostro esistere, nel continuo cercarsi. Dunque, nel dirsi.
Per fortuna la scuola non è fatta solo di registri, voti, esami, crediti, scrutini e consigli di classe.
Un blogger/collega/scrittore che in questa farmacia stimiamo molto, Alessandro d'Avenia, lo scrive spesso e bene, nel suo spazio virtuale. E lo sperimenta fra i banchi. La scuola è quel delicato e meraviglioso rapporto con i ragazzi. La scuola È i ragazzi. Nei quali tutte le mattine per 11 mesi all'anno ti specchi, ti ascolti, ti sorridi. Quelli a cui ti offri con tutta l'anima perché imparino a stringere i denti e a non smettere mai di cercarsi. Confesso che se ho qualche vaga e sbordata definizione di me stessa lo devo proprio a loro. Eppure conclusi gli esami a luglio ero davvero, oltre che stanca, avvilita; soprattutto, demotivata. Questo è il motivo per cui ho pensato di esporre sul bancone il libro che per me è stata una bibliopillola inghiottita con molta convinzione e che ha avuto un immediato e benefico effetto.

Recalcati - L'ora di lezione - Einaudi
 Una scrittura scorrevole ma profonda, una riflessione serena ma implacabile sull'insegnamento ormai scarnificato a mera trasmissione di competenze sempre meno tali e sempre più sterili informazioni, un inno a quello che invece è per molti il mestiere più bello del mondo, perduto all'interno di una scuola smarrita, icona di una società che ha imparato e insegna a fare a meno dei maestri. Eppure, ciò che oggi serve davvero tanto, ciò che potrebbe operare il miracolo di restituire dignità ad una generazione spersonalizzata in un mare confuso di nozioni disponibilissime ma spesso superficiali o vuote, è proprio chi con le proprie parole crea. Chi inventa mondi, vite, luoghi e storie; chi spinge a pensare, chi cancella limiti e confini, chi trasforma in oggetto erotico, in qualcosa da amare come fosse un corpo, i libri e il sapere.

"Trasformare l'allievo come oggetto sul quale si applica un sapere - testa o bocca vuota (recipiente) da riempire, vite storta da raddrizzare - in un soggetto che ricerca attivamente quello di cui manca, che si senta trasportato, attirato, catturato verso un sapere nuovo"
Le parole sono importanti. Hanno una materialità, densa e fisica, da stringere e amare.
E un'ora di lezione può cambiare la vita.


mercoledì 3 settembre 2014

Bibliopillola n. 8: Contro la dispersione

Un silenzio innaturale che profuma di autunno ha pervaso la casa, una quiete ovattata che concilia riflessioni serene ma fa anche irrimediabilmente prudere le dita. Ci sono condizioni dell'anima, talvolta, che devono necessariamente sfociare in qualcosa di scritto, per completarsi.
Ecco perché dal mio divano immerso in una penombra che sa di odore di pioggia rialzo le saracinesche della Farmacia. D'altronde, si sa, è autunno. La stagione della ripresa, dei buoni propositi, delle liste di cose da fare... il mese in cui ci illudiamo di vivere un'esistenza programmabile e prevedibile. Ma ci serve, ne abbiamo bisogno, non possiamo fare a meno di progettarci, di inserirci in una continuità temporale, di pensare a noi stessi come a identità compiute. Che ovviamente non siamo mai.
La prima chiacchiera autunnale qui, fra i nostri scaffali, mentre tolgo un po' di polvere e faccio arieggiare i locali (qualcuno il caffè lo prepara, vero?) scaturisce da una frase che la mia socia ha scritto ieri in un post.
Ogni volta che torna dalla sua Sardegna, ci lascia un pezzo di cuore; e si chiede:
"Si può vivere con i pezzi rimasti?"

Mi sono immaginata come una specie di mosaico che si va sfaldando, che perde tessere ad ogni svolta esistenziale. Ma poi ho pensato che forse è il contrario: siamo fatti di tanti tasselli diversi, mischiati, uniti, ricomposti dalla vita ogni volta che si scava l'ennesima ruga sui nostri volti. Siamo sfaccettati, un'immagine anamorfica che ha un senso solo se osservata da lontano, nella quale ci riconosciamo per un po' e nel frattempo siamo già lì a rimestare i nostri elementi.
Si può vivere di pezzi, certo. Tutti quelli che ogni volta rimangono, finché non ne troviamo altri. Talvolta anche con pochissimi. Spesso con troppi.
Piuttosto, quello che davvero ci occorre è un buon collante. Qualcosa che ci permetta di saldare la nostra se pur temporanea forma compiuta. Un sostrato adesivo che ci tenga insieme.
Insomma, la stagione la apro con una bibliopillola. Una sorta di Attack per l'anima. Perché spesso si ha paura, quando si cerca di riunirsi, di ricomporsi, di riconoscersi.  Perdite di sé cicliche che ci sbandano e ci scombussolano.
C'è stato un libro, anni fa, che mi ha insegnato a non farmi prendere dal panico quando si perde l'orientamento di se stessi; un libro in cui il protagonista, in precario equilibrio, si ritrova a dover fare  i conti con volti e luoghi sconosciuti, all'inizio confusi, turbinanti come la neve di Sapporo, ma che si svelano in realtà essere volteggianti, a costituire nuovamente qualcosa che acquista senso solo se inseguita passo dopo passo.
"- Finora tu hai perso molte cose. Molte cose preziose. Il problema non è sapere di chi è la colpa. Il problema è che tu attaccavi sempre qualcosa di te a tutte le cose che perdevi. Non avresti dovuto. Avresti dovuto tenere qualcosa da parte per te, invece di lasciarla andare via con il resto. Così ti sei consumato poco a poco. Perché? Perché l'hai fatto?

- Non lo so."
Che questa bibliopillola vi porti al vostro personale Dolphin Hotel, dove s'impara che non si finisce mai di disgregarsi e ricomporsi, purché non ci si dimentichi mai di danzare.

"Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare, finché ci sarà musica. Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare senza mai fermarti."
Murakami Haruki, Dance dance dance



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